La lettera di Don Luigi Ciotti

A Davide non dico grazie.

Tutto ciò che di buono ha fatto in questi cinque anni di attività parlamentare – di cui queste pagine offrono ampio resoconto – non è nient’altro che il suo dovere di persona e di cittadino.

Chi viene dal “sociale” – e Davide da lì viene – lo sa.

Sa che la politica, prima che una professione, è un servizio, uno dei più complessi e coinvolgenti. Paolo VI lo definì «la più alta e esigente forma di carità».

Parole quanto mai appropriate: politica è vivere per gli altri e negli altri, mettersi nei loro panni, assumerne i bisogni e condividerne le speranze. Occorrono conoscenza e competenza, certamente. Ma prima ancora sensibilità e generosità.

Il percorso di Davide Mattiello muove da questi presupposti. Ci conosciamo da molti anni. Abbiamo condiviso iniziative e progetti, avuto confronti e discussioni, a volte anche divergenze. Ma di lui ho sempre apprezzato la passione e l’integrità, qualità che hanno caratterizzato anche la sua attività di parlamentare.

Non è scontato. La politica, se non si è formati moralmente e culturalmente, rischia di diventare un addestramento al cinismo e all’opportunismo. È la malattia del potere, malattia subdola e contagiosa che non riguarda solo la politica e che spiega il persistere nel nostro Paese di mafie e corruzione.

Davide ne è stato immune. Ha saputo navigare in questo difficile mare senza tradire i suoi riferimenti etici e spirituali. Ha servito la politica, invece di servirsene. Ha dato prova di affidabilità e di serietà. Ha praticato la difficile arte dell’ascolto e della mediazione. È stato umile: dote rara in un’epoca in cui prevalgono l’egocentrismo, l’esibizionismo, l’autopromozione, la ricerca spasmodica di consenso.

Queste pagine, come detto, ne sono la prova. Dal codice antimafia al contrasto al caporalato, dall’edilizia scolastica alla normativa sui testimoni di giustizia – solo per citare alcuni temi – ha lavorato sodo per innalzare il grado di democrazia e di giustizia sociale. Ha fatto quello che dovrebbe fare ogni politico che abbia a cuore il bene comune, a prescindere dal partito.

Con le imminenti elezioni questa stagione difficile ma proficua volge al termine. Non so cosa Davide intenda fare. Ma so che qualsiasi cosa farà, lo farà con lo spirito di servizio e con il senso di responsabilità che nobilita non solo la politica ma l’esistenza intera di una persona.

Don Luigi Ciotti

(Per scaricare il bilancio di mandato puoi cliccare QUI)

Voto di scambio: missione compiuta

Voto di scambio politico mafioso: missione compiuta.Con la definitiva approvazione dell’AC 4368 le pene previste per il 416 ter passano nel minimo a 6 anni e nel massimo a 12 (ora il minimo è 4, il massimo è 6), in coerenza e proporzione alle già innalzate pene per il 416 bis.Abbiamo così rispettato l’impegno che ci eravamo presi, ma anche le indicazioni della Corte Costituzionale. Così abbiamo compiuto il percorso iniziato nel 2013.Il vecchio 416 ter, introdotto nel 1992, per oltre 20 anni non era servito quasi a niente. Il nuovo 416 ter anticipa il momento della commissione del reato allo scambio delle le promesse e amplia le condotte perseguibili alle “altre utilità”. Punisce quindi duramente il politico che cerchi il sostegno della mafia in campagna elettorale, ma punisce autonomamente il mafioso che si presta allo scambio. Una pena grave, ma necessaria a rimarcare che la mafia non avrebbe la forza che ha senza l’interlocuzione con la politica e quindi il politico che cerchi il suo sostegno, contribuendo a legittimarla socialmente, ne perpetra la sopravvivenza.Rispetto alle parole “mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis” che hanno creato qualche incertezza, sono state di conforto le più recenti parole del PNAA, Franco Roberti: “Dopo un iniziale periodo di rodaggio della nuova versione dell’articolo 416 ter, la nuova giurisprudenza della Cassazione si è assestata su una interpretazione che secondo me rende questa norma applicabile, agibile, e quindi c’è uno strumento in più per contrastare le connessioni politico-mafiose che sono come sappiamo tutti la vera forza delle mafie”

