Servizio centrale di protezione: servono più risorse

Piena fiducia nei confronti del Servizio Centrale di Protezione, ma servono più risorse. Abbiamo da poco concluso l’audizione del direttore del Servizio Centrale di Protezione, dott. Caridi, che ho chiesto e condotto come presidente del V Comitato della Commissione Antimafia, presenti oltre a me il Vice presidente sen. Gaetti e l’on. D’Uva. L’audizione si è resa necessaria dopo gli arresti domiciliari disposti dal GIP di Roma il 7 luglio nei confronti di tre pubblici ufficiali, Socciarelli, Fonzi e Provaroni, indagati con l’accusa di aver sottratto alle casse del Servizio 572.450 € nell’arco di anni compreso tra il 2009 e il 3 dicembre del 2015. Fatti gravissimi perché rischiano di incrinare la credibilità dello Stato proprio in uno dei suoi avamposti più sensibili: la mano tesa verso quei cittadini che decidono di affidare la propria vita e spesso la vita dei propri cari alle Istituzioni, per fare giustizia. Siano essi Testimoni di Giustizia, siano essi Collaboratori. Dall’audizione è emerso che in nessun modo la sottrazione del denaro si è tradotta in una compressione delle legittime aspettative da parte della popolazione protetta. Inoltre è risultato evidente il ruolo dei funzionari onesti del Servizio Centrale di Protezione nello smascherare attraverso una efficace azione di monitoraggio, il comportamento illecito dei colleghi, che hanno per altro già ammesso almeno in parte gli addebiti. Prova ne è che la Procura di Roma nel delegare le attività di Polizia Giudiziaria, le abbia affidate al medesimo Servizio Centrale oltre che alla Squadra Mobile di Roma. Il direttore Caridi ci ha illustrato le novità decise nella gestione contabile del Servizio che dovrebbero in futuro rendere impossibili anche le condotte illecite attuate dagli indagati e ha apprezzato le proposte che ho avanzato in materia di maggiore trasparenza nel rapporto tra Servizio e protetti, in particolare il ripristino tempestivo dello “statino” del protetto e l’adozione, per quanto possibile, della rotazione negli incarichi all’interno del Servizio. Resta un dato strutturale di cui la politica deve farsi carico: la popolazione protetta supera le 6000 unità, di cui 2.000 sono minori, a fronte di questi numeri gli addetti al Servizio Centrale sono complessivamente circa 700 unità, con un budget annuale che oscilla tra gli 80 e i 100 milioni di euro, troppo poco insomma, pur nella consapevolezza che il sistema di protezione italiano è considerato a livello mondiale una eccellenza. Ma noi italiani sappiamo che siamo diventati una eccellenza a causa di quell’altra straordinarietà negativa rappresentata dalla pervasività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, la cui forza dipende ancora dalla capacità di intimidire per farsi ubbidire. Quando lo Stato è credibile, la paura passa e le collaborazioni di qualità aumentano. Sono soldi ben spesi quindi.

Estorsioni: errore vietare riprese per Maniaci

L’attenzione pubblica non deve venire meno sui processi di mafia, tanto più sul processo che riguarda il giornalista Pino Maniaci. È incomprensibile la decisione presa ieri dal Tribunale di Palermo di vietare le riprese video e audio nel processo che vede imputato, tra gli altri, Pino Maniaci fondatore della emittente Telejato. Non si comprende come mai per il Presidente della seconda sezione penale, Benedetto Giaimo e per la Pm Dott.ssa Amelia Luise, sia diventato un processo che ‘non ha interesse sociale’. Ce lo ha eccome, per il ruolo addirittura internazionale che per anni ha avuto Telejato nel rappresentare un punto di riferimento nel contrasto sociale alla mafia. L’opinione pubblica deve essere nelle condizioni di capire se l’esperienza di Telejato è stata una truffa amara che ha coperto comportamenti gravi o se, viceversa, è stata una esperienza scomoda e coraggiosa che qualcuno sta cercando di seppellire, esasperando in chiave criminale aspetti senz’altro disdicevoli. Le sentenze sono il punto di arrivo del processo, ma l’esperienza ci insegna quanto sia importante poter seguire passo, passo lo svolgersi del processo. Per questo è meglio che ci sia massima trasparenza su questo dibattimento, come chiede con forza anche l’associazione Rita Atria.

