I Testimoni di Giustizia

Il 22 ottobre 2013 viene insediata, con alcuni mesi di ritardo rispetto all’avvio dei lavori parlamentari, la Commissione Bicamerale d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (cd Antimafia).

La Commissione Antimafia dimostrerà fin da subito una produttività eccezionale, che l’ha resa una delle più prolifiche della storia repubblicana. Una delle prime uscite dell’on Bindi in qualità di Presidente della Commissione Antimafia sarà in occasione di un convegno organizzato il 20 dicembre 2013 a Roma dall’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia presso la Sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI).

Presenti all’incontro anche Filippo Bubbico, allora Viceministro dell’Interno, Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera e Gianpiero D’Alia, Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione.

Alle Istituzioni i testimoni chiedono che vengano garantiti i loro diritti stabiliti dalla legge; ai media più spazio per dare voce alle loro storie e al loro coraggio. Come ha ricordato Don Ciotti, l’allontanamento dalla propria terra di origine di un cittadino onesto è una grande sconfitta. Sono i mafiosi a dover andare via e non chi rende testimonianza. Lo Stato deve farsi carico della vita di queste persone offrendo loro non solo protezione fisica, ma anche assistenza psicologica e legale.

La rappresentanza della commissione antimafia assicurò che il governo non sarebbe restato sordo di fronte alle loro richieste perché non è accettabile pensare di subire violenza due volte, prima dalla mafia e poi da quello Stato che dovrebbe proteggerti, perché i testimoni di giustizia sono “lo strumento più importante dello Stato in materia di lotta alla mafia”.

 

Il V comitato della Commissione

Nel mese di marzo del 2014 Davide Mattiello viene nominato coordinatore del V Comitato della Commissione Antimafia dedicato proprio ai testimoni di giustizia, ai collaboratori e alle vittime di mafia. Era il 31 Marzo, giorno in cui viene ricordata Renata Fonte, assassinata nel 1984 a Nardò, dove era da due anni assessore alla cultura e all’istruzione. Renata Fonte si oppose alla speculazione edilizia che mirava a fare di Porto Selvaggio, un luogo privato, per soli ricchi. Oggi, grazie alla denuncia caparbia di Renata, Porto Selvaggio è un parco pubblico a disposizione di ogni cittadino. Con questa coscienza, che diventa impegno a fare ciascuno la propria parte in spirito di servizio, si aprivano i lavori del V comitato.

In Italia la denuncia rappresenta ancora una sfida, un valore da inverare pienamente attraverso i comportamenti tanto delle Istituzioni, quanto dei cittadini. La forza delle mafie è soprattutto culturale e nel codice mafioso “l’alfa” è senz’altro l’omertà: farsi i fatti propri. Guai a chi rompe il vincolo: chi parla è un infame, meritevole della peggior morte. Potremmo dire che il testimone di giustizia è una sorta di eretico in questo Paese. Il testimone di giustizia è il cittadino onesto, che, avendo assistito a un crimine o avendolo subito, anziché sopportare, anziché girarsi dall’altra parte, anziché cercare scorciatoie, decide di denunciare, di fare i nomi e i cognomi, con ciò esponendosi ad un rischio per la propria vita e per la vita dei suoi famigliari tale da rendere inadeguate le misure di protezione ordinarie.

L’inchiesta del V Comitato procederà su un doppio binario. Da un lato ascoltando coloro che sono responsabili della tutela: il Vice Ministro dell’Interno, la Commissione Centrale, il Servizio Centrale, ma anche la DNA per capire quali sono i criteri usati per stabilire chi sia ad aver bisogno di tutela.

Verrà approfondito il funzionamento del sistema che dall’accoglienza del testimone, conduce fino al suo pieno reinserimento nella vita normale, al termine dei processi e verrà verificato l’iter di attuazione delle nuove norme per l’inserimento lavorativo dei testimoni.

Dall’altro lato saranno ascoltati i testimoni stessi: quelli che sono attualmente nello speciale programma di protezione, quelli che ne sono usciti con la capitalizzazione, quelli che non sono voluti entrare, preferendo essere tutelati in loco. Verrà approfondita anche la qualità del rapporto tra testimone e apparati, la qualità della vita dei testimoni durante la protezione e anche la qualità della loro vita successiva ai processi e alla capitalizzazione.

 

La Relazione del V Comitato

Dall’inchiesta nascerà la relazione sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata dalla Commissione antimafia all’unanimità il 21 ottobre del 2014.

Che cosa auspica questa relazione? Primo, una legge per i testimoni di giustizia che li distingua, in maniera radicale, dai collaboratori, perché non debba più succedere che si confondano collaboratori e testimoni.

Secondo, che l’adozione degli strumenti di tutela e di assistenza economica e reinserimento lavorativo si realizzi superando la discriminazione tra soggetti sottoposti allo ”speciale programma di protezione” e soggetti sottoposti alle “speciali misure”. Insomma: come un abito cucito su misura.

Ultimo auspicio riguarda le donne e i minori che fanno parte di quei contesti familiari e criminali e che da quei contesti vogliono liberarsi benché non abbiano, talvolta, informazioni utili per l’autorità giudiziaria.

Il 21 aprile del 2015 Davide Mattiello presentava all’aula di Montecitorio la relazione approvata in antimafia, sulla quale l’Assemblea di Camera e Senato esprimeranno pieno consenso attraverso l’approvazione di appositi atti di indirizzo.

 

La legge

Il 16 dicembre 2015 veniva presentata alla Camera la proposta di legge, frutto della relazione approvata in Commissione Antimafia, “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia” che vedeva come primo firmatario la Presidente della Commissione Rosy Bindi a rimarcare il sostegno unanime di tutte le forze politiche presenti in Commissione Antimafia (in Senato la prima firma sarà del vice presidente della Commissione Antimafia, sen. Luigi Gaetti appartenente al M5S).

Mattiello ha dedicato il progetto di legge a Rita Atria, la testimone di giustizia di 17 anni, suicidatasi il 26 luglio 1992, ad una settimana di distanza dalla strage di via D’Amelio. La ragazza, figlia e sorella dei boss di Partanna, aveva iniziato a raccontare i traffici della famiglia proprio al giudice Borsellino. Dopo la morte di Borsellino, Rita Atria vide sgretolarsi qualsiasi possibilità di continuare nel suo faticoso percorso.

Il provvedimento avrà come relatore, sia in commissione che in aula, Davide Mattiello. Il provvedimento inizia il suo iter il 7 settembre del 2016 in Commissione Giustizia alla Camera, percorso che si concluderà con l’approvazione in commissione il 27 febbraio 2017.

Il testo interviene anche sui requisiti necessari da soddisfare per rientrare sotto questa speciale protezione, individuandone principalmente tre: l’oggetto della testimonianza, che deve essere intrinsecamente attendibile e rilevante ai fini delle indagini o del giudizio; l’assenza di condanne per delitti non colposi, o misure di prevenzione a carico del dichiarante da cui si desuma l’attualità della pericolosità sociale; l’assenza di benefici tratti dai reati che sta denunciando.

Il 9 marzo del 2017 il provvedimento viene approvato nell’aula di Montecitorio e passa all’esame del Senato.

Per l’approvazione definitiva del Senato bisognerà attendere il 21 dicembre 2017, ovvero pochi giorni prima della fine della XVII legislatura. A seguito dei tanti appelli da parte di associazioni, sindacati e parlamentari, finalmente il provvedimento viene calendarizzato in Senato ed approvato lo stesso giorno.

 

Tratto da dichiarazione di Davide Mattiello

“Senza il lavoro corale di Parlamento e Governo questo risultato non sarebbe stato possibile: il valore dei Testimoni di Giustizia oggi ha il suo pieno riconoscimento. La Legge appena approvata all’unanimità oltre a cambiare in maniera concreta la gestione della sicurezza dei Testimoni di Giustizia, sia sul piano della prevenzione del rischio sia sul piano del sostegno economico e psicologico, manda un messaggio chiaro e ineludibile: il cittadino per bene che avendo assistito ad un delitto o avendolo subito decide di denunciare, con ciò esponendosi ad un rischio tale da rendere inadeguate le ordinarie misure di sicurezza, è un tesoro repubblicano e come tale va trattato. Non è un “infame” perché non si è impicciato dei fatti suoi, non è un “costo” da minimizzare. D’altra parte la legge fa chiarezza su eventuali abusi: fissa paletti precisi sul profilo del Testimone di Giustizia, per evitare che la qualifica venga scambiata per uno status, acquisito una volta per sempre”.

Amministratori minacciati

Davide Mattiello è stato relatore alla Camera della norma che rafforza le tutele per amministratori, politici e magistrati esposti a minacce.