21 Marzo: da don Ciotti monito alla politica

Da don Ciotti monito alla politica perché non aspetti la magistratura per selezionare la classe dirigente. In un passaggio don Ciotti intervenendo da Locri ha detto che è sempre più difficile distinguere tra criminalità politica ed economica: è proprio questo il punto. In Italia il metodo mafioso ispira troppe consorterie segrete il cui crimine è il sistematico dirottamento di risorse pubbliche e destini personali. Magistratura e Forze dell’Ordine fanno quello che possono in fase di repressione ma è soprattutto la politica che deve saper interrompere la funzione di queste consorterie discernendo tra persone per bene e persone che per bene non sono in ragione delle relazioni di cui sono portatrici. Per questo per me è così rilevante la irrisolta vicenda della latitanza di Matacena e l’assenza di un trattato di cooperazione giudiziaria con gli Emirati. Intanto la lista dei delinquenti italiani che riparano negli Emirati si allunga!

Le cose che non so di questo 2016

Non
so perché il Governo italiano non abbia posto fine alle latitanze spudorate di
Matacena, Speziali, Nucera, Imperiale, Landi… Latitanze alla luce del sole, che
offendono il lavoro serio di investigatori e magistrati, che feriscono le
persone per bene, soprattutto quelle che si trovano a dover decidere se
affidarsi alle Istituzioni, magari denunciando ciò che hanno visto o peggio,
subito.

Non
so perché sia morto Omar Pace, ma so che ha vissuto servendo lo Stato e che il
suo lavoro prezioso non era finito.

Non
so perché la Procura di Palermo da un lato prepari il ricorso contro
l’assoluzione di Mannino, giudicando illogiche le motivazioni con le quali il
GUP ha ritenuto le dichiarzioni dei collaboratori non provanti gli addebiti e
dall’altro chieda l’archiviazione per il delitto Agostino-Castelluccio benchè a
sostegno dell’accusa ci siano molteplici e convergenti dichiarazioni di
collaboratori, ritenuti credibili almeno quanto quelli che hanno parlato di
Mannino.

Non
so perché nell’estate del 2013 qualcuno abbia fatto uscire dalle stanze della
DNA i verbali di due riunioni segrete, utili a ricapitolare anni di lavoro
sulle stragi di mafia coordinati dal dott. Donadio, su delega del PNA dott. Grasso.
Ma so che sotto procedimento disciplinare ci sta proprio il dott. Donadio e non
chi ha divulgato quelle informazioni.

Non
so perché il Tribunale di Milano all’apertura del processo BIS per l’assassinio
del giudice  Bruno Caccia, non abbia
ammesso come “testi” i colleghi e i collaboratori di allora: come se per il
delitto Chinnici, non fossero stati ascoltati Falcone, Pellegrini, Cassarà. Ma
tanto ora c’è il processo TER da ri-cominciare.

Non
so perché a Totò Cuffaro, condannato per aver passato informazioni segrete a
Cosa Nostra, nessu Tribunale tocchi l’ingente patrimonio (eppure la confisca in
questi casi dovrebbe essere obbligatoria). E non so perché sia stato criticato
più il presidente dell’ARS Ardizzone per aver negato a Cuffaro la sala
“Mattarella”, che Cuffaro per essersi auto assolto con la nefasta battuta di
aver “sbattuto” contro la mafia.

Non
so perché per arrivare negli uffici della DDA di Reggio Calabria si debba
passare per i cessi del VI piano del Ce.Dir. e il nuovo Palazzo di Giustizia
nella migliore delle ipotesi sarà inaugurato nel 2018.

Non
so perché nonostante pure in Canada faccia notizia la ferocia della ‘ndrangheta,
nessuna grande testata giornalistica apra redazioni adeguate a Reggio Calabria,
contribuendo di fatto alla vulnerabilità di certi giornalisti.

Non
so perché Governo e Regione siciliana abbiano promosso la nascita di un
monopolio nella navigazione, attraverso la Società di Navigazione Siciliana,
che sta nelle mani di poche famiglie tra le quali Matacena, Genovese, Franza.
Ma so che appartiene alla SNS la Sansovino dove il 29 novembre sono morti
asfissiati dai gas Christian
Micalizzi, Gaetano D’Ambra e Santo Parisi.

Non so se Pino Maniaci sia un
delinquente, che passerà alla storia del crimine per aver inventato le
estorisioni con IVA, o un minchione che con la sua Telejato ha avuto il
coraggio di puntare il dito contro colletti bianchi che si comportano da
mafiosi o che con i mafiosi ci hanno fatto affari. Ma so che di sequestri e
metano torneremo a parlare.