Verità e Giustizia per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Nelle motivazioni della sentenza del processo di revisione sul caso dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin avvenuto ventitré anni fa in Somalia, la Corte d’Appello di Perugia, decidendo la immediata scarcerazione di un innocente detenuto da sedici anni, parla tra l’altro – esplicitamente – di “attività di depistaggio di ampia portata”. La sentenza è del 12 gennaio 2017 e le motivazioni sono state rese note due mesi dopo.

Dieci anni fa un Gip della Procura di Roma respinse la richiesta di archiviazione del procedimento principale sull’omicidio dei due giornalisti con queste motivazioni: “…la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell’omicidio su commissione posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e da Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici avvenuti tra l’Italia e la Somalia venissero portate a conoscenza dell’opinione pubblica italiana….”.

Non sappiamo cosa decideranno gli uffici giudiziari competenti di fronte alla nuova richiesta di archiviazione del caso venuta nei giorni scorsi dalla stessa Procura di Roma. Né, ovviamente, è nostra intenzione e possibilità interferire nelle autonome decisioni della magistratura.

L’impegno che ci prendiamo – qualsiasi sia la decisione della medesima – è di non “archiviare” questa vicenda, che portò alla morte di una valorosa giornalista e del suo operatore (entrambi del servizio pubblico televisivo) che avevano scoperto sporchi traffici di armi e rifiuti tossici all’ombra della cooperazione internazionale.

Non “archiviare” l’attenzione e tenere accesa la luce dell’opinione pubblica su questo caso di depistaggi, di servizi deviati, di pezzi dello Stato che non solo non fecero il proprio dovere, ma si adoperarono per coprire responsabilità, deviare, depistare. Lo dobbiamo a Ilaria e Miran, al loro coraggio e al loro sacrificio. Lo dobbiamo al giornalismo d’inchiesta, spesso ancora oggi rischioso per chi ha la forza e la possibilità di praticarlo.

Lo dobbiamo a Luciana Alpi, che non può e non deve essere sola a condurre questa battaglia per la verità e la giustizia. Ma lo dobbiamo anche all’Italia, alla democrazia del nostro Paese, ferita in quegli anni da misteri e vicende come queste. E da interrogativi che non possono, non debbono rimanere senza risposta

