PSE Congresso 2024

Chissà se i posteri ricorderanno il Congresso del Partito Socialista Europeo celebratosi a Roma come l’inizio della svolta oppure semplicemente no, non lo ricorderanno affatto.

Che svolta? Quella che serve per salvare la democrazia in Europa.

Sono passati soltanto pochi decenni da quando la democrazia liberale, basata sul suffragio universale, è diventata la forma di organizzazione sociale dell’Unione Europea eppure i segni di decadimento sono drammatici e sotto gli occhi di tutti. Tra tutti quelli che ognuno di noi può elencare, forse il più preoccupante è di natura culturale ed ha a che fare con l’evocazione della guerra come necessità storica ineludibile. L’appello al riarmo dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha avuto una eco davvero inquietante. Sembrano lontani anni luce i motivi ispiratori che innescarono il processo di unificazione europeo: l’orrore delle due guerre mondiali, dei totalitarismi liberticidi, del dispotismo razziale. MAI PIU! La forza utopica di queste due piccole parole animò il miracolo politico del primo ed unico processo di devoluzione volontaria di sovranità, finalizzato a costruire una casa comune retta da quella “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello) che prometteva di essere l’alternativa praticabile alla prepotenza delle identità, l’una contro le altre armata.

Sappiamo come sono andati i successivi settant’anni.

L’utopia del MAI PIU è stata osteggiata e contraddetta in ogni modo possibile, generando una dinamica tanto tragica che manco il mito di Sisifo la potrebbe adeguatamente simboleggiare.

Così, mentre da un lato generazioni di democratici hanno lavorato perché guerra e dispotismo uscissero per sempre dalla storia (europea e del Mondo), attraverso la progressiva affermazione di norme e pratiche per la gestione non violenta dei conflitti e per la giustizia sociale, dall’altro gruppi più o meno strutturati hanno lavorato al contrario perché la volontà del più forte, fosse legge, come sempre era stato. L’Italia è stato teatro “privilegiato” della tensione tra queste due vere e proprie “masse continentali” in movimento contrario. Un movimento che ha stritolato decine di vite a Peteano, in piazza Fontana, in piazza della Loggia, a Bologna, con le bombe del ’92 e del ’93, fino a quella inesplosa del gennaio ’94, che ha avvelenato i pozzi della vita politica con la iniezione dentro le istituzioni repubblicane di dosi abbondanti di fascisti a malapena coperti da un manto di formale presentabilità. Fino alla perfetta ricapitolazione degli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi) che, arrivati al Governo attraverso libere elezioni cento anni esatti dopo la criminale “marcia su Roma”, stanno adoperando le istituzioni democratiche per riscrivere la storia e prendersi la rivincita sulla sconfitta subita nel ’45. Una sconfitta avvertita sempre e soltanto come militare e mai davvero anche culturale. Questa rivincita è quella che sognano tutti i movimenti nazionalisti, più o meno dichiaratamente neo fascisti, che serpeggiano per l’Europa, insofferenti da sempre all’idea stessa di uguaglianza tra umani e per questo irriducibilmente contrari alla democrazia pluralista, relativista, alla società aperta, per questo sempre un po’ disordinata e disubbidiente. E’ la rivincita che ha prodotto criminali come Breivik, capace di assassinare a sangue freddo 69 tra ragazzi e ragazze della gioventù laburista norvegese, colpevoli di partecipare ad un campo di formazione politica sull’Europa democratica, laica, plurale. Succedeva ad Utoya il 22 Luglio del 2011. Breivik, arrestato, processato ed incarcerato, si sta probabilmente godendo dalla sua cella il progressivo, apparentemente inarrestabile successo di tante di quelle forze di estrema destra cui proprio lui aveva inviato il suo “manifesto”, prima di commettere la strage.

Oggi però la sfida è arrivata al suo ultimo tornante, perché a sostegno di questi movimenti nazionalisti antidemocratici, milita una forza senza precedenti rappresentata da quella parte di “turbo-capitalismo” globale che ha capito di poter funzionare senza democrazia. A questo capitalismo servono consumatori imbecilli, non cittadini allenati alla sovranità.

Il PSE saprà guidare la svolta, facendo delle prossime elezioni europee il fatto politico che sarà ricordato dagli storici come il fatto che ha salvato la democrazia in Europa?

Dipenderà da tanti fattori.

