Dal fango alle stelle: la confisca dei beni ai corrotti

Proprio ieri, 21 Marzo – Giornata della memoria e dell’Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie, La Repubblica dedica una intera pagina al Prefetto Corda, direttore della Agenzia nazionale per la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, scegliendo un titolo che sa di vittoria: “La villa di Galan, le case di Lady ASL. Ai volontari i tesori dei corrotti”.
Ed in effetti di vittoria è giusto parlare: dopo anni passati a denunciare quanto la corruzione sistemica fosse non soltanto lo strumento di penetrazione privilegiato dalle organizzazioni mafiose, ma fosse esso stesso sintomo di un insopportabile abuso di potere mafioso nei modi, se non nel pedigree e che per questo bisognasse esplicitamente trattare mafiosi e corrotti nello stesso modo, la modifica del Codice Antimafia approvata dal Parlamento nel 2017 lo ha reso possibile.
Il nuovo Codice Antimafia estende infatti l’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali anche agli indiziati di corruzione, previsione tanto più opportuna oggi alla luce della sentenza della Corte Costituzionale (N. 24 del 2019) che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art.4 lettera C del Codice Antimafia, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lettera a).
Fu una bella battaglia, costata a chi se la caricò sulle spalle parecchie palate di fango.
Una vittoria che ha il significato precisamente espresso dal prefetto Corda: beni che sono stati l’arrogante segno del potere criminale sul territorio, diventano finalmente strumento di riscatto sociale, attraverso l’alleanza tra Istituzioni dello Stato, Enti locali e associazioni di cittadini.
Ma nessuna vittoria è per sempre ed in un Paese nel quale, approfittando della tragedia Covid, c’è chi vorrebbe abolire persino il Codice degli appalti, serve una precisa assunzione di responsabilità politica affinchè la destinazione dei beni confiscati sia il cuore di una strategia che coinvolga non soltanto il Ministero dell’Interno, ma il MIUR, il MISE, il MEF, quello per le Pari Opportunità, i Giovani, il Sud e la coesione territoriale, la Transizione ecologica. Soltanto così non dovremmo più piangere sul latte versato, cioè sulle occasioni sprecate e sull’inevitabile ritorno di fiamma della atavica sfiducia italica nei confronti dello Stato.
Proprio per questo uno degli aspetti qualificanti della proposta di riforma del Codice Antimafia fu quello di spostare l’Agenzia dal Ministero dell’Interno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La proposta non passò e io me ne dispiacqui assai. Ma facendo lo sforzo di comprendere le ragioni che impedirono questa svolta, oggi dico che si potrebbe raggiungere ugualmente il fine istituendo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (dove per altro stanno già incardinati diversi dei Ministeri ai quali sopra ho fatto riferimento) una delega al coordinamento degli interventi volti alla destinazione dei beni confiscati che sia di sostegno alla Agenzia, proprio nello stimolare e alimentare il concerto di decisioni e risorse con gli altri Ministeri.
Il riscatto sociale ed economico connesso all’efficacia del riutilizzo dei beni confiscati può essere uno dei fattori di rilancio dell’Italia dopo tanta sofferenza: perché il rilancio dipende anche dalle buone notizie che fanno migliore l’umore e orientano all’ottimismo verso il futuro.
Anche così determineremo il modo con il quale usciremo dal tunnel della pandemia e torneremo a riveder le stelle.

Cancelliamo i segni dell’attentato incendiario alla villa degli Assisi

 

30 aprile 2018 – 30 aprile 2019
Un anno fa entravamo nella villa confiscata agli Assisi nell’anniversario dell’assassinio di Pio La Torre. Un mese dopo quell’abitazione fu raggiunto da un attentato incendiario. Siamo tornati a San Giusto Canavese (TO) per chiedere che i segni di quell’intimidazione siano cancellati…abbiamo la testa dura di cavallo! Pro memoria democratico.

Commissione Antimafia, ma vi pare normale?