On Walter Verini,

On Ferdinando Adornato,

On Luisa Albanella,

On Tea Albini,

On Sofia Amoddio,

On Ileana Argentin,

On Tiziano Arlotti,

On Anna Ascani,

On Ernesto Auci,

On Sebastiano Barbanti,

On Cristina Bargero,

On Davide Baruffi,

On Lorenzo Basso,

On Alfredo Bazoli,

On Lorenzo Beccantini,

On Paolo Beni,

On Marco Bergonzi,

On Pierluigi Bersani,

On Stella Bianchi,

On Rosy Bindi,

On Paola Binetti,

On Caterina Bini,

On Tamara Blazina,

On Antonio Boccuzzi,

On Paolo Bolognesi,

On Chiara Braga,

On Alessandro Bratti,

On Giuseppe Brescia

On Beatrice Brignone

On Giovanni Burtone,

On Micaela Campana,

On Salvatore Capone,

On Sabrina Capozzolo,

On Daniela Cardinale,

On Renzo Carella,

On Mara Carfagna,

On Anna Maria Carloni,

On Elena Carnevali

On Mara Carocci,

On Marco Carra,

On Piergiorgio Carrescia

On Maria Chiara Carrozza,

On Ezio Casati,

On Floriana Casellato,

On Franco Cassano,

On Marco Causi,

On Susanna Cenni,

On Khalid Chaoucki,

On Eleonora Cimbro

On Giuseppe Civati,

On Matteo Colaninno,

On Maria Coscia,

On Stefania Covello,

On Magda Culotta,

On Gianni Cuperlo,

On Tommaso Currò,

On Vincenzo D’Arienzo,

On. Vittoria D’Incecco,

On Umberto D’Ottavio

On Francesco D’Uva

On Stefano Dambruoso,

On Cesare Damiano,

On Nunzia De Girolamo,

On Andrea De Maria,

On Chiara Di Benedetto

On Marco Di Lello,

On Marco Di Maio,

On Titti Di Salvo,

On David Ermini,

On Marilena Fabbri,

On Daniele Farina

On Gianni Farina,

On Stefano Fassina,

On Marco Fedi,

On Donatella Ferranti,

On Vittorio Ferraresi

On Alan Ferrari,

On Emanuele Fiano,

On Giuseppe Fioroni,

On Cinzia Fontana,

On Gian Mario Fragomeli,

On Nicola Fratoianni,

On Silvia Fregolent,

On Gianluca Fusilli,

On Chiara Gadda,

On Adriana Galgano,

On Laura Garavini,

On Daniela Gasparini,

On Mariastella Gelmini,

On Manuela Ghizzoni,

On Roberto Giachetti,

On Anna Giacobbe,

On Dario Ginefra,

On Fabrizia Giuliani,

On Giampiero Giulietti,

On Gero Grassi,

On Maria Gaetana Greco,

On Chiara Gribaudo,

On Giuseppe Guerini,

On Lorenzo Guerini,

On Tino Iannuzzi,

On Vanna Iori,

On Francesco Laforgia,

On Giorgio Lainati,

On Enzo Lattuca,

On Donata Lenzi,

On Danilo Leva,

On Emanuele Lodolini,

On Patrizia Maestri,

On Ernesto Magorno,

On Gianna Malisani,

On Simona Malpezzi

On Massimiliano Manfredi,

On Irene Manzi,

On Daniele Marantelli,

On Mario Marazziti,

On Marco Marchetti,

On Maino Marchi,

On Raffaella Mariani,

On Andrea Martella,

On Pierdomenico Martino,

On Michela Marzano,

On Davide Mattiello,

On Alessandro Mazzoli,

On Gianni Melilla,

On. Marco Meloni,

On. Michele Meta,

On Marco Miccoli,

On Emiliano Minnucci,

On Anna Miotto,

On Michele Mognato,

On Giovanni Monchiero

On Daniele Montroni,

On Alessia Morani,

On Roberto Morassut,

On Sara Moretto,

On Antonio Moscatt,

On Delia Murer,

On Giulia Narduolo,

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On Antonio Palmieri,

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On Luca Pastorino,

On Edoardo Patriarca,

On Vinicio Peluffo,

On Caterina Pes,

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On Flavia Piccoli Nardelli,

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On Barbara Pollastrini

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On Ernesto Preziosi,

On Lia Quartapelle Procopio,

On Mariano Rabino,

On Fausto Raciti,

On Michele Ragosta,

On Roberto Rampi,

On Laura Ravetto,

On Ermete Realacci,

On Francesco Ribaudo,

On Matteo Richetti,

On Maria Grazia Rocchi,

On Giuseppe Romanini,

On Ettore Rosato,

On Anna Rossomando,

On Michela Rostan,

On Gessica Rostellato,

On Alessia Rotta,

On Simonetta Rubinato,

On Luca Sani,

On Francesco Sanna,

On Giovanna Sanna,

On Mario Sberna,

On Daniela Sbrollini,

On Gian Piero Scanu,

On Gea Schirò,

On Rosanna Scopelliti,

On Arturo Scotto,

On Chiara Scuvera,

On Marina Sereni,

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On Luca Squeri,

On Luigi Taranto,

On Mino Taricco,

On Assunta Tartaglione,

On Marietta Tidei,

On Irene Tinagli,

On Mario Tullo,

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On Simone Valente

On Franco Vazio,

On Liliana Ventricelli,

On Stefano Vignaroli

On Sandra Zampa,

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On Enrico Zanetti,

On Giuseppe Zappulla

On Diego Zardini,

On Davide Zoggia,

On Alberto Zolezzi

Sen Donatella Albano,

Sen Silvana Amati,

Sen Ignazio Angioni,

Sen Lorenzo Battista,

Sen Alessandra Bencini,

Sen Fabrizio Bocchino,