Tra questi, uno che mi sta a cuore: la credibilità del personale politico che servirà al PSE per scatenare una offensiva culturale e poi politica contro la corruzione del potere, i conflitti di interesse, le contiguità tra mafie e “colletti bianchi”, le concentrazioni di potere privato in gangli essenziali della vita pubblica come i media, la sanità, la tecnologia militare, contro le “porte girevoli”, per la trasparenza dell’attività politica. Partendo insomma da un più modesto, ma essenziale, MAI PIU trolley pieni di soldi, MAI PIU sms tra i vertici della Commissione ed il capo di una multinazionale farmaceutica.

Mario Paciolla

Battersi per la verità sulla morte di Mario Paciolla riguarda il futuro di tutti noi, riguarda la possibilità stessa di abitare un Mondo migliore, nel quale la volontà del più forte non sia l’unica legge. Il Mondo migliore per il quale Mario ha speso la sua vita.

Perché questo incipit non appaia una iperbole retorica devo subito chiarire la convinzione dalla quale muovo nel proporre questa riflessione: non credo che Mario si sia suicidato. Sono convinto che Mario sia stato ucciso e che della verità sulla sua morte debba farsi pienamente carico l’ONU.

I fatti disponibili su cui ragionare sono noti a coloro che a partire dal luglio del 2020 hanno cercato di capire cosa fosse successo.

Il 15 Luglio del 2020 Mario si sarebbe tolto la vita, impiccandosi e di questo la famiglia è stata informata da personale ONU. Mario stava collaborando con la missione ONU incaricata di monitorare il processo di pace colombiano.

Mario sarebbe tornato in Italia cinque giorni dopo, il 20 Luglio ed aveva già fatto sapere alla mamma, Anna, cosa avrebbe voluto mangiare. L’abitazione colombiana di Mario è stata ripulita immediatamente dopo la sua morte da personale ONU e diversi oggetti sono scomparsi. Dal 2019 Mario aveva cominciato a manifestare forti preoccupazioni proprio per il lavoro che stava facendo per le Nazioni Unite, per quello che aveva visto e documentato, per le tensioni che ciò stava provocando all’interno della missione medesima e tra la missione ed il Governo colombiano. Non si sentiva più sicuro Mario, aveva la sensazione di essersi cacciato in un brutto guaio, al punto da cancellare dal web foto e scritti. Io non so cosa sia successo tra il Novembre del 2019 ed il 15 Luglio del 2020, ma immagino che siano stati mesi tormentati. Ad ogni modo, per Mario la via di fuga era evidentemente rappresentata dal ritorno in Italia, niente di più. Niente che facesse pensare che Mario per lasciarsi alle spalle preoccupazioni e dispiaceri potesse farla finita, con la vita. La Procura di Roma competente per una vicenda del genere, ha aperto una inchiesta per valutare l’ipotesi di omicidio ed ha dovuto scontare immediate difficoltà nell’ottenere collaborazione con le autorità colombiane e con l’ONU. La Procura di Roma ha proposto recentemente l’archiviazione della indagine per insufficienza di prove, la famiglia ha fatto opposizione, il GIP deciderà se assecondare la richiesta della Procura o se ordinare nuove indagini. Non è stata ancora fissata udienza.

Convinto come sono che Mario sia stato ucciso, penso che Mario e la sua famiglia meritino ogni sforzo, come merita ogni vittima di violenza. Ma in questo caso c’è qualcosa di più, come anticipavo in premessa. In gioco qui c’è anche la credibilità stessa delle Nazioni Unite, cioè di quella organizzazione mondiale che più di ogni altra incarna il sogno di un Mondo dove la guerra sia stata abolita, dove la guerra sia dichiarata illegale, dove i conflitti trovino necessariamente ed efficacemente una soluzione negoziata, sulla base del diritto internazionale. Un sogno che alla luce di quanto accade e di quanto accaduto dal 1945 ad oggi può sembrare puerile, un sogno da “anime belle”, buono soltanto per ingenui ed imbecilli. Un sogno che nessuno pare abbia più nemmeno la voglia di fare, se è vero come stabilisce il Censis nella sua ultima fotografia dell’Italia, che 8 italiani su 10 non hanno più nessuna intenzione di fare sacrifici per tentare di migliorare le cose. Si salvi chi può, insomma. E chi può di solito è il più forte. Eppure, mi permetto di dire, questo sogno è stato il sogno di Mario, il sogno per il quale ha vissuto e per il quale è stato ucciso. Un sogno corrotto anche da chi incista e perverte pure l’ONU, cercando di farne soltanto l’ennesima agenzia di potere. Un po’ come accade in Italia nel rapporto mortifero tra Istituzioni repubblicane, che dovrebbero servire ad abolire il dispotismo fascista e mafiosi, che invece di dispotismo sono campioni. Mi sono convinto che questo sogno fosse proprio il sogno di Mario avendo letto che Mario era arrivato a collaborare con l’ONU in Colombia dopo aver fatto parte delle PBI: le Peace Brigades International ovvero quanto di più radicalmente utopico io conosca sul fronte della gestione nonviolenta del conflitto. Le PBI fanno una cosa semplice ma potentissima: la scorta civile ed internazionale di soggetti a rischio della vita per le battaglie che fanno nei loro Paesi. Con la loro presenza fisica, insomma, alzano il prezzo della violenza, rendendola (cercando di renderla) sconveniente: chi intendesse ammazzare uno di questi attivisti, dovrebbe mettere in conto di ammazzare anche questi scomodi ed invadenti accompagnatori internazionali. In Italia qualcosa di simile viene fatto da Operazione Colomba. Mario era stato in Colombia con le PBI: Mario era un testimone di quel sogno. In questi mesi, anche a causa della invasione russa dell’Ucraina, ci stiamo chiedendo cosa si possa fare per dare ancora una speranza alla pace, cioè ad un Mondo che ripudi la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, ecco, sicuramente una cosa da fare è salvare l’ONU dalla sua definitiva decadenza. Per questo credo che l’ONU debba farsi pienamente carico della verità sulla morte di Mario: la giustizia per Mario è giusta anche per l’ONU di cui il Mondo ha bisogno. Chi sa, parli, non è troppo tardi.