Il testo è stato prima approvato dal Senato, a partire dal lavoro della Commissione d’inchiesta del Senato, presieduta dalla senatrice Lo Moro, sulle intimidazioni agli amministratori locali. La commissione ha messo in luce la situazione grave che anche Anci e Avviso pubblico denunciano da tempo: sono soprattutto gli amministratori locali oggi a subire queste violenze nel quotidiano e concreto corpo a corpo sul territorio con delinquenti più o meno organizzati. Ma coerentemente al testo licenziato dal Senato, sono stati tenuti dentro anche i politici nazionali perché è capitato e capita che essi stessi siano sottoposti a minacce analoghe. Per questo sono stati respinti gli emendamenti presentati dal M5S che puntavano ad escludere i politici nazionali: Mattiello ha fatto notare che uno dei più importanti processi oggi in corso che esplora il presunto e perverso rapporto tra Stato e mafia, si fonda proprio sull’articolo 338 del codice penale” (è il “processo trattativa” ndr). Rispetto ai contenuti del provvedimento, si realizza l’estensione dell’applicazione della norma (che prevede una pena da 1 a 7 anni), da un lato, agli atti di intimidazione nei confronti dell’organo (politico, amministrativo, giudiziario) o dei “suoi singoli componenti” e, dall’altra, ai casi in cui essi sono finalizzati ad “ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso” (art. 1). Per tali fattispecie si rende pertanto possibile il ricorso alle misure cautelari e alle intercettazioni e si rendono anche applicabili le circostanze aggravanti previste dall’art. 339 del codice penale, quando il fatto è commesso con l’utilizzo di armi, da più persone riunite, con scritto anonimo, etc. Sull’art.339 si è prevista un’ulteriore aggravante delle pene, da un terzo alla metà, se gli atti di intimidazione (lesione, violenza privata, minaccia, danneggiamento) sono commessi ai danni di un componente di un corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa del compimento di un atto nell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio (art. 3). La legge va in scia all’impegno condotto dal 1996 da Avviso Pubblico, rete di enti locali per la promozione della legalità, che da anni redige un rapporto dal titolo ‘Amministratori sotto tiro” e che conduce un’attività di affiancamento a coloro che sono vittime di tali violenze.

Superamento degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari)

Davide Mattiello è stato relatore di maggioranza della legge per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, avendo raccolto simbolicamente il testimone da Ignazio Marino, nel frattempo diventato Sindaco di Roma, protagonista del primo tratto del lavoro parlamentare.

Gli OPG sono nati per sostituite i vecchi manicomi criminali. In realtà però queste strutture si erano trasformate ben presto in luoghi “indegni per un Paese civile” (parole dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano) dove gli internati vengono riempiti di pillole e sedativi, vivono in strutture fatiscenti ed in stanze sovraffollate. Le modifiche introdotte prescrivono che il giudice disponga nei confronti dell’infermo o del seminfermo di mente l’applicazionedi una misura di sicurezza diversa dal ricovero in OPG o in una casa di cura e di custodia.

Il Ministero della giustizia, con nota del 30 giugno 2014, n. 23007, ha voluto dare la massima importanza alla problematica. Sono state rilevate le presenze degli internati negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari del territorio nazionale, per verificare l’andamento delle dimissioni dei soggetti sottoposti alla misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia a seguito dell’entrata in vigore della Legge. Nelle ordinanze viene prescritto un termine entro il quale gli organi territorialmente competenti debbono definire un Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzato (PTRI), ovvero ricercare una soluzione alternativa all’applicazione di una misura di sicurezza detentiva, quindi le azioni necessarie alla revoca della misura di sicurezza detentiva ed al conseguente reinserimento nel contesto sociale.

Così Davide Mattiello, relatore di maggioranza: “La logica è quella di spingere più avanti il punto di equilibrio tra controllo e cura, perché anche questi soggetti abbiamo la speranza di poter avere un futuro libero e dignitoso. Il riscatto della persona – conclude – è l’unico orizzonte indicato dalla Costituzione repubblicana”.

Il 28 maggio 2014 è avvenuta da parte della Camera la definitiva conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Molto importante nei diversi passaggi è stato il dialogo con l’associazione Antigone.

No ai fuochi d’artificio sulla pelle dei Testimoni di Giustizia!

No ai fuochi d’artificio sulla pelle dei Testimoni di Giustizia! Rischia di saltare dal programma dei lavori del Senato, dopo oltre quattro anni di lavoro e nonostante il consenso unanime delle forze politiche su una riforma attesa da 25 anni, che riconosce piena dignità ai cittadini onesti che a causa delle denunce che fanno si espongono ad un rischio altissimo per la propria vita e la vita dei propri famigliari. Nel merito dei provvedimenti di cui alcuni gruppi stanno chiedendo l’anticipazione nemmeno entro: alcuni come lo Ius Soli sono fondamentali e mi hanno visto sempre in prima linea. Qui la questione non è il merito dei provvedimenti ma il senso che deve avere il Parlamento: deve servire a fare leggi su cui ci sono i numeri o deve servire a fare campagna elettorale, trasformando gli ultimi giorni di attività in una girandola di fuochi d’artificio? Quest’ultima ipotesi è semplicemente immorale. Possibile che il Presidente Grasso non la contrasti?

 

#adesso: approviamo la legge sui Testimoni di Giustizia

I testimoni di giustizia sono uno degli esempi più alti di valore civile della nostra Repubblica: sono
cittadini con un alto senso dello Stato italiano che hanno denunciato mafiosi e corrotti caricando sulle proprie spalle l’onere di contribuire a cambiare in meglio il nostro Paese. Sono persone, famiglie, storie che diventano un simbolo di quella fedeltà alla Repubblica richiesta dall’articolo 54 della nostra Costituzione.
Nel marzo di quest’anno la Camera dei deputati ha approvato all’unanimità la proposta di legge di riforma della normativa in materia di trattamento dei testimoni di giustizia (pdl 3500, Bindi-Gaetti): la riforma migliora sensibilmente la condizione di vita dei testimoni e introduce migliorie volte a rendere il sistema più rigoroso e trasparente.
Il provvedimento, già licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato, è ora in attesa di essere discusso dall’Assemblea, dove peraltro non risulta ancora inserito nel programma dei lavori: faccio appello alla responsabilità di tutti perché l’Aula del Senato possa ripristinare il testo della Camera, e licenziare definitivamente la legge!

 

Testimoni di Giustizia: cambiare il testo è uno schiaffo al lavoro fatto

Mandare sotto il Governo mentre si vota la riforma sui Testimoni di Giustizia, modificando il testo, è uno schiaffo al lavoro fatto e pure ai Testimoni.
Cambiare il testo significa dover ricominciare l’iter alla Camera: ma che senso ha?
Il testo su cui si sta esprimendo la Commissione Giustizia del Senato venne votato all’unanimità dalla Commissione antimafia e votato all’unanimità dalla Camera dei Deputati a Marzo. L’impegno era quello di mantenere il testo, proprio per avere la Legge in questa Legislatura. Io come coordinatore del V Comitato della Commissione anti mafia ogni giorno raccolgo le difficoltà, le preoccupazioni dei Testimoni e delle loro famiglie: tutti aspettano questa legge! Che porta dei migliorativi significativi. C’è sempre qualcosa da migliorare nelle leggi, ma la responsabilità dei politici si misura anche nel decidere quando bisogna chiudere, per non buttare via tutto. Faccio appello alla responsabilità di tutti perché l’Aula del Senato possa ripristinare il testo della Camera, e licenziare definitivamente la legge!

Camera dei Deputati: intervento in aula a favore degli amministratori minacciati

grazie Presidente,

la proposta di Legge 3891 che l’Aula inizia ad esaminare è già stata approvata dal Senato con ampio consenso l’8 Giugno di un anno fa. L’intenzione che manifesto a nome della maggioranza è quella di approvare senza modifiche il testo che ci è arrivato dal Senato, in modo da chiudere l’iter parlamentare e permettere la promulgazione di queste norme che, come argomenterò tra poco, rappresentano un passo avanti dello Stato nella tutela di un bene repubblicano fondamentale, la libertà del processo attraverso cui si forma la volontà pubblica. In altre parole: l’essenza stessa della democrazia.Con questa stessa intenzione abbiamo affrontato l’esame in Commissione Giustizia.
Questa proposta di Legge è figlia del lavoro fatto dalla Commissione di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, presieduta dalla Senatrice Lo Moro, istituita dal Senato il 3 ottobre 2013, che ha terminato i suoi lavori il 26 febbraio 2015 con una relazione votata all’unanimità. Una proposta di Legge fortemente voluta dalle due associazioni che in Italia più si incaricano di rappresentare le istanze degli amministratori locali: ANCI e Avviso Pubblico.
Infatti se oggi siamo qui a discutere di questa proposta è perché il Parlamento si è fatto carico di una situazione grave, che soprattutto in alcune aree del nostro Paese costituisce una vera e propria emergenza: Sindaci, assessori, consiglieri comunali e agenti di Polizia Municipale minacciati, colpiti nella persona o nel patrimonio, nel tentativo di piegarli a fare cosa non deve essere fatto o per ritorsione rabbiosa verso ciò che è stato fatto.
Avviso Pubblico stima circa 500 atti del genere in un anno, facendo conto ovviamente soltanto sui dati legati alle denunce, quindi ai fatti emersi.
Perché i Comuni? Perché sono l’articolazione dello Stato con cui i cittadini entrano più direttamente in contatto e, soprattutto nei centri medio piccoli, sono la “faccia” dello Stato sulla quale si addensano aspettative di ogni tipo, più o meno legittime.
Infatti a porre in essere minacce e violenze oltre alla criminalità più o meno organizzata e di stampo mafioso, c’è anche un’altra tipologia di soggetti, che non va giustificata, ma che va analizzata di per se’: cittadini esasperati dalla frustrazione e dalla paura per il futuro. Cittadini che arrivano purtroppo a trasformare in violenza il disagio, quando curva diventando disperazione. Per questo se è senz’altro importante che lo Stato con questa Legge alzi scudi più robusti attorno ai Comuni, lo è altrettanto il ricordaci quanto siano fondamentali interventi di natura sociale che alimentino la coesione e promuovano l’emancipazione dal bisogno. Mentre alziamo gli scudi, insomma, dovremmo anche rafforza le braccia dei Comuni, attraverso una disponibilità maggiore di risorse economiche da spendere, con rigore e trasparenza.
La proposta di Legge fa due scelte di fondo su cui vorrei attirare l’attenzione dell’Aula prima di passare ad una puntuale disamina degli articoli.
La prima: chi colpisce un Sindaco, un assessore, un consigliere colpisce la democrazia.
Avrebbe infatti potuto il Legislatore prendere in considerazione le fattispecie base che normalmente integrano gli attacchi, cioè la minaccia, le lesioni, la violenza privata, il danneggiamento, l’ingiuria, la diffamazione, gli atti persecutori, fino all’estorsione e costruirci sopra una aggravante qualora questi attacchi fossero rivolti ad amministratori locali, oppure avrebbe potuto intervenire sul 336 del cp, che sanzione proprio la minaccia e la violenza contro il pubblico ufficiale e invece ha preferito lavorare sul 338 del codice penale. Scelta benedetta, perché è la fattispecie che meglio individua il bene giuridico offeso che più qualifica la condotta che è libertà con la quale deve potersi formare la decisione della Pubblica Amministrazione, intesa in ogni sua manifestazione. Libertà, sia detto per inciso ma con fermezza, che equivale a piena responsabilità: chi si assume un ruolo pubblico non deve essere indebitamente condizionato, proprio perché deve e ribadisco deve poter rispondere di quello che fa e di quello che non fa, senza alcun alibi.
Il 338 sanziona con una pena compresa tra uno e sette anni chi usando minaccia o violenza provi ad impedire o anche soltanto a turbare temporaneamente l’esercizio della funzione di un Corpo politico, amministrativo, giudiziario o di una sua rappresentanza. Un range edittale che permette la procedibilità d’ufficio, le misure cautelari e le intercettazioni in fase di indagine.
La seconda scelta di fondo è stata quella di modificare il 338 per tutti i soggetti cui il 338 si riferisce e non soltanto per gli amministratori locali.
Aderisco convintamente anche a questa seconda scelta perché è un buon Legislatore quello che, spronato ad intervenire da una emergenza contingente, rifletta pacatamente per offrire non soltanto una risposta puntuale all’emergenza considerata, ma una risposta di sistema, che tenga conto della storia e si sforzi di proiettarsi con lungimiranza nel futuro.
Ecco che allora lo “scudo” che noi rafforziamo, lo rafforziamo per tutta la platea di soggetti considerata dal 338: corpi politici, quindi il Legislatore regionale e nazionale e corpi giudiziari.
Altra scelta benedetta perché non è meno importante ovviamente la libertà della formazione della volontà del Legislatore o del Giudice. Evoco soltanto due episodi: a Palermo il più importante processo in corso di dibattimento che esplora l’ipotizzato rapporto scellerato tra Cosa Nostra e pezzi di Stato nel periodo stragista, il così detto “processo trattativa” è costruito sul 338 del codice penale. A Torino soltanto una settimana fa è stato sventato un attentato dinamitardo nel tribunale, verosimilmente collegato all’apertura del dibattimento del processo “Scripta manent” che vede imputati soggetti riconducibili all’area anarco informale.
In vero, c’è un quarto “corpo” che viene giustamente tutelato dal complesso dell’articolato, soprattutto con riferimento a quanto previsto dall’articolo 5, un “quarto corpo” che non è espressamente richiamato dal 338: il “corpo elettorale”. Bene fa la proposta di legge in esame a includere anche l’art. 90 del DPR 570 del ’60, sulle elezione dei Consigli comunali, che per analogia rimanda all’art. 100 del DPR 361 del ’57 sulla elezione delle Camere. Fa bene perché la minaccia o la violenza possono anche essere indirizzati contro il corpo elettorale nel momento in cui si forma la più fondamentale di tutte le volontà repubblicane, quella attraverso la quale si seleziona la rappresentanza democratica. La situazione che si sta vivendo a Trapani offre da questo punto di vista preoccupanti spunti di riflessione.
Vengo in fine a ripercorre le principali novità del testo.Con l’articolo 1 aggiungiamo all’art. 338 le parole “ai singoli componenti”, quindi non soltanto il “corpo” nel suo complesso o la sua “rappresentanza”. In modo da chiarire definitivamente che chi tocca uno, tocca tutti e tocca lo Stato. Con l’articolo 2 rendiamo obbligatorio l’arresto in flagranza.Con l’articolo 3 definiamo una aggravante ad effetto speciale, che scatta quando le condotte intimidatorie abbiano una valenza ritorsiva rispetto alle decisioni assunteCon l’articolo 4 estendiamo la causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis anche all’aggravante di cui sopra, qualora l’atto assunto sia figlio di un abuso di potere.Con l’articolo 5 estendiamo la punibilità prevista a tutela del corpo elettorale anche a chi usi minaccia o violenza sul candidato o su chi decida di spendersi a sostegno del candidato, per tanto ritengo positiva la scelta fatta nell’usare il termine “altri” e non il termine “candidato”.Con l’articolo 6 definiamo le modalità con le quali il Ministero dell’Interno debba procedere nel far funzionare l’Osservatorio sugli atti intimidatori nei confronti degli Amministratori locali, già varato nel Luglio del 2015.
Ecco, Presidente e colleghi, una proposta di Legge utile e illuminata, che idealmente è dedicata in particolare a quegli Amministratori locali che hanno pagato con la vita la propria dedizione alla Repubblica, fatemene ricordare uno per tutti, il Sindaco di Pagani Marcello Torre, ucciso per ordine di Cutolo l’11 Dicembre del 1980.E anche a quelli che non sono stati uccisi, ma mortificati quando hanno scelto la legalità anziché l’accomodamento, come accadde all’indimenticato Sindaco di Torino Diego Novelli, quando nel 1983 decise di denunciare la corruzione all’interno del Comune, anziché cercare criminogeni aggiustamenti “politici”.
L’Italia spesso in affanno sul cammino della credibilità istituzionale, deve molto a tutti loro.
Grazie Presidente

Mafia: testo beni confiscati fermo al Senato

(ANSA) – ROMA, 16 NOV – “Un pezzo di responsabilita’ ce l’abbiamo pure noi in Parlamento: un anno fa la Camera votava la riforma del Codice Antimafia, prevedendo un forte potenziamento degli strumenti a sostegno delle aziende sequestrate, ma a oggi il testo e’ ancora fermo al Senato”. A sostenerlo e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia, in merito alla vicenda di due societa’ reggine sottratte al clan Fontana i cui dipendenti – come rende noto il Corriere della Calabria.it – non hanno piu’ percepito salari dopo  l’arrivo degli amministratori giudiziari, sono stati licenziati, non hanno percepito il trattamento di fine rapporto e ora si vedono negare dall’Inps anche l’accesso al Fondo di garanzia. “L’Inps dovra’ spiegare come mai, nonostante i richiami fatti dall’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, non abbia ritenuto di provvedere. Ma io vorrei anche capire perche’ all’esito del procedimento di sequestro e confisca pare che l’unico destino per le aziende sia quello della liquidazione: gli amministratori giudiziari, con il supporto dell’Agenzia nazionale – si chiede il deputato – non hanno avuto alcun margine per tenere in vita le societa’, salvaguardando i posti di lavoro? Sappiamo che talvolta capita che le societa’ che stavano in piedi soltanto grazie al denaro sporco, poi dimostrino tutta la loro incapacita’ imprenditoriale non appena si interrompe il flusso del denaro illecito. Talvolta e’ anche il contesto che fa terra bruciata attorno all’azienda appena arriva lo Stato, per non dispiacere ai mafiosi: clienti e fornitori (banche comprese) che si dileguano prontamente. Pero’ bisogna anche smetterla di concedere all’adagio: "almeno quando c’era la mafia si lavorava”. Quello della mafia non e’ mai lavoro: e’ soltanto un’altra forma della violenza, della paura e della prevaricazione, che genera desolazione e asservimento"

Caporalato: approvare testo senza modifiche

(ANSA) – ROMA, 6 OTT – “Trattare il caporalato come la mafia: era questo l’impegno preso dal Governo un anno fa. Oggi lo abbiamo ribadito durante l’audizione del Ministro Martina, che si e’ appena conclusa”. Lo afferma il deputato Pd Davide Mattiello, in merito all’audizione davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Lavoro, presso l’Aula della Commissione Lavoro, del Ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’esame del disegno di legge che riguarda le disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo. “Credo – aggiunge Mattiello, che fara’ parte del Comitato dei nove che seguira’ il provvedimento in Aula – che si debba fare ogni sforzo per approvare definitivamente il testo gia’ votato dal Senato, senza modifiche, che chiaramente traduce in legge quell’impegno. Chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, approfittando dello stato di bisogno commette un doppio crimine: contro le persone maltrattate e contro gli imprenditori agricoli onesti. Ed e’ proprio cio’ che fanno i mafiosi che si servono di persone assoggettate dalla forza di intimidazione dell’organizzazione, distorcendo anche il mercato legale in danno degli imprenditori onesti. Abbiamo la responsabilita’ di rendere efficace il provvedimento entro l’imminente inizio della stagione della raccolta degli agrumi”. 

Giustizia: via alla Camera a esame pdl su testimoni

(ANSA) – ROMA, 7 SET – E’ iniziato oggi in Commissione Giustizia della Camera l’iter della proposta di legge 3500, Bindi ed altri, recante “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia”. Lo annuncia il relatore di maggioranza Davide Mattiello (Pd), auspicando che nel prossimo futuro “non ci sia mai piu’ confusione tra Testimoni e collaboratori”. “I testimoni di giustizia sono cittadini onesti – afferma – che denunciando quello che subiscono o quello a cui assistono si sottopongono ad un pericolo gravissimo per la propria vita, tale da rendere inadeguate le normali misure di tutela: sono una risorsa straordinaria per il nostro Paese, nel quale e’ ancora troppo diffusa la cultura para-mafiosa, per la serie ‘fatti i fatti tuoi e campa cent’anni’”. Il provvedimento in esame, ricorda l’esponente dem, che e’ anche componente della Commissione Antimafia – mira a modificare la disciplina in  materia di testimoni di giustizia, attualmente contenuta nel decreto legge n. 8 del 1991 (legge di conversione n. 82 del 1991) e nelle relative norme attuative". La necessita’ dell’intervento deriva in generale “dalle difficolta’ del legislatore – pur dopo la novella del 2005 (legge n. 45 del 2001) che ha introdotto specifiche disposizioni sui testimoni – di inquadrare organicamente tale disciplina nell’ambito della citata legge quadro del 1991, pensata per i soli collaboratori di giustizia. La proposta di legge, che in Commissione Antimafia e’ stata sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari – cosa questa che mi fa sperare in un rapido iter di approvazione – contiene importanti novita’ anche a sostegno di quelle persone inserite in contesti familiari di mafia ma estranee ai delitti ivi commessi, che vogliano rompere quei legami e iniziare una nuova vita. La mafia – conclude Mattiello – si sconfigge anche cosi’”. (ANSA).