I Testimoni di Giustizia

Il 22 ottobre 2013 viene insediata, con alcuni mesi di ritardo rispetto all’avvio dei lavori parlamentari, la Commissione Bicamerale d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (cd Antimafia).

La Commissione Antimafia dimostrerà fin da subito una produttività eccezionale, che l’ha resa una delle più prolifiche della storia repubblicana. Una delle prime uscite dell’on Bindi in qualità di Presidente della Commissione Antimafia sarà in occasione di un convegno organizzato il 20 dicembre 2013 a Roma dall’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia presso la Sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI).

Presenti all’incontro anche Filippo Bubbico, allora Viceministro dell’Interno, Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera e Gianpiero D’Alia, Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione.

Alle Istituzioni i testimoni chiedono che vengano garantiti i loro diritti stabiliti dalla legge; ai media più spazio per dare voce alle loro storie e al loro coraggio. Come ha ricordato Don Ciotti, l’allontanamento dalla propria terra di origine di un cittadino onesto è una grande sconfitta. Sono i mafiosi a dover andare via e non chi rende testimonianza. Lo Stato deve farsi carico della vita di queste persone offrendo loro non solo protezione fisica, ma anche assistenza psicologica e legale.

La rappresentanza della commissione antimafia assicurò che il governo non sarebbe restato sordo di fronte alle loro richieste perché non è accettabile pensare di subire violenza due volte, prima dalla mafia e poi da quello Stato che dovrebbe proteggerti, perché i testimoni di giustizia sono “lo strumento più importante dello Stato in materia di lotta alla mafia”.

 

Il V comitato della Commissione

Nel mese di marzo del 2014 Davide Mattiello viene nominato coordinatore del V Comitato della Commissione Antimafia dedicato proprio ai testimoni di giustizia, ai collaboratori e alle vittime di mafia. Era il 31 Marzo, giorno in cui viene ricordata Renata Fonte, assassinata nel 1984 a Nardò, dove era da due anni assessore alla cultura e all’istruzione. Renata Fonte si oppose alla speculazione edilizia che mirava a fare di Porto Selvaggio, un luogo privato, per soli ricchi. Oggi, grazie alla denuncia caparbia di Renata, Porto Selvaggio è un parco pubblico a disposizione di ogni cittadino. Con questa coscienza, che diventa impegno a fare ciascuno la propria parte in spirito di servizio, si aprivano i lavori del V comitato.

In Italia la denuncia rappresenta ancora una sfida, un valore da inverare pienamente attraverso i comportamenti tanto delle Istituzioni, quanto dei cittadini. La forza delle mafie è soprattutto culturale e nel codice mafioso “l’alfa” è senz’altro l’omertà: farsi i fatti propri. Guai a chi rompe il vincolo: chi parla è un infame, meritevole della peggior morte. Potremmo dire che il testimone di giustizia è una sorta di eretico in questo Paese. Il testimone di giustizia è il cittadino onesto, che, avendo assistito a un crimine o avendolo subito, anziché sopportare, anziché girarsi dall’altra parte, anziché cercare scorciatoie, decide di denunciare, di fare i nomi e i cognomi, con ciò esponendosi ad un rischio per la propria vita e per la vita dei suoi famigliari tale da rendere inadeguate le misure di protezione ordinarie.

L’inchiesta del V Comitato procederà su un doppio binario. Da un lato ascoltando coloro che sono responsabili della tutela: il Vice Ministro dell’Interno, la Commissione Centrale, il Servizio Centrale, ma anche la DNA per capire quali sono i criteri usati per stabilire chi sia ad aver bisogno di tutela.

Verrà approfondito il funzionamento del sistema che dall’accoglienza del testimone, conduce fino al suo pieno reinserimento nella vita normale, al termine dei processi e verrà verificato l’iter di attuazione delle nuove norme per l’inserimento lavorativo dei testimoni.

Dall’altro lato saranno ascoltati i testimoni stessi: quelli che sono attualmente nello speciale programma di protezione, quelli che ne sono usciti con la capitalizzazione, quelli che non sono voluti entrare, preferendo essere tutelati in loco. Verrà approfondita anche la qualità del rapporto tra testimone e apparati, la qualità della vita dei testimoni durante la protezione e anche la qualità della loro vita successiva ai processi e alla capitalizzazione.

 

La Relazione del V Comitato

Dall’inchiesta nascerà la relazione sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata dalla Commissione antimafia all’unanimità il 21 ottobre del 2014.

Che cosa auspica questa relazione? Primo, una legge per i testimoni di giustizia che li distingua, in maniera radicale, dai collaboratori, perché non debba più succedere che si confondano collaboratori e testimoni.

Secondo, che l’adozione degli strumenti di tutela e di assistenza economica e reinserimento lavorativo si realizzi superando la discriminazione tra soggetti sottoposti allo ”speciale programma di protezione” e soggetti sottoposti alle “speciali misure”. Insomma: come un abito cucito su misura.

Ultimo auspicio riguarda le donne e i minori che fanno parte di quei contesti familiari e criminali e che da quei contesti vogliono liberarsi benché non abbiano, talvolta, informazioni utili per l’autorità giudiziaria.

Il 21 aprile del 2015 Davide Mattiello presentava all’aula di Montecitorio la relazione approvata in antimafia, sulla quale l’Assemblea di Camera e Senato esprimeranno pieno consenso attraverso l’approvazione di appositi atti di indirizzo.

 

La legge

Il 16 dicembre 2015 veniva presentata alla Camera la proposta di legge, frutto della relazione approvata in Commissione Antimafia, “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia” che vedeva come primo firmatario la Presidente della Commissione Rosy Bindi a rimarcare il sostegno unanime di tutte le forze politiche presenti in Commissione Antimafia (in Senato la prima firma sarà del vice presidente della Commissione Antimafia, sen. Luigi Gaetti appartenente al M5S).

Mattiello ha dedicato il progetto di legge a Rita Atria, la testimone di giustizia di 17 anni, suicidatasi il 26 luglio 1992, ad una settimana di distanza dalla strage di via D’Amelio. La ragazza, figlia e sorella dei boss di Partanna, aveva iniziato a raccontare i traffici della famiglia proprio al giudice Borsellino. Dopo la morte di Borsellino, Rita Atria vide sgretolarsi qualsiasi possibilità di continuare nel suo faticoso percorso.

Il provvedimento avrà come relatore, sia in commissione che in aula, Davide Mattiello. Il provvedimento inizia il suo iter il 7 settembre del 2016 in Commissione Giustizia alla Camera, percorso che si concluderà con l’approvazione in commissione il 27 febbraio 2017.

Il testo interviene anche sui requisiti necessari da soddisfare per rientrare sotto questa speciale protezione, individuandone principalmente tre: l’oggetto della testimonianza, che deve essere intrinsecamente attendibile e rilevante ai fini delle indagini o del giudizio; l’assenza di condanne per delitti non colposi, o misure di prevenzione a carico del dichiarante da cui si desuma l’attualità della pericolosità sociale; l’assenza di benefici tratti dai reati che sta denunciando.

Il 9 marzo del 2017 il provvedimento viene approvato nell’aula di Montecitorio e passa all’esame del Senato.

Per l’approvazione definitiva del Senato bisognerà attendere il 21 dicembre 2017, ovvero pochi giorni prima della fine della XVII legislatura. A seguito dei tanti appelli da parte di associazioni, sindacati e parlamentari, finalmente il provvedimento viene calendarizzato in Senato ed approvato lo stesso giorno.

 

Tratto da dichiarazione di Davide Mattiello

“Senza il lavoro corale di Parlamento e Governo questo risultato non sarebbe stato possibile: il valore dei Testimoni di Giustizia oggi ha il suo pieno riconoscimento. La Legge appena approvata all’unanimità oltre a cambiare in maniera concreta la gestione della sicurezza dei Testimoni di Giustizia, sia sul piano della prevenzione del rischio sia sul piano del sostegno economico e psicologico, manda un messaggio chiaro e ineludibile: il cittadino per bene che avendo assistito ad un delitto o avendolo subito decide di denunciare, con ciò esponendosi ad un rischio tale da rendere inadeguate le ordinarie misure di sicurezza, è un tesoro repubblicano e come tale va trattato. Non è un “infame” perché non si è impicciato dei fatti suoi, non è un “costo” da minimizzare. D’altra parte la legge fa chiarezza su eventuali abusi: fissa paletti precisi sul profilo del Testimone di Giustizia, per evitare che la qualifica venga scambiata per uno status, acquisito una volta per sempre”.