 

Europa Federale

Nella Polonia che ha appena scommesso sull’europeista Tusk, quell’estintore usato platealmente dal parlamentare dell’ultra destra per spegnere le candele di Hanukkah dà la misura del rischio che stiamo correndo, quello di una Unione Europea snervata dai nazionalismi bellicosi, servi in ultima istanza del turbo capitalismo globale e di chi lo cavalca.

L’Unione Europea è un miracolo della storia di cui dovremmo essere consapevoli ed orgogliosi. Un processo di avvicinamento e di devoluzione progressiva di sovranità nazionale generato dall’incubo delle due guerre mondiali e dei totalitarismi del ‘900. Mai prima nella storia occidentale è capitata una cosa del genere e mai più capiterà se non reagiamo a questa drammatica deriva violenta. L’Unione Europea è figlia del più convincente “Mai Più!” di cui siamo stati capaci: mai più nazionalismo, mai più razzismo, mai più guerra. La nostra Costituzione repubblicana, anti fascista ed anti razzista, sta nel medesimo solco culturale della costituzione della UE ed infatti è minacciata dalla destra nostrana attraverso le medesime linee di attacco con cui i nazionalisti in tutta Europa aggrediscono la UE: svuotare e delegittimare il Parlamento.

Non deve stupire: il Parlamento è il riflesso del suffragio universale e questo a sua volta è il simbolo della uguaglianza di tutte e tutti di fronte alla legge, che a sua volta riposa sulla convinzione che tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali. Ed è proprio l’uguale dignità di ogni essere umano che i nazionalisti aborrono, preferendo alimentare la prospettiva di una società divisa tra umanità di serie A ed umanità di serie B: non è forse di questa visione che è portatore il “mister X” della grande adunanza preparata dal fedele Donzelli?

Ed è proprio per questo che voglio lanciare un appello attraverso questo blog a quanti parteciperanno alla due giorni voluta dal Partito Democratico sull’Europa (che si aprirà a Roma venerdì 15), affinché emerga forte e chiara la volontà di fare del prossimo parlamento europeo, che eleggeremo a Giugno, un parlamento “costituente”. Un Parlamento cioè che raccogliendo quanto di buono è stato fatto con e dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa, rompa gli indugi e trasformi l’Unione Europea in una Repubblica federale fondata su uguali diritti ed uguali doveri.

Soltanto un salto di paradigma come questo potrà in maniera plastica rappresentare ed incoraggiare un modo diverso di pensare al nostro futuro. Così come la crisi climatica impone di inventare non un “motore” diverso per le nostre macchine, ma un “modo” diverso per le nostre economie, così la crisi della democrazia europea pretende non un diverso “trattato” che ritocchi gli equilibri tra Commissione, Consiglio e Parlamento, ma un “trattato” diverso: una Costituzione Repubblicana e federale che abbia nel Parlamento eletto a suffragio universale il proprio cuore pulsante.

