Grazie Presidente,
Oggi cominciamo a scrivere l’ultima pagina di questo importante iter legislativo, che riguarda la modifica dell’art. 416 ter del codice penale.
Iter fortemente e autorevolmente stimolato dalla massiva campagna dei “Braccialetti bianchi”. Campagna alla quale hanno aderito centinaia di parlamentari e centinaia di migliaia di cittadini. Campagna che ha focalizzato la propria proposta nelle parole “altra utilità”: quelle parole che stavano già nell’originario progetto di legge auspicato dal pool di Palermo oltre vent’anni fa, parole che saltarono allora, quando il testo venne approvato all’indomani delle stragi, l’8 Agosto del 1992. Parole che in qualche misura la giurisprudenza aveva comunque tradotto all’interno del significato della parola “denaro”. Parole che in ogni caso la Camera aveva inserito, sine glossa, già nel testo licenziato in prima lettura a Luglio.
Anticipo che l’intenzione che io qui rappresento, è quella di scriverla al più presto quest’ultima pagina, confermando senz’altro il testo così come inviatoci dal Senato.
Il Senato ha modificato in diversi punti il testo che la Camera approvò all’unanimità nel mese di Luglio. Usando una metafora, il rapporto tra il testo approvato dal Senato e quello che approvammo alla Camera, è il rapporto che esiste tra un fiore che dispiega i suoi petali e il precedente bocciolo: non c’è soluzione di continuità tra le due realtà. Non c’è contraddizione. C’è piuttosto una coerente evoluzione, resa possibile dal tempo e dal bicameralismo. Il Senato ha portato a maturazione quanto stava già in nuce nel testo Camera. Rispecchiando finalmente quanto auspicato dalla proposta di Legge a prima firma Sanna, dalla quale il Partito Democratico aveva preso le mosse.
Il Senato ha eliminato il termine “consapevolmente” ritenendolo inutile. Ha aggiunto la parola “promessa” sia rispetto ai voti che la mafia si impegna a procurare, sia rispetto alla contropartita, che il politico si impegna a realizzare, al fine di stigmatizzare più efficacemente il momento della consumazione del reato, ma su questo tornerò tra poco. Ha inteso come oggetto possibile della contropartita il denaro, qualunque altra utilità, ma anche la disponibilità a soddisfare interessi o esigenze dell’organizzazione mafiosa. Ha infine equiparato le pene a quelle previste dal 416 bis.
Sono state sollevate critiche a questa nuova formulazione, critiche animate dalle migliore intenzioni: consegnare all’Italia una norma penalmente ben costruita, inattaccabile sul piano della legittimità costituzionale e quindi utile davvero a rompere i velenosi rapporti tra politica e mafia. Sono quindi critiche degne della massima attenzione. Critiche che si sono appuntate soprattutto sull’utilizzo del termine “disponibilità”, mai introdotto prima nel codice penale, e ritenuto cifra di una norma imprecisa nel circoscrivere il perimetro della condotta da sanzionare. Imprecisa e quindi pericolosa, per i cittadini che hanno il sacrosanto diritto di sapere in anticipo e compiutamente per quali comportamenti saranno perseguiti dallo Stato, tanto più se il gioco ci sono così tanti anni di galera.
Come rispondiamo a queste critiche? Come rassicuriamo cittadini, operatori del diritto e colleghe e colleghi deputati, chiamati a licenziare questa norma?
In due passaggi.
Prima di tutto dobbiamo chiarire quale sia l’intento della norma, per isolare il nucleo della fattispecie. L’intento della norma si comprende bene procedendo per sottrazione: la corruzione elettorale è già colpita dagli artt. 96 e seguenti del TU 361 del 57; la coercizione elettorale è già colpite dagli artt. 85 e seguenti della 570 del 60; abbiamo già l’art. 7 con il quale si sanziona come aggravante l’utilizzo del metodo mafioso. Abbiamo il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, di elaborazione giurisprudenziale, per colpire il vantaggio concreto apportato dal politico all’organizzazione mafiosa. Infine abbiamo il terzo comma dell’art 416 bis, in cui venne inserita la finalità “elettoralistica”, nello stesso momento in cui fu inventato il 416 ter: due facce della stessa medaglia. Se queste sono le tessere già messe sul tavolo per salvaguardare il bene giuridico grande della correttezza del momento elettorale, cosa aggiunge il novellato 416 ter? Aggiunge la rilevanza penale di chi, politico o suo rappresentante, si “siede a tavola” con la mafia, sapendo di sedersi a tavola con la mafia, con l’intenzione di aumentare il proprio potere, attraverso il potere della mafia stessa. Lo spot va dunque acceso sul comportamento dell’uomo politico che pur di acquisire maggiore potere, si accorda con la mafia. Tanto è vero che sono il secondo comma del 416 ter e il terzo comma del 416 bis e l’art. 7, quelli precipuamente dedicati a colpire i mafiosi. La fattispecie resta nel suo complesso quella di un reato-contratto, che pretende, al fine di perfezionarsi, l’incontro tra due volontà, tuttavia e ciò posto, proprio l’aver articolato il nuovo 416 ter in due distinti comma, prevedendo col secondo di colpire in maniera specifica il mafioso che conclude l’accordo, giustifica la sottolineatura: il primo comma mette in evidenza e sanziona il comportamento tipico del politico o di chi lo rappresenta.
