Viuulenza…

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Ci aveva messo in guardia Carlo Marx: dimmi come produci e ti dirò chi sei. Il modo con il quale si fa economia genera il modo di pensare, il modo di volere. O, concedendo qualcosa all’idealismo: il modo di fare economia, rivela il modo di pensare, di volere.
Nel 1989 è finita la terza guerra mondiale, il modo capitalista di fare economia ha vinto e ha preteso la posta: il Mondo. Nel 1995 il Mondo ha finito per essere riorganizzato di conseguenza e la nascita del WTO il 1° Gennaio ne è il simbolo. Nessuna barriera ai soldi e alle aziende, maglie strette per gli essere umani. Oggi l’economia basata sull’azzardo finanziario, quella slegata dalla produzione di beni e servizi, cuba di gran lunga più della cosìddetta economia reale, sottoponendoci agli stress che ben conosciamo. Ma pure quella reale ci stressa assai (chiedere ai dipendenti Alitalia, Electrolux o FIAT, pardon, FCA)
Ma per chi sa stare in equilibrio sul surf scagliato velocissimo tra i marosi, la prospettiva è quella di grandiosi guadagni e di altrettanti appaganti consumi. Per chi alla tavola ci sta avvinghiato, con l’acqua che fa tossire i polmoni, l’illusione è ancora quella di poter vincere almeno un giro di giostra, grattando qualche lotteria. O perlomeno di ottundersi, distraendosi con ciò che offrono gli altrove digitali e spettacolari. (Quanto manca alla commercializzazione del “caschetto virtuale”, per viaggi web-esistenziali a tutto tondo, senza ritorno. La droga definitiva, come in Strange days… era il 1995, ricordate?)
Cosa chiama questo modo di fare e di pensare? Velocità.
Il bisogno di velocità, ovvero di istantaneità e immediatezza, si misura nel fastidio che proviamo nel lasso di tempo che passa tra la manifestazione della nostra volontà tradotta in tocco sullo schermo dello smartphone e l’esecuzione dell’applicazione. Corriamo verso la lettura del cervello e dei suoi desiderata, con macchine intuitive, che anticipino di qualche frazione la manifestazione stessa del pensiero, appendendo ad essa nuove aspettative di felicità. Che ne sarà del “ripensamento”?
Anche così, con questa forma disperata di Futurismo ad un secolo dal Futurismo ottimista, si può leggere cosa sta succedendo in Parlamento.
Una legge elettorale fatta in fretta. Una legge elettorale che evoca un modo di decidere sempre più semplificato, testimone del fastidio verso un parlamentarismo fiaccato, imbolsito, fallito. Come direbbe il coniglio bianco: “Presto che è tardi!”. Si avrebbe più coraggio a decidere il superamento della democrazia parlamentare, scollegando definitivamente la legittimazione elettorale del potere esecutivo, da quella del Parlamento. Invece di ostinarsi a tenere l’uno collegato all’altro, col risultato di riempire la Camera (perché il Senato, come Cesare, deve morire!) in maniera di nuovo dopata, non perché rappresenti il popolo sovrano, ma perché sia funzionale alla stabilità del potere esecutivo.
E’ in sintonia con questo precipizio la violenza pentastellata. Una violenza che comincia dalla pretesa di avere la rappresentanza totale dei “cittadini”: loro li rappresentano tutti, tutti gli altri parlamentari sono soltanto venduti o puttane. La violenza dell’insulto e della provocazione, che si traduce nell’insofferenza per le Istituzioni, fino ad arrivare ad impedire fisicamente lo svolgimento dei lavori. Me lo immagino l’On. cittadino Di Battista, divenuto capo del Governo, fare proprie le intramontate parole: “Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli” (16 Novembre 1922, Benito Mussolini, ormai capo del Governo, dopo aver preso la fiducia il 31 di Ottobre). Al “boia chi molla” ci siamo già.
Allacciamo la cintura, chiudiamo il tavolino, raddrizziamo lo schienale e prepariamoci ad atterrare, nel Nuovo Mondo.