Soltanto un progetto del genere avrebbe la forza di parlare ai milioni di giovani europei sfiduciati, impauriti, lontani dalla politica. Parlerebbe loro di una Europa più solidale, liberata dalle furbizie che ancora la offendono, perché avrebbe un unico sistema fiscale ed un unico sistema di protezione sociale. Parlerebbe loro di una Europa più capace di regolare il mercato, liberata dalla forza eccessiva delle lobby dei grandi gruppi e quindi anche più capace di tutelare l’ambiente e la salute. Parlerebbe loro di una Europa più capace di fare la pace perché liberata dalla soggezione che la rende ancora impotente spettatrice di volontà altrui. Parlerebbe loro di una Europa capace di contrastare la criminalità organizzata mafiosa e non, perché saldamente ancorata al rispetto della libertà di informare ed al diritto di essere informati (è ora che nella sede del Parlamento europeo trovino posto i volti di Dafphne Caruana Galizia, Jan Kuciak, Peter de Vries, Andy Rocchelli: giornalisti assassinati in Europa perché facevano i giornalisti).

Sono certo che milioni di orecchie e di cuori saprebbero avvertire l’importanza di parole simili e saprebbero rimboccarsi le maniche e lottare con il meglio delle proprie energie.

Altrimenti il rischio è che le parole suonino stanche, rituali, previste, utili per gli addetti ai lavori. Una religione senza fede, buona per accendere qualche cero non certo per “bruciare tutto”.

Soltanto qualche giorno fa abbiamo ricordato Antonio Megalizzi, il giovane europeo di origine italiana, assassinato durante l’attentato ai mercatini di Natale di Strasburgo (Antonio venne colpito l’11 dicembre e morì il 14).

La violenza terroristica ha spezzato la vita di Antonio, come quella dei 69 giovani laburisti norvegesi nella strage di Utoya del 22 luglio 2011, noi abbiamo il dovere di raccogliere i loro sogni e custodirli nell’unico modo possibile: facendoli diventare realtà.

 

EPPO Pandemia

Pare che i terremoti non siano prevedibili, ma ci sono (purtroppo!) buone ragioni per prepararsi al peggio.

L’epicentro del prossimo sisma rischia di essere nuovamente Bruxelles, a tremare ancora i palazzi delle Istituzioni europee e questa volta potrebbe non bastare l’intera scala Mercalli per misurarne l’intensità.

Cosa c’è infatti di più importante nella storia recente europea del COVID?

Qualcuno potrebbe obiettare: la guerra! Che abbia pazienza, perché ci arriverò nelle conclusioni di questa riflessione.

Cosa ci sarebbe di più grave e destabilizzante che scoprire che la gestione dell’emergenza pandemica sia stata effettivamente condizionata dall’incrocio illecito tra interessi privati (quelli delle multinazionali farmaceutiche, in questo caso) e potere pubblico?

Altro che “Qatar-gate”!

Il 18 Ottobre 2022, l’ANSA batteva una agenzia: la EPPO conferma di avere una indagine in corso sulla acquisizione dei vaccini COVID-19 in UE. Bastava questo stringato comunicato per far infiammare nuovamente le polemiche sullo scambio di messaggi tra la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, e l’amministratore delegato della Pfizer, Albert Bourla. Dagli uffici della Commissione ci si affrettava a dichiarare che sull’argomento non erano arrivate comunicazioni di alcun tipo.

La polemica si “ri-accende” (sul finire del 2022 poco prima che esplodesse la “bomba-Qatar”), perché la faccenda aveva già tenuto banco dopo che una denuncia era arrivata sul tavolo del Difensore Civico europeo, Emily O’Reilly.

Era l’inizio del 2022, precisamente il 28 Gennaio, quando la O’Reilly esprimeva pubblicamente una severa censura sulla opacità del comportamento della Von der Leyen, definendo episodio di “cattiva amministrazione” il diniego della Commissione europea all’accesso ai messaggi di testo scambiati tra la presidente e l’amministratore delegato Pfizer Albert Bourla.

Al “diniego” si era arrivati dopo che una giornalista aveva chiesto di poterli visionare, stante che di questi messaggi aveva dato notizia il New York Times già nell’Aprile del 2021 (quindi nove mesi prima!).

Era infatti il 28 Aprile del 2021 quando Martina Stevis-Gridneff scriveva sul NYT: “How Europe Sealed a Pfizer Vaccine deal with texts and calls” articolo nel quale, senza per la verità alludere a comportamenti potenzialmente illeciti, raccontava della trattativa, approfondita e diretta, tra Von der Leyen e Bourla, una trattativa resa urgente dai dichiarati affanni di AstraZeneca, una trattativa che portava all’acquisto di una quantità ritenuta da alcuni osservatori esorbitante di dosi vaccinali, una trattativa i cui dettagli conclusivi verranno mantenuti riservati.

Da questo articolo sono passati ormai quasi due anni ed è verosimile che nel 2023 i nodi vengano al pettine (non soltanto questi e non soltanto a livello europeo). E forse qualche segnale di nervosismo è lecito coglierlo se non più tardi del 5 Dicembre 2022 Bourla rifiutava, per la seconda volta, di comparire davanti alla Commissione “COVID” del Parlamento Europeo, quella presieduta dalla deputata belga Kathleen Van Brempt (S&D). Di lì a qualche giorno il “Qatar-gate” avrebbe sommerso ogni altra notizia e l’opinione pubblica europea avrebbe cominciato a familiarizzare con il sagace giudice istruttore belga, Michel Claise.

Con ogni probabilità il 2023 sarà un anno molto difficile per l’Unione Europea e se allo scoppiare del “Qatar-gate”, Orban ha immediatamente proposto di abolire il Parlamento europeo, cosa succederà se una inchiesta di questa portata dovesse travolgere la seconda gamba dell’architettura europea e cioè la Commissione? Ed eccoci alla guerra, quella scatenata da Putin invadendo l’Ucraina: quanto il prolungarsi del conflitto, con il suo inevitabile strascico di morte ed impoverimento, fiaccherà ulteriormente l’Unione Europea? La febbre del riarmo, reso sapientemente necessario, quanta giustizia sociale spazzerà via (per non parlare dei danni ambientali)? Insomma una tempesta perfetta scatenata sulla UE, con la complicità (anche inconsapevole) di funzionari e politici corrotti ed infedeli. Così perfetta che verrebbe da pensare ad una qualche raffinatissima regia, se non si corresse il rischio di essere immediatamente iscritti nella schiatta dei “complottisti”, condannati al discredito ed al dileggio. Qual è la posta in gioco? L’affossamento della Unione Europea.

Nel 2024 i cittadini europei saranno chiamati, salvo catastrofe, a votare per rinnovare il Parlamento europeo: c’è bisogno di prepararsi per tempo e per bene, perché sarà un giro di boa senza precedenti. Ci può ancora essere un futuro migliore, ma occorrono coraggio, visione e tenacia. Una rete vasta di organizzazioni europee da tempo sostiene che sia arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e fare del prossimo Parlamento europeo una vera Assemblea costituente con l’obiettivo di trasformare l’Unione Europea in una Repubblica Federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Una casa comune rispettosa delle differenze, ma capace di stare al Mondo con una sua propria forza. L’alternativa la conosciamo e puzza di autoritarismo, guerra e corruzione.

 

 

Cara Elly Schlein, ho ascoltato il tuo appello, ma non mi ha convinto

Cara Elly Schlein,
ho ascoltato con attenzione il tuo appello “pirata”. Ancora una volta ci ho trovato la tua passione e la tua intelligenza, ma non mi ha convinto e provo a spiegare il perchè.
L’idea di ri-organizzare tutto il campo progressista e non di ridipingere questa o quella casa nella quale fatalmente ci sarebbe sempre qualcuno a sentirsi “ospite” è senz’altro centrale, ma che per farlo serva una rete orizzontale che dia spazio a tutte le migliori energie, ecco questo no. Tu avevi 6 anni quando nel 1991 venne fondata La Rete, venne fondata il primo giorno di primavera (suggestione che poi sarebbe stata utile ad altre fondazioni), venne fondata da persone coraggiose ed appassionate come te alle quali mi legano profondi sentimenti di stima ed amicizia, venne fondata per liberare le migliori energie progressiste dalla trappola ammuffita delle contrapposizioni ideologiche, accese grandi speranze e mobilitò davvero un’onda di partecipazione.
Sarebbe troppo facile ed ingiusto chiosare dicendo che la Rete nel 94 già stava in pezzi, che i suoi leader “pirati” già stavano litigando tra di loro, che di lì a poco la Rete si sarebbe sciolta e che i suoi “nodi” avrebbero preso strade anche molto diverse. Sarebbe ingeneroso chiudere così ed anche politicamente sciocco. Il punto è un altro: al di là della durata della Rete, la Rete ebbe sicuramente un merito storico e dunque politico straordinario, colse in pieno lo spirito del tempo e lo interpretò.
Quale spirito? Quello del dopo ’89, quello della necessità di chiudere i conti della Terza Guerra Mondiale, quello di liberarsi di una classe dirigente che aveva gestito il potere pubblico anche appoggiandosi alla mafia (Leoluca Orlando era stato stretto collaboratore di Piersanti Mattarella). W la Rete!
Oggi una rete pirata orizzontale, un luogo dell’auto rappresentazione delle forze migliori interpreterebbe lo spirito del tempo? Quale tempo stiamo vivendo? Per me il tempo del trionfo del capitalismo globale della finanza, dei dati, dell’energia, della chimica e degli armamenti. Il tempo del trionfo delle grandi organizzazioni criminali di stampo mafioso (quasi mai citate negli elenchi delle priorità) che diventano un subdolo surrogato dello Stato sociale. Come possiamo pensare di entrare nel conflitto per la gestione del potere pubblico con formazioni che abbiano nella propria genetica organizzativa il baco della fragilità, della litigiosità, del personalismo (perchè poi ad un certo punto la rete pirata le liste le dovrà pur fare e tu sai bene cosa succede).
Le democrazie parlamentari nazionali sono già quasi completamente svuotate di capacità di governo, se vogliamo salvare quel che resta e lavorare per ribellarci ad un destino che qualcuno ha già scritto, dobbiamo andare in un’altra direzione. Quel “luogo dove darsi appuntamento” che tu evochi, c’è già ed è il Partito Democratico: fu quello il luogo nel quale dopo un cammino lungo e faticoso durato quasi 20 anni si diedero appuntamento le migliori forze progressiste italiane. Esperimento fallito e morto: io non credo. E non ci credo perchè dopo 25 anni di militanza sociale e politica non credo nel mito della palingenesi, del nuovo inizio ricreativo che supera tutte le contraddizioni precedenti. Ho visto talmente tanti compagni e tante compagne andarsene sbattendo la porta più o meno schifati e sicuri che in un altrove avrebbero costruito la Terra senza bachi, che non ne posso più.
C’è la fatica di stare nei processi e costruire, se ci si riesce, ogni volta un centimetro in più di libertà, di giustizia, senza presunzione, con tanta forza: si chiama resilienza. Da quando sto nel PD ho perso più di quanto ho vinto: fui della mozione Civati, poi della mozione Orlando… infine della mozione Zingaretti. Ho sofferto, come tanti, ma non ho mai pensato di andarmene.
Perchè continuo a credere nel progetto politico messo a fondamento del PD: persino nella vocazione maggioritaria!! E ci credo oggi più di ieri e sai perchè? Perchè noi abbiamo una battaglia politica storica da vincere (o da perdere!), una battaglia che ci darà o meno la possibilità di combattere tutte le altre (ambiente, giustizia sociale, pace, lavoro…) ed è la battaglia per trasformare la claudicante Unione Europea nella Repubblica d’Europa, Repubblica federale fondata sull’uguaglianza di diritti e di doveri.
Solo così potremo avere la possibilità di ri-entrare da protagonisti nel conflitto globale per la gestione del potere, solo così onoreremo la sovranità del popolo e daremo una speranza alla democrazia. Domenica 14 il PD terrà la sua assemblea nazionale (chi altri si può ancora permettere una assemblea del genere?) e ancora una volta faremo del nostro meglio per spingere la notte un passo più in là.
Davide Mattiello
Presidente della Fondazione Benvenuti in Italia

Stimato Vladimiro Zagrebelsky, la satira serve a denudare il “Re”

Stimato Vladimiro Zagrebelsky,
mi aiuti a capire, perché c’è un passaggio nel suo editoriale di ieri “Quando la satira si rifiuta di essere responsabile” che mi pare pericoloso.
Ma andiamo con ordine.
Difendere la laicità delle Istituzioni repubblicane significa assicurare una patente di impunità a quella particolare forma di libertà di espressione che è la satira? Certo che no ed il suo editoriale su questo è preciso e convincente. Abbiamo imparato che l’avverbio meno democratico che esista è “assolutamente”: in democrazia nessuna libertà è assoluta, cioè irriconoscente un limite. È vero il contrario: ogni diritto, ogni libertà, in democrazia presuppone il riconoscimento di un limite, di un dovere. Anche la libertà di espressione, la cui manifestazione può quindi sempre essere criticata duramente ed anche sanzionata giudiziariamente. E questo vale anche per le vignette satiriche di Charlie Hebdo.
Qual è il punto che mi suona pericoloso? Quello nel quale lei scrive:
“Il dovere di responsabilità implica l’attenzione alle conseguenze, anche a quelle che non si possono giustificare, ma che si provocano. Non si tratta di rinunciare ad una propria libertà, ma di gestirla, modularla e attuarla evitando posture narcisistiche indifferenti agli effetti sugli altri. Non è grave gettare a terra un cerino. Ma non ignorando di essere in un pagliaio”
A leggere queste parole mi è tornato in mente Peppino Impastato, quando dalla emittente radiofonica Radio AUT prendeva in giro niente meno che don Tano Badalamenti, chiamandolo “Tano Seduto”. Anche a Peppino dicevano che stava tirando un cerino in un pagliaio perché era ovvio che prima o poi i mafiosi avrebbero reagito secondo la loro natura e gliela avrebbero fatta pagare. Perché appunto: era nella loro natura. Un po’ come quando il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, commentando l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, disse che era una che “se l’andava a cercare”. Un po’ come quella preside che tentò di proibire le gonne corte delle allieve perché agli insegnanti “ci cadeva l’occhio”. Non ci si può autocensurare presupponendo la naturale reazione violenta di alcuni dei destinatari della propria espressione. Anzi talvolta la provocatorietà della espressione serve proprio a far saltare fuori il demone della violenza, a smascherarlo. La satira serve a denudare il “Re” qualunque esso sia, per capire di che pasta è fatto, di quale reazione è capace. In questo senso non è tanto un cerino gettato in un pagliaio, ma un osso gettato nel buio.
Davide Mattiello
Presidente Fondazione Benvenuti in Italia
Consulente della Commissione parlamentare antimafia

Autopsia di Simone Canale: l’importanza di guardare anche contro luce

Oggi a Simone Canale fanno l’autopsia.
Simone aveva una quarantina d’anni, ‘ndranghetista legato alla cosca Alvaro, decide saltare il fosso e diventa collaborare di giustizia, per questo sottoposto a speciale programma di protezione. Dal programma aveva deciso di andarsene (perché?) ma questo non aveva fatto venire meno il suo ruolo di testimone nei processi (alcuni tra i più importanti che si celebrano a Reggio Calabria) e quindi il dovere dello Stato di proteggerlo a prescindere (come?), perché il diritto alla sicurezza non è ‘on demand’ e nemmeno l’interesse pubblico alla celebrazione dei processi.
Qualche giorno fa è stato trovato morto in casa, nonostante stesse bene. Oggi Simone è su un tavolo autoptico perché il suo avvocato non ha accettato il primo rifiuto della Procura di Biella (sì, stava a Biella in Piemonte!) alla richiesta di autopsia, ritenuta superflua (perché?). L’insistenza dell’avvocata Conidi ha provocato un ripensamento e l’autopsia è stata disposta. Ecco qual è il tema: la perseveranza nel porre domande, senza cedere allo smarrimento che il complicato mondo Mafia-Anti-Mafia spesso genera.
Faccio un altro esempio. Ieri è stata condannata dal Tribunale di Caltanisetta in primo grado ad 8 anni la ex giudice (non hanno radiato soltanto Palamara!) Silvana Saguto che avrebbe abusato sistematicamente del sul ruolo di Presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Io voglio sapere a questo punto se Pino Maniaci, l’insopportabile e spudorato Pino Maniaci (lo sapevo anche prima delle intercettazioni) è un criminale dedito alle estorsioni, oppure è stato vittima di una vendetta da parte di pezzi infedeli delle Istituzioni. Magari non sarà il più ‘clamoroso caso di depistaggio della storia italiana’ ma meriterà pure un chiarimento.

ANSA in sciopero: senza informazione non c’è democrazia

I giornalisti di ANSA sono in sciopero da ieri e bisogna che questa novità faccia notizia. Si annunciano tagli ed ulteriore precarizzazione. Quando a raccontare la realtà saranno rimasti soltanto alcuni grandi gruppi industriali multinazionali che ne sarà della verità? Quindi della democrazia, perché è inutile girarci attorno: libertà e sovranità popolare dipendono dall’accesso ad informazioni di qualità. Non ho ancora ‘smaltito’ il modo indegno col quale è stato cacciato da Repubblica Verdelli, che arriva questa scelta drammatica della redazione di ANSA. Eppure nel Governo la sensibilità sull’argomento non dovrebbe mancare. Forza! La stampa libera é un bene pubblico!