Questa mattina ero a Roma, davanti Palazzo San Macuto, sede della Commissione Parlamentare Antimafia. La Commissione, essendo “speciale” necessita di essere istituita ad ogni legislatura. Attualmente la Commissione è stata quindi istituita, ma non ancora costituita.

Intanto il Ministro dell’Interno vuole intervenire sul Codice Antimafia con un Decreto Legge per permettere la vendita dei beni confiscati anche ai privati. Ma vi pare normale?

La Riforma del Codice Antimafia

Il Codice Antimafia ha in sé altri importanti innovazioni legislative: nasce nel novembre 2013, con la discussione in Commissione Giustizia della Camera della proposta di legge di iniziativa popolare AC1138 “Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, figlia della campagna ‘Io riattivo il lavoro’ promossa dalla Cgil insieme ad un vasto fronte di associazioni come Anm, Libera, Arci, Acli, LegaCoop, Avviso pubblico, Centro Studi Pio La Torre e Sos Impresa.

Successivamente ci furono alcune azioni quali l’inchiesta della Commissione Antimafia, che produsse una articolata proposta di riforma, e il contributo del Governo a partire dal ddl Orlando dell’agosto del 2014. Azioni convergenti su un testo che l’11 Novembre del 2015, a larga maggioranza la Camera ha approvato in prima lettura, per poi passarlo al Senato (che lo ha licenziato con modifiche il 6 di Luglio 2017) e dunque approvarlo in via definitiva alla Camera a settembre 2017.

In seconda lettura alla Camera Davide Mattiello, in qualità di relatore, ha chiesto il ritiro di ogni emendamento. Il rischio, visti i tempi da fine legislatura, sarebbe stato la mancata approvazione della riforma. Certamente su alcuni passaggi c’erano punti di vista rispettabilmente diversi, ma la mediazione positiva a cui si è giunti dopo quattro anni di discussione, non poteva essere tradita da un ulteriore rinvio.

Molto dibattito pubblico si è addensato attorno all’articolo 1 e cioè alla possibilità di sequestro per coloro che avessero commesso reati contro la pubblica amministrazione soggetto: c’è da precisare che soltanto l’esito della indagine patrimoniale che metta in evidenza l’illecita provenienza del patrimonio ovvero la sua sproporzione rispetto a reddito dichiarato ed attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Sui punti che hanno maggiormente infiammato la polemica, Mattiello ha risposto in Aula nella relazione precedente alla votazione, di cui riportiamo uno stralcio.

Al movimento 5 stelle dico: sulla questione della trasparenza nella gestione di tutto il procedimento e segnatamente nell’affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari, le viti sono state strette anche accogliendo vostre proposte. Per altro alcune di queste norme vanno specificate tempestivamente esercitando un’altra delega, quella di cui all’articolo 33.

A chi, soprattutto nel centro destra, si è preoccupato per una eccessiva attenzione verso le aziende sequestrate, denunciando il rischio di una distorsione della libera concorrenza, dico: non un euro pubblico sarà speso per le aziende finte o incapaci di stare sul mercato senza la spinta mafiosa, saranno liquidate.

A chi si è preoccupato che l’estensione della platea dei soggetti cui possano essere applicate le misure di prevenzione patrimoniali si traduca in una soffocante ingerenza dello Stato nel mercato, dico: al contrario, la riforma non soltanto amplia l’istituto della amministrazione giudiziaria non finalizzata all’ablazione del bene-azienda, ma introduce finalmente l’istituto del controllo giudiziario che oltre ad evitare l’ablazione, evita anche lo spossessamento in fase di sequestro. Un modo per intervenire chirurgicamente a tutela dell’attività di impresa, almeno fino a quando ve ne siano le condizioni.

A chi, concedendo un po’ troppo alla vis polemica, ha cercato di agitare l’opinione pubblica affermando che con questa riforma basterà un semplice indizio di corruzione per vedersi confiscare l’azienda, la casa e il conto in banca, dico: vi sbagliate e soprattutto inducete all’errore! Il meccanismo della prevenzione patrimoniale considera la pericolosità sociale del soggetto soltanto come “innesco”, come condizione inizialmente necessaria, ma non sufficiente: infatti soltanto l’esito della indagine patrimoniale che metta in evidenza l’illecita provenienza del patrimonio ovvero la sua sproporzione rispetto a reddito dichiarato ed attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Addirittura possiamo spingerci a dire che la presunta pericolosità sociale del soggetto è una condizione necessaria SOLTANTO inizialmente, prova ne è che il procedimento di confisca continua anche nei confronti del patrimonio imputabile alla persona meno pericolosa che esista in natura: il morto! La pericolosità sociale del soggetto è condizione necessaria e sufficiente soltanto per l’applicazione delle misure di prevenzione PERSONALI e non di quelle patrimoniali: spero che il punto sia chiaro. Ed è per questo motivo che è condivisibile l’inserimento all’art. 4 del reato di cui all’art. 612 bis, cioè lo “stalking”: l’art. 4 fa riferimento alle misure di prevenzione personali disposte dall’autorità giudiziaria, che non di per sé appunto, si traducono in misure di prevenzione patrimoniale, pur essendo richiamato dall’art. 16. Ben vengano quelle personali per lo “stalker”! Abbiamo un tragico ritardo ancora in parte da colmare in materia.

A chi ha manifestato la serie preoccupazione che l’allargamento della platea dei soggetti a cui possano applicarsi le misure di prevenzione patrimoniale, possa esporre la normativa a nuove censure da parte della Corte Costituzionale o della Giustizia europea, dico: comprendo la preoccupazione, ma la riforma si fa carico delle censure del passato, risolvendole. Intanto perché alcune di quelle censure, come quelle contenute nella sentenza De Tommaso, pretendevano una maggiore attenzione al sacrosanto principio della prevedibilità delle condotte che vengono sanzionate, riconoscendo per altro piena legittimità al meccanismo della prevenzione. Sul punto rimando al preciso parere formulato dalla I Commissione. Ma a questa pretesa abbiamo risposto individuando le ulteriori condotte attraverso il richiamo puntuale delle fattispecie di reato corrispondenti, le quali per definizione garantiscono un sufficiente grado di tipizzazione e quindi di prevedibilità. Altre censure invece hanno nel tempo riguardato il meccanismo della procedura di applicazione della prevenzione patrimoniale, ritenuto eccessivamente comprimente le ragioni del proposto e dei terzi di buona fede. Queste censure pretendevano una maggiore attenzione al contraddittorio, alla posizione dei terzi di buona fede, alla certezza dei tempi e alla chiarezza degli esiti della procedura medesima. Ed è esattamente in questa direzione che abbiamo lavorato: la parte più corposa e meno discussa della riforma è proprio quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione e di esecuzione fallimentare.

A chi ha espresso perplessità sulla estensione dell’articolo 1 agli indiziati di reati contro la PA quando esista anche l’indizio della associazione per delinquere, come ha fatto autorevolmente il Presidente dell’ANAC Cantone, dico: faccio mia la preoccupazione di un utilizzo abnorme di questa previsione e credo che sarà doveroso monitorare la norma ed intervenire tempestivamente per perfezionarla. Lo dico con la serenità di chi è consapevole che in questi quattro anni il Partito Democratico e la maggioranza, in piena sintonia con il Governo, hanno alzato gli scudi contro la corruzione, intanto istituendo la stessa ANAC, ma poi anche aumentando le pene, allungando i termini di prescrizione, prevedendo sconti a chi rompa il patto scellerato collaborando con la giustizia e la confisca penale obbligatoria.

La parte più corposa e meno discussa della riforma è quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione e di esecuzione fallimentare.

Il 13 Settembre il CSM, normalmente critico nei confronti del Legislatore, ha approvato una delibera che dedica alla riforma del Codice decine di pagine di analisi e conclude con un inequivocabile invito ad approvarla, riconoscendo che il testo scioglie diversi nodi da anni lamentati dagli operatori del settore.

Sinteticamente ricordiamo che il provvedimento prevede modifiche al decreto legislativo n.159 del 2011 (codice antimafia) e al decreto legge n.306 del 1992 (modifiche al cpp e contrasto alla criminalità mafiosa) tra le quali:

1) l’estensione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale a nuove categorie di reati, tra cui quelli relativi ai delitti contro la Pubblica Amministrazione

2) una più celere procedura per le misure di sequestro e confisca con anche l’assegnazione in via provvisoria dei beni sequestrati e l’istituzione di sezioni o collegi specializzati per i procedimenti previsti dal Codice antimafia

3) un miglior controllo giudiziario delle aziende e l’istituzione di un fondo di rotazione per avere risorse necessarie alla loro ripresa

4) la riorganizzazione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati e l’istituzione di tavoli provinciali permanenti sulle aziende sequestrate o confiscate, presso le Prefetture.

È utile sottolineare il percorso partecipativo alla base della legge, determinante in ogni passaggio, fino all’approvazione.

L’approvazione definitiva alla Camera, il 27 settembre 2017, ha costituito un atto di responsabilità politica importante per il passo migliorativo che fa fare all’azione di prevenzione e di contrasto alle mafie e alla corruzione. Certamente bisognerà nei prossimi anni monitorare l’applicazione delle norme per verificare il buon esito del lavoro parlamentare.

Beni confiscati: benedette le Iene

Benedette le Iene se servono a far sussultare il Senato, che dal Novembre del 2015 tiene ferma la riforma del Codice Antimafia. Il servizio di Pecoraro andato in onda ieri solleva questioni che rimandano alle responsabilità della giustizia penale e della prevenzione amministrativa che sempre dovrebbe agire e di norma precedere l’intervento penale. Purtroppo i dubbi sollevati non sono una novità: sono gli stessi che ha sollevato la Commissione parlamentare anti mafia fin dal 2014, quelli che sollevò ancor prima l’emittente Telejato, quelli che ha sollevato la Procura di Caltanissetta che su input di quella di Palermo ha messo sotto inchiesta l’allora Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo di Palermo Saguto e altri tra magistrati, avvocati, professionisti. E’ notizia della scorsa settimana la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Caltanissetta. Purtroppo aggiungo, non sono una novità anche perché nomi e circostanze rimandano a vicende simili attualmente in divenire, su cui dovrà appuntarsi ancora di più la nostra attenzione: penso alla vicenda della Calcestruzzi Belice. Ma tutto ciò posto la cosa che più mi turba è constatare che molte delle condotte cui si fa riferimento nel servizio furono considerate precisamente nella riforma del Codice Antimafia, che la Camera ha votato l’11 Novembre del 2015: la riforma contiene norme precise intanto sui tempi della procedura e poi sui compensi, sui doppi incarichi, sulle incompatibilità tra ruoli e incarichi e pure su poteri e responsabilità della Agenzia. Evidentemente è una riforma che spezza rendite di posizione consolidate ed è un fatto che da allora il testo è sepolto in Commissione Giustizia al Senato. Tra poco sarà il 35quesimo anniversario dell’assassinio di Pio La Torre: ci sarà da vergognarsi a commemorarlo in Parlamento se la situazione non si sblocca

Beni confiscati: si voti!

‘il Ministro Minniti ha fissato la linea della mediazione ragionevole sulla riforma. Ora basta: si proceda col voto, senza stravolgere il testo votato alla Camera nel Novembre del 2011 figlio del lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia. I magistrati, secondo il testo già votato alla Camera, potranno avvalersi della Agenzia come coadiuzione nella gestione fin dalla fase del sequestro. Certo bisogna tenere fermo il punto sul rafforzamento della Agenzia medesima, cui va un plauso per lo sforzo fatto a normativa vigente per dare più trasparenza e più efficacia al suo lavoro: Open Regio è un bel segnale in questo senso’