La promessa o la erogazione di denaro, di qualunque altra utilità, fino alla disponibilità a soddisfare esigenze o interessi della organizzazione mafiosa, descrivono il contenuto della volontà con la quale il politico si dispone all’accordo, ma non determinano la consumazione del reato, non hanno a che fare con il perfezionamento della condotta.
Che cosa ha dunque a che fare con la consumazione del reato? Con il perfezionamento della condotta? Cosa in altri termini dovrà essere provato e se provato costerà al politico e, o al suo rappresentante, fino a 12 anni di galera? Gli stessi che, resta inteso, rischia il mafioso che ha fatto da controparte.
La consapevolezza di “sedersi a tavola” col mafioso, in campagna elettorale, per stringere un accordo di reciproca utilità.
Il messaggio è forte e chiaro: in campagna elettorale con i mafiosi guai ad intendersela. Punto. Verrebbe da dire che il politico non dovrebbe intendersela mai con la mafia, ma appunto in questo sta la differenza tra una norma morale e una norma penale, che deve tipizzare una condotta, cavandola fuori dall’insieme dei comportamenti umani. Il messaggio è severo e carico della dolorosa storia italiana: chi fa politica in Italia non può non chiedersi a priori chi sia Tizio e chi sia Caio. Discriminando Tizio qualora risulti un qualche suo coinvolgimento con l’organizzazione mafiosa. Insomma: al politico italiano la legge impone un carico di responsabilità maggiore e specifico nel discernere i soggetti con i quali stabilire accordi
In questo il Parlamento deve assumersi fino in fondo il proprio compito, rappresentando la sovranità del popolo: nello stabilire liberamente quali siano i comportamenti ritenuti gravi per la Repubblica e come sanzionarli, nel rispetto dei vincoli costituzionali.
Con questa norma il Parlamento prende atto una volta di più che la forza delle mafie nel nostro Paese è un fatto speciale, che dipende in buona misura dalla debolezza dello Stato e quindi dalla debolezza di una certa politica. Una politica spesso corrotta e molliccia, in debito di credibilità e quindi di consenso, che non cerca di risalire la china, raddrizzando la schiena, ma piuttosto cerca scorciatoie, sgrufolando in basso come maiale in cerca di ghiande. Questo Parlamento, con questa norma dice a chi fa e vuol fare politica in questo Paese: su la schiena! Lo dobbiamo ai tanti servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la straordinaria normalità dell’onestà e della lealtà verso le Istituzioni.
Mi avvio alle conclusioni.
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare: Ma, se è questo il fuoco, meglio sarebbe stato tenere l’avverbio “consapevolmente”?
No, bene toglierlo: perché nei delitti il dolo, cioè intenzione e consapevolezza soggettiva dell’autore del reato, deve sempre accompagnare ogni segmento della fattispecie.
Qualcun altro potrebbe pensare: Ma allora, se questo è il fuoco, non è corretto affermare che le parole “disponibilità a soddisfare…” rappresentino un primo tentativo di dare forma legislativa al reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
No, bene affermarlo: perché il concorso esterno colpisce il “terzo”, in questo caso il politico, che arreca concretamente un vantaggio alla mafia e per la mafia il primo vantaggio concreto, arrecato dal politico è la propria vicinanza, che può essere vantata, con ciò di per se’ aumentando il prestigio delle organizzazioni mafiose.
Infine, Presidente e colleghi, due forti auspici per il futuro prossimo.
Il 416 ter così novellato è cosa buona e giusta da approvare. Ma arriva con 20 di ritardo e rischia di essere almeno in parte superato dagli eventi. Mi spiego: lo schema sotteso al 416 ter rimanda ad una alterità dialettica tra politici e mafiosi. Da una parte ci sta la mafia e dall’altra la politica, politica e mafia si parlano e si intendono. Questo schema è oggi meno rappresentativo di 20 anni fa e rischia di riguardare una mafia, pur sempre temibile, ma non la più potente. Gli osservatori più attenti ci avvertono che ormai i sistemi mafiosi sono diventati grandi sistemi economico-finanziari, che vivono per lo più nella legalità e che quindi non hanno bisogno di cercare il politico per accordarsi. Il politico lo “producono” nel gioco normale delle alleanze di potere. Ecco perché è così importante l’aggressione ai patrimoni mafiosi su scala internazionale, anche per questo sarà così strategico il semestre europeo guidato dall’Italia.
Secondo auspicio: il 416 ter non copre le “primarie”. Le primarie sono considerate un fatto privato interno ad una associazione (il partito) e quindi la loro correttezza non è considerata un bene tale da doversi salvaguardare attraverso la norma penale. Per questo è così importante che la nuova legge elettorale per la Camera, oggi all’esame del Senato, preveda dei correttivi. Sono certo che i senatori, le senatrici e segnatamente il Presidente Grasso, recepiranno con la consueta attenzione questo mio auspicio, che rappresenta il desiderio di molti.