Non
so perché Matteo Messina Denaro sia ancora libero, nonostante tutta la terra
bruciata dalla quale è circondato, grazie al lavoro incessante coordinato dalla
dott.ssa Principato. Ma so che nomine, trasferimenti e assegnazioni sapienti
hanno disperso un patrimonio di memoria scomoda costruito da investigatori
mordaci e marginalizzato l’apporto di magistrati competenti.

Non
so perché Angiolo Pellegrini, generale dell’Arma e capitano a Palermo negli
anni in cui con Falcone prendeva forma il maxi-processo a Cosa Nostra, non sia
mai stato sentito in Commissione Antimafia, nemmeno per capire, secondo il
generale, chi e perché “si è tirato indietro sul più bello”.

Non
so perché a Gaetano Saffioti, imprenditore di Palmi, testimone di giustizia, in
Calabria non lo facciano lavorare, nemmeno quando dice di volerlo fare gratis.
Ma so che in giro per il Mondo è famoso ed apprezzato per il suo “cemento
trasparente”.

Non
so perché Bendetto Zoccola, vice Sindaco di Mondragone, che vive blindato
dall’esercito con la sua famiglia per le denunce che ha firmato, non sia ancora
stato risarcito per il danno che ha subito a causa delle botte e delle bombe.

Non
so perché a Luigi Gallo, imprenditore casertano che ha denunciato il sistema
riferito ai Cosentino, rischi oggi di fallire nonostante il riconoscimento
ottenuto dal Commissario del Governo per le vittime di racket, schiacciato
dalle pretese di ANAS.

Non
so quanto sia forte l’abbraccio osceno tra ‘ndrangheta e massoneria a Vibo
Valentia, ma so che c’è chi ancora sta pagando per aver fatto nomi che non si
dovevano fare. Ed è una buona notizia che il processo Black Money non sia stato
spostato a Salerno come chiesto dalle difese di Mancuso.

Non
so se Mimmo Lucano sarà ancora il Sindaco di Riace, ma so che l’Italia per bene
gli sarà accanto in questi giorni difficili, perché non sia col fango che venga
scritta l’ultima pagina di una storia che ha fatto germogliare dignità e
speranza dove per molti ci sono soltanto speculazione e abbandono.

So che avremo un anno nuovo di zecca per continuare a
cercare tutte le risposte.

Buon 2017!

Davide Mattiello

‘Ndrangheta: politica agisca piu’ in fretta

(ANSA) – ROMA, 10 MAG – “Non posso non rilevare che un’altra inchiesta delicata e complessa e’ stata condotta dalla Dda di Reggio Calabria che rischia di dover traslocare se verra’ soppressa la Corte d’Appello”: a rilevarlo e’ il deputato del Pd Davide Mattiello, componente della Commissione parlamentare Antimafia, a proposito dell’operazione “Fata Morgana”. “La firmano – osserva Mattiello – quei magistrati che per arrivare in ufficio devono passare per i bagni del Cedir, il Centro direzionale, perche’ i lavori del nuovo Palazzo di Giustizia non sono ancora finiti. Che sono state sequestrate 12 societa’ ma che d’altra parte la riforma del Codice antimafia approvata dalla Camera l’11 novembre, avanza molto lentamente in Senato. Che l’inchiesta riguarda l’ipotizzata rete tra ‘ndrangheta, massoneria, politica e imprenditori funzionale al dirottamento degli appalti pubblici e d’altra parte il Trattato di cooperazione giudiziaria tra Italia ed Emirati, che consentirebbe di estradare l’ex parlamentare di FI Amedeo Matacena latitante a Dubai, e’ sparito dai radar”. “Infine si parla di affari sullo Stretto che la interrogazione parlamentare che ho presentato per illuminare l’acquisto da parte di Societa’ di navigazione siciliana (Sns) della Siremar e’ ancora trattenuta dall’Ufficio del sindacato ispettivo della Camera che da due settimane mi chiede approfondimenti, sempre soddisfatti, e limature al testo, accordate purche’ non dirimenti, cio’ nonostante…insomma, ammesso che i magistrati debbano fare il loro lavoro e i politici il proprio, ho l’impressione che noi dovremmo fare qualcosa in piu’..e’ pure in fretta!”, conclude il parlamentare

Rende, Anas, Sistema Reggio e Breakfast:  no ingerenze indebite in politica

(ANSA) – ROMA, 26 MAR – “Tra la vicenda ‘Rende’, quella ‘Anas’, il ‘Sistema Reggio’ e la vicenda "Breakfast” esistono legami? Non tanto e non solo sul piano penale, quanto sul piano sociale ovvero del sistema di relazioni politico-economiche-criminali-massoniche". A chiederselo e’ Davide Mattiello (Pd), componente delle commissioni Giustizia e Antimafia, che punta il dito su eventuali “legami che, se verificati, potrebbero aiutarci a illuminare un ambiente popolato da soggetti in posizione di interdipendenza reciproca”. “Fare questo lavoro – aggiunge l’esponente dem – consentirebbe intanto di valutare quanto la politica sia libera di occuparsi dell’interesse generale e quanto invece sia dipendente da ingerenze indebite, se non illecite e consentirebbe di valutare la capacita’ di penetrazione delle organizzazioni mafiose. Anche a beneficio delle proposte che in sede parlamentare andranno fatte per rendere sempre piu’ efficaci gli strumenti di prevenzione e repressione”, conclude Mattiello

Il cratere di Capaci è enorme per la politica

(ANSA) – ROMA, 25 GEN – “Era il 5 Novembre 2015 e il giornalista Attilio Bolzoni terminava il suo pezzo constatando che il cratere di Capaci rischia di essere troppo grande per un’aula di giustizia. Era il pezzo con il quale commentava l’assoluzione di Calogero Mannino a Palermo, costola e al tempo stesso perno dell’impianto accusatorio del processo sulla "trattativa”. Quel ‘cratere troppo grande’ si scrive potere e si legge politica". A scriverlo e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, in un contributo pubblicato sul blog del prof. Nando dalla Chiesa, in cui fa riferimento, tra l’altro, alla latitanza dell’ex parlamentare di FI Amedeo Matacena a Dubai “che si protrae dall’agosto del 2013, come se non ci fosse modo per farla finire”, ai collaboratori di giustizia “che confermano quasi 30 anni dopo che ‘Faccia di mostro’ non e’ l’ossessione paranoica di un vecchio padre e di qualche magistrato tendenzioso”, alle parole di denuncia del procuratore aggiunto Teresa Principato sulle coperture alto locate di cui gode la latitanza di Messina Denaro, all’archiviazione chiesta e ottenuta sui depistaggi di Via D’Amelio. “Nel momento in cui si prova a spostare lo sguardo dalle aule di giustizia a quelle parlamentari, ci si rafforza nella convinzione che difficilmente il potere giudica se stesso con quella alterita’ che permetterebbe di chiamare le cose per nome. Qualche volta capita, ma il prodotto rischia di avere piu’ il sapore della resa dei conti che della verita’, perche’ capita in certe situazioni rare, frutto di un drammatico ribaltamento dei rapporti di forza. Non e’ ora quel tempo: questo e’ il tempo della rassicurazione reciproca, in nome di una certa idea di Italia e del suo futuro”, conclude il deputato.

Pene più severe sul voto di scambio: un impegno mantenuto. L’Aula ha confermato a larghissima maggioranza il voto della Commissione Giustizia: le pene del 416 ter salgono a 6-12 anni. Ci eravamo impegnati in tal senso, mantenendo la proporzione con l’innalzamento delle pene del 416 bis, votata in primavera. Il nuovo reato di scambio politico mafioso è consumato nel momento in cui politico e mafioso si accordano ed è l’accordo e soltanto l’accoro che va dimostrato, non rilevando quanto capiti successivamente. E’ una forte anticipazione della consumazione del reato, oltre alla estensione del perimetro delle condotte contemplate, avendo introdotto le “altre utilità” come si chiedeva da vent’anni

Sul riscatto della politica

L’ho scritto per oggi, che sto andando a Roma alla manifestazione. L’Unità l’ha pubblicato, integralmente… Non cambio punto di vista:

3 Settembre 1982 Palermo – 3 Settembre 2015 Roma
la morale della politica sta in ciò che fa

Il 3 Settembre, 1982 a Palermo venivano uccisi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo. La manifestazione indetta dal Partito Democratico a Roma per reagire a quanto accaduto in occasione del funerale di Vittorio Casamonica, si terrà proprio il 3 Settembre: la coincidenza impone di guardare all’oggi anche attraverso la lente di quel maledetto 3 Settembre, 1982.
Almeno due connessioni impressionano.
Nell’intervista concessa a Giorgio Bocca il 10 Agosto di quello stesso anno, Dalla Chiesa dirà: “Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”
La mafia si sconfigge rendendola inutile. Ecco il cuore della intuizione di Dalla Chiesa, l’essenza della rivoluzione di un’Italia liberata dalle mafie: far funzionare lo Stato. Fare in modo che lo Stato diventi pienamente Repubblica, secondo il dettato della Costituzione. Vale ancora per noi oggi, soprattutto per chi fa politica: fare politica e voler continuare nell’impegno contro le mafie e la corruzione, significa far funzionare lo Stato, erodere il consenso di cui ancora godono questi sodalizi, dimostrando concretamente che esiste una convenienza maggiore nel vivere secondo la legge, anziché secondo la protezione del clan.
La seconda connessione sta nella consapevolezza che il generale manifesta in vita e che le inchieste successive al suo assassinio amaramente confermeranno, della sua specialissima solitudine. Perché c’è una solitudine fisiologica cui va incontro chiunque cerchi di fare bene il proprio dovere istituzionale e c’è una solitudine specialissima: quella indotta in maniera sofisticata dallo Stato medesimo, quando decide di “posare” un proprio servitore. Certo lo Stato è sempre fatto di persone in carne ed ossa, ognuna con una propria personale responsabilità ed è per questo bisogna sempre distinguere e insistere nell’occupare le Istituzioni con persone perbene. Ma dovremmo smettere una volta per tutte di parlare di “pezzi deviati” dello Stato, perché se fossero tali, sarebbero stati prima o poi perseguiti e puniti. Invece. Bisognerebbe forse parlare di “pezzi importanti” dello Stato. Pezzi importanti dello Stato che pur sapendo quanto alto fosse il livello di rischio cui era sottoposto Dalla Chiesa, presero tempo, lasciarono che le cose andassero come dovevano andare: i poteri richiesti dal generale-prefetto non vennero deliberati dal Governo, ma con straordinaria tempestività un attimo dopo il suo assassinio, qualcuno era già entrato nel palazzo della Prefettura di Palermo, aveva aperto la cassaforte e asportato i documenti riservati delle indagini di Dalla Chiesa. La consapevolezza che queste cose nel nostro Paese sono accadute ripetutamente è capillarmente diffusa tra gli italiani e lavora come un gas velenoso e inodore, che ti assale e un poco alla volta ti lascia senza speranza nelle Istituzioni e nella politica. Ecco perché il riscatto della politica in territori divenuti pascoli mafiosi, non può che richiedere un rigore estremo nel separare radicalmente ed esplicitamente, direi pubblicamente, ogni forma di relazione ambigua con persone ed ambienti le cui condotte sono note. Non c’è norma penale o codice etico che tenga nell’imporre questo modo di fare politica, c’è soltanto la coscienza di dover rispondere alla propria comunità e ai cittadini, è quella serissima onorabilità che alcuni hanno pagato con la vita, altri con l’abbandono. Che per chi ama la politica è un modo di morire un poco alla volta.

Davide Mattiello

Importanti le parole di Rosy Bindi su mafia e politica

(ANSA) – ROMA, 29 NOV – “Le parole della Presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi su mafia e politica, sono la risposta migliore alle critiche e sono il segno di un percorso rigoroso ormai intrapreso”. Lo afferma il deputato Pd Davide Mattiello, componente della Commissione antimafia, dopo che, al termine dell’audizione di due giorni fa dei Pm palermitani in Commissione Antimafia, la Bindi ha annunciato l’intenzione di aprire un’inchiesta sul rapporto tra mafia e politica. “Senza mai interferire con il lavoro della magistratura, questo e’ il metodo che ci siamo imposti, e’ tuttavia emersa la necessita’ di avviare una inchiesta sul tema del rapporto tra mafia e politica: lo imposteremo e sara’ uno dei filoni del lavoro della Commissione antimafia nei prossimi mesi”, aveva detto Bindi. “Auspico che diventi il modo per mettere insieme e approfondire pezzi di un puzzle che la Commissione ha gia’ tra le mani, avendo lavorato molto in questo primo anno”, osserva Mattiello. A cominciare dalla latitanza a Dubai di Amedeo Matacena, gia’ deputato di Forza Italia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, “che gli Emirati non estradano in Italia, nonostante i documentati e reiterati sforzi delle Autorita’ italiane competenti. Chi protegge ancora Matacena?”, si chiede l’esponente del Pd. “Bene faremmo in Commissione a riprendere il filo della rete di alleanze, considerando anche le motivazioni della sentenza di condanna di Marcello Dell’Utri, che meritano una valutazione sul piano politico alla luce dell’attualita’ e vitalita’ di certi legami”, conclude Mattiello