Il comunicato di ANSA:
L’assemblea dei giornalisti dell’ANSA ritiene irricevibile il piano prospettato dall’azienda per recuperare gli ipotizzati minori ricavi legati all’emergenza sanitaria Covid-19. Le misure avanzate comprometterebbero gravemente la capacità dell’ANSA di assicurare un notiziario qualitativamente e quantitativamente adeguato alle esigenze del Paese in un momento in cui il ruolo dell’informazione è quanto mai essenziale. Un indebolimento, quello prospettato, che pare ancora più inconcepibile alla luce del riconoscimento della funzione che la politica tutta e le istituzioni hanno tributato all’Ansa in questa fase drammatica del Paese, nella quale il lavoro della redazione, che ha operato in smart working in assenza di dotazioni tecnologiche adeguate, è stato unanimemente ritenuto indispensabile nella lotta alle fake news. Per l’ennesima volta l’azienda intende raggiungere il pareggio dei conti scaricando i costi sui redattori e ancor peggio sui collaboratori e sui precari dell’agenzia privati, non solo di prospettive, ma anche di una retribuzione dignitosa, con la pretesa, inoltre, di raggiungere l’obiettivo entro il 2020. Con queste premesse si ritiene impossibile qualsiasi confronto con l’azienda, confronto che sarebbe ipotizzabile solo sulla base di una prospettiva di rilancio con una conseguente riorganizzazione del lavoro.

La redazione negli ultimi 15 anni ha subito progressivi tagli di organico e sacrifici economici che hanno compromesso il futuro dell’agenzia, rendendo così palese che l’assetto proprietario, immaginato 75 anni fa per garantire al Paese una fonte di notizie imparziale e indipendente, è ormai del tutto inadeguato ai tempi. I giornalisti dell’Ansa chiedono all’azienda un piano industriale e rivolgono un appello al Governo, al Parlamento, alla società civile e a tutte le forze democratiche, con cui proseguiranno un serrato confronto, perché facciano sentire la loro voce affinché si impediscano scelte che metterebbero a rischio uno dei principali pilastri del sistema informativo nazionale.

L’assemblea dei redattori dell’Ansa indice uno sciopero di 48 ore a partire dalle 7 di venerdì 15 maggio, proclama lo stato di agitazione e invita le redazioni a riunirsi subito dopo l’assemblea per definire possibili iniziative a sostegno dell’attività sindacale.

L’assemblea affida al Cdr un pacchetto di ulteriori 10 giorni di sciopero e lo sollecita ad avviare una azione che porti all’esterno la vertenza dell’ANSA attraverso una campagna di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei nostri lettori.

Il DL Rilancio non penalizzi il Terzo Settore

Dalla penalizzazione del Terzo settore danni sociali enormi: il Governo ci pensi bene. È fondamentale che in conversione del DL Liquidità il Parlamento modifichi l’art.1 includendo anche gli Enti non commerciali che svolgono attività di interesse generale non in regime di impresa, analogamente a quanto accaduto per la sospensione dei versamenti prevista dall’art. 18 dello stesso Dl. Chi si impegna quotidianamente a servizio della coesione sociale, cioè per fare in modo che nessuno rimanga indietro, non svolge soltanto una attività eticamente meritoria, svolge anche una attività economicamente rilevante prevenendo e attenuando tutte quelle circostanze umane che diversamente possono trasformarsi in sofferenza, solitudine, malattia, conflittualità, delinquenza. Cioè costi, costi e ancora costi!.

Basta guardare cosa succede quando in certe periferie urbane saltano i progetti di accompagnamento sociale, di inclusione lavorativa, di mediazione dei conflitti: bisogna mandare l’esercito e riempire lo spazio di telecamere. Oppure pensare che Save the Children stima in Italia un milione di minori in più a rischio povertà assoluta. La filantropia non basta! Pieno sostegno quindi alle posizioni recentemente espresse dal Sottosegretario Baretta.

RICOMPORRE LE PARTI

 

Sono stato coinvolto da Luciano Violante nel progetto editoriale “RICOMPORRE LE PARTI:
FRATTURE E CONTINUITÀ NELLA STORIA DELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE” 
che oggi vede la luce (tra pochi giorni anche in forma cartacea). Una grande sfida che mi ha sorpreso e messo alla prova: perchè Violante mi ha chiesto di scrivere proprio il capitolo dedicato alle stragi del 1992. Perchè io? Considerando che Violante è stato uno dei protagonisti di quella stagione e che con altri altrettanto autorevoli ho avuto modo di collaborare in questi anni. Perchè io? Che non sono ne’ uno storico, ne’ un giornalista, ne’ un testimone. Confesso che mi sono sentito profondamente inadeguato. Ma poi ho accettato e l’ho fatto per senso del dovere e anche per riconoscenza verso chi mi ha aiutato a capire in questi 20 e più anni di militanza, perchè le parole scritte possono anche essere un testamento ed una promessa. Faremo del nostro meglio per continuare la liberazione.