Calcestruzzi Belice: aspettiamo con fiducia la pronuncia della Corte d’Appello

Da Montevago con la Calcestruzzi Belice: aspettiamo con fiducia la pronuncia della Corte d’Appello di Palermo sul fallimento decretato in primo grado della Calcestruzzi Belice: il destino di questa azienda deve essere riscritto, anche perché la Cassazione si è pronunciata recentemente ribadendo la piena competenza del Tribunale della Prevenzione sui debiti delle aziende sequestrate e confiscate. Ma la questione non si risolve comunque qui: per questo valuteremo un esposto alla magistratura raccogliendo una serie di episodi che riguardano la gestione dell’azienda affinché si verifichi se esistono responsabilità penali. Se per anni ci siamo detti: guai se passa il messaggio ‘con la mafia si lavorava con lo Stato c’è il fallimento’ , oggi dobbiamo guardarci dal messaggio ancora più terribile ‘con la mafia lavoravamo, con lo Stato lavorano gli amici’ . Infine è urgente che il Senato approvi definitivamente la riforma del Codice Antimafia: non è possibile che un testo che potenzia l’Agenzia nazionale e impone un maggior rigore nella gestione dei sequestri sia ferma da oltre un anno

Mafia: testo beni confiscati fermo al Senato

(ANSA) – ROMA, 16 NOV – “Un pezzo di responsabilita’ ce l’abbiamo pure noi in Parlamento: un anno fa la Camera votava la riforma del Codice Antimafia, prevedendo un forte potenziamento degli strumenti a sostegno delle aziende sequestrate, ma a oggi il testo e’ ancora fermo al Senato”. A sostenerlo e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia, in merito alla vicenda di due societa’ reggine sottratte al clan Fontana i cui dipendenti – come rende noto il Corriere della Calabria.it – non hanno piu’ percepito salari dopo  l’arrivo degli amministratori giudiziari, sono stati licenziati, non hanno percepito il trattamento di fine rapporto e ora si vedono negare dall’Inps anche l’accesso al Fondo di garanzia. “L’Inps dovra’ spiegare come mai, nonostante i richiami fatti dall’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati, non abbia ritenuto di provvedere. Ma io vorrei anche capire perche’ all’esito del procedimento di sequestro e confisca pare che l’unico destino per le aziende sia quello della liquidazione: gli amministratori giudiziari, con il supporto dell’Agenzia nazionale – si chiede il deputato – non hanno avuto alcun margine per tenere in vita le societa’, salvaguardando i posti di lavoro? Sappiamo che talvolta capita che le societa’ che stavano in piedi soltanto grazie al denaro sporco, poi dimostrino tutta la loro incapacita’ imprenditoriale non appena si interrompe il flusso del denaro illecito. Talvolta e’ anche il contesto che fa terra bruciata attorno all’azienda appena arriva lo Stato, per non dispiacere ai mafiosi: clienti e fornitori (banche comprese) che si dileguano prontamente. Pero’ bisogna anche smetterla di concedere all’adagio: "almeno quando c’era la mafia si lavorava”. Quello della mafia non e’ mai lavoro: e’ soltanto un’altra forma della violenza, della paura e della prevaricazione, che genera desolazione e asservimento"

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Egregi,

Le scriventi Associazioni, impegnate da lungo tempo nel sostenere l’obbiettivo che la legge dello Stato si propone, circa il riutilizzo a fini sociali delle aziende e dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, da tempo hanno avanzato proposte concrete per migliorare la dotazione strumentale e gestionale in modo
da affrontare con la migliore efficacia possibile le problematiche proposte dalla straordinaria crescita esponenziale delle confische.

Come ben sapete, questo fenomeno rappresenta al tempo stesso una ricchezza economica che in virtù di queste carenze non viene adeguatamente riutilizzato e reimmesso in un circuito di legalità e contemporaneamente coinvolge migliaia di lavoratori.

Ora, dopo anni di confronto, ci troviamo di fronte ad un testo di riforma approvato in prima lettura alla Camera che rappresenta una sintesi efficace di diverse iniziative di natura parlamentare e popolare ( come la legge di iniziativa popolare presentata dalle scriventi associazioni) diffusamente apprezzato e
di cui lo stesso Governo si è fatto carico, assumendo nella Legge di stabilità 2015 alcune parti dando vita ad un fondo di garanzia dedicato.

Sono già passati molti mesi da quella approvazione alla Camera e il testo è ancora fermo in Commissione Giustizia del Senato. È importante che la discussione parlamentare approdi rapidamente
ad una risoluzione definitiva del testo di riforma, atteso da tanto tempo.
Il testo approvato alla Camera può essere migliorato e i lavori al Senato potranno provvedere in tal senso. 

Tuttavia sentiamo la necessità di sottolineare come la traccia che caratterizza la sintesi già disponibile e frutto di un lungo lavoro di confronto non sia stravolta in modo che, il ritorno del testo alla Camera possa consentire una definitiva approvazione.

Cordiali saluti.

p. la CGIL Gianna Fracasi
p. l’ACLI Antonio Russo
p. l’ARCI Francesca Chiavacci
p. Avviso Pubblicco Roberto Montà
p. Legacoop Giancarlo Ferrari
p. Libera Davide Pati
p. Associazione Pio La Torre Vito Lo Monaco
p. SoS Impresa Luigi Cuomo

Beni confiscati: é urgente una nuova Legge

(ANSA) – ROMA, 28 MAG – E’ urgente una nuova legge sui beni sequestrati e confiscati, non bisogna perdere altro tempo: il rischio, altrimenti, è favorire le mafie. A sollecitare il Parlamento a fare presto è Ernesto Morici. Magistrato messinese, in pensione da cinque anni, Morici nel corso della sua carriera tra la Sicilia, la Calabria e la Toscana, si è a lungo occupato di criminalità organizzata, di reati contro la Pubblica amministrazione, di due maxiprocessi alla ‘ndrangheta (ai clan Piromalli e Pesce) ed è stato il primo in Italia ad applicare la legge sul sequestro dei beni ad imputati per mafia, la Rognoni-La Torre, che nel 1982 introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. “Ero a Palmi ed era il 1983 – ricorda Morici – mettemmo sotto sequestro terreni, appartamenti, e camion appartenenti ad una famiglia mafiosa. Eravamo pionieri della nuova normativa e subito si posero una serie di problemi concreti: per gestire questo patrimonio si dovevano nominare custodi e amministratori. Oggi la mole dei beni sequestrati e confiscati da gestire è enorme: serve assolutamente un testo unico. Paradossalmente, infatti, sequestro e confisca sono facilmente realizzabili, il problema è restituire ad un circuito virtuoso, alla collettività degli onesti, i beni confiscati. Soprattutto la parte complicata è quella che concerne le grandi imprese, per le quali a volte la gestione e’ difficile. Ci vuole una costruzione che sia a 360 gradi e che i giudici non sono in grado di fare da soli, servono manager che aiutino a capire se le imprese sono salvabili o da far fallire. Altrimenti continuiamo ad assistere ad una situazione di stallo”. Per Morici, “il testo licenziato alla Camera nel novembre del 2015 è un buon testo, contiene novità importanti”. L’ex magistrato non critica neppure la parte oggetto di forti critiche da parte dei parlamentari Cinque Stelle che prevede che i giudici dei tribunali di prevenzione possano nominare come amministratori giudiziari anche i dipendenti di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, una Spa partecipata al 100% dal ministero dell’Economia. “Le critiche dei Cinque Stelle possono avere una loro giustezza – osserva il magistrato – tuttavia bisogna trovare manager che si assumano la responsabilità di dire in breve tempo se una impresa può o no andare avanti. Gli stessi amministratori giudiziari non sempre sono manager e non lo è certamente il giudice: quanto più è complessa l’impresa tanto più è importante lo schieramento che lo stato deve mettere in campo. A Invitalia dovrebbe avere personale a conoscenza del mondo delle imprese, inoltre c’è sempre il controllo dell’autorità giudiziaria”. “La necessità di un contrasto alle mafie – conclude il magistrato – e’ attuale e non affatto superata”. Sono circa 27 mila gli immobili e le aziende sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata al 31 dicembre scorso ma ad oggi oltre l’85% delle imprese sottratte alla criminalità finisce per fallire, lasciando una scia di disoccupazione e di costi per le casse pubbliche.