Sen Daniele Borioli,

Sen Francesco Campanella,

Sen Laura Cantini,

Sen Valeria Cardinali,

Sen Vannino Chiti,

Sen Roberto Cociancich,

Sen Paolo Corsini,

Sen Erica D’Adda,

Sen Giuseppe De Cristofaro,

Sen Loredana De Petris,

Sen Rosamaria Di Giorgi,

Sen Daniela Donno,

Sen Laura Fasiolo,

Sen Elena Ferrara

Sen Marco Filippi,

Sen Federico Fornaro,

Sen Stefania Giannini,

Sen Nadia Ginetti,

Sen Carlo Giovanardi,

Sen Pietro Ichino,

Sen Silvio Lai,

Sen Linda Lanzillotta,

Sen Pietro Liuzzi,

Sen Sergio Lo Giudice,

Sen Fausto Longo,

Sen Salvatore Margiotta,

Sen Donella Mattesini,

Sen Franco Mirabelli,

Sen Luis Alberto Orellana,

Sen Pamela Orrù,

Sen Giorgio Pagliari,

Sen Carlo Pegorer,

Sen Alessia Petraglia

Sen Stefania Pezzopane,

Sen Francesca Puglisi

Sen Laura Puppato,

Sen Lucio Romano,

Sen Francesco Russo,

Sen Francesco Scalia,

Sen Maria Spilabotte,

Sen Gianluca Susta,

Sen Giorgio Tonini

Sen Luciano Uras,

Sen Mara Valdinosi,

Sen Francesco Verducci,

Sen Luigi Zanda,

Sen Magda Zanoni

Su Rita Atria

Commovente il ricordo di Rita Atria da parte della dott.ssa Camassa. Ho chiesto alla dott.ssa Camassa, sentita oggi in Com Antimafia insieme al collega Russo, di rievocare il coraggio di Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia che ebbe la forza di rompere con la cultura di omertà mafiosa e affidarsi insieme alla cognata Piera Aiello al dott Borsellino. Ho espresso l’auspicio che il Senato approvi al più presto e senza modifiche la riforma del sistema tutorio dei testimoni di giustizia, una riforma che simbolicamente volemmo dedicare proprio a Rita Atria, che purtroppo si tolse la vita una settimana dopo la strage di via d’Ameglio. La riforma sostenuta da tutti i gruppi presenti in Com Antimafia è già stata votata all’unanimità dalla Camera. Infine abbiamo concordato in Commissione di chiamare appena possibile il direttore del Servizio Centrale di Protezione per approfondire le notizie di ieri: tre funzionari arrestati con l’accusa di aver sottratto denaro dalla cassa destinata alle esigenze di testimoni e collaboratori. Un fatto grave che dovrà essere valutato dell’autorità giudiziaria e che non deve in alcun modo mettere in dubbio la serietà professionale e la dedizione umana con la quale il personale del sistema di protezione interpreta normalmente il proprio delicatissimo ruolo

Sulla corruzione nel Codice Antimafia

Ma davvero con la riforma dell’art 1 del Codice Antimafia che allarga agli indiziati di corruzione la possibilità di applicare la prevenzione patrimoniale stiamo facendo una sciocchezza?

E’ stato detto che chi sia indiziato di vivere abitualmente di proventi illeciti già oggi è sottoponibile alla prevenzione patrimoniale, vero.

E’ stato detto che i mafiosi indiziati di usare la corruzione già oggi sono sottoponibili alla prevenzione patrimoniale, vero.

E’ stato detto che chi sia condannato per corruzione già oggi subisce la confisca penale e anche la confisca penale per sproporzione, vero.

Esiste allora uno “spazio” tra queste tre fattispecie che possa giustificare la necessità della nostra riforma dell’art.1?

Credo di si, e faccio l’esempio che a me sta più a cuore.

Sono convinto che il nostro tempo sia segnato dalla formazione di una criminalità organizzata che si caratterizza per segretezza, capacità di dirottare il processo di formazione della volontà pubblica, transnazionalità, digitalizzazione funzionale al controllo, al ricatto e al riciclaggio.

Questa convinzione nasce dalla osservazione di fatti soltanto apparentemente scollegati: dal disastro provocato dal virus “Wannacry” alla inchiesta “Occhionero” passando per la P4, i Panama Papers, fino ai più recenti attacchi hacker alla banca dati del Ministero degli Esteri.

Fenomeni che hanno una potenzialità eversiva per l’ordine democratico paragonabile alle organizzazioni terroristiche. Forse è per questo che proprio il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, sia stato tra i primi a cogliere l’importanza di questa estensione normativa.

E’ sicuramente questo il motivo che mi ha spinto a depositare una proposta di legge modificativa della, così detta “Legge Anselmi”.

Queste organizzazioni sono qualificabili come mafiose alla luce del 416 bis? Inizialmente credo di no, anche se è probabile che evolvendo possano maturare quella “forza intimidatrice del vincolo associativo” che genera omertà e assoggettamento, che le farebbe rientrare nel 416 bis, con o senza la presenza di mafiosi appartenenti alle tradizionali organizzazioni.

Dobbiamo aspettare che diventino mafie a tutti gli effetti per contrastarle? Se lo Stato avesse contrastato la prepotenza dei campieri e debellato le coperture borghesi, sostenendo il movimento dei braccianti agricoli siciliani, forse non avremmo avuto la Cosa Nostra delle stragi.

Quindi perché aspettare?

Questo tipo di organizzazione rappresenta un pericolo per la democrazia sufficiente a giustificare l’utilizzo di quell’arma non convenzionale che sono le misure di prevenzione patrimoniale? Credo proprio di si, per le stesse ragioni che spinsero Pio La Torre ad immaginarle per le mafie tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Il patrimonio così accumulato e riconducibile a queste organizzazioni è di per se’ stesso pericoloso tanto per la democrazia quanto per il mercato e va eliminato dalla disponibilità delle organizzazioni medesime a prescindere dall’esito di processi penali che sanzionino le condotte personali più o meno associate.

Ecco che imbattersi in un soggetto seriamente indiziato di un reato contro la PA (non indiziato quindi di appartenere ad organizzazione mafiosa e nemmeno di vivere abitualmente di proventi illeciti), può significare imbattersi in una articolazione di questo tipo di sistema criminale. Può questa circostanza essere condizione sufficiente per avviare una indagine patrimoniale? Credo proprio di si. E qualora questa indagine patrimoniale mettesse in evidenza la disponibilità di beni di un valore incompatibile con il reddito dichiarato o l’attività economica svolta, sarebbe ragionevole procedere ad un sequestro di prevenzione? Credo proprio di si.

La prevenzione patrimoniale punta ad eliminare quel pericolo oggettivo rappresentato dalla ricchezza velenosa prodotta da condotte illecite, per sanzionare le quali c’è il processo penale: finalità e percorsi sono, o dovrebbero essere, chiaramente distinti.

Credo di non sbagliare dicendo che Pio La Torre, immaginando le misure di prevenzione patrimoniali in quel periodo storico, abbia voluto creare uno strumento di aggressione economica che prescindesse da quello penale, per arrivare prima della giustizia penale, se non sul piano della limitazione della libertà personale attraverso la detenzione (cosa che sarebbe stata e sarebbe intollerabile), almeno sul piano della ablazione della ricchezza. Forse fu anche una strategia per battere quella maledetta e mitica impunità che allora (Pio La Torre non vedrà mai funzionare il 416 bis) i mafiosi vantavano in maggioranza quando sottoposti al processo penale. Mutatis mutandis: oggi dovremmo parlare della impunità penale di cui troppo spesso godono i così detti “colletti bianchi” funzionali al tipo di operazioni cui mi riferisco sopra.

Credo che sarebbe stupido rifare da capo gli stessi “errori” che per 40 anni di storia repubblicana abbiamo fatto, perseguendo le singole condotte penalmente rilevanti, senza aggredire il sistema nel suo complesso, come poi avremmo fatto dall’82 in avanti, con ottimi risultati.

L’Europa, e non soltanto, dovrà imparare a fare i conti con questo tipo di organizzazione criminale, alzando gli scudi anche attraverso la prevenzione patrimoniale e sono convinto che ci metterà di meno a comprendere la portata di questa sfida rispetto a quanto ci abbia messo a comprendere la specificità della minaccia mafiosa. Per tanto non credo che ci sia il rischio che l’estensione dell’art. 1 provochi il rigetto di tutto il sistema della prevenzione patrimoniale, anzi scommetto che proprio per questo tramite se ne capiranno legittimità ed efficacia.

PS

E’ stato detto che il semplice indizio di colpevolezza fa scattare il sequestro patrimoniale, è falso. L’indizio di colpevolezza è soltanto l’innesco, a questo segue l’indagine patrimoniale che deve verificare la oggettiva disponibilità di una ricchezza non spiegabile col reddito dichiarato o con l’attività economica del soggetto indiziato.

E’ stato detto che il soggetto che subisce il sequestro patrimoniale è vittima di un provvedimento barbaro ed incivile, è falso. Il sequestro è soltanto il primo atto di un procedimento che ormai è sempre più paragonabile ad un processo penale sul piano delle garanzie della difesa e dei terzi coinvolti. La metà della riforma del Codice Antimafia ha ad oggetto proprio il miglioramento del procedimento, l’abbreviazione dei tempi, la maggiore trasparenza.

E’ stato detto che questo ampliamento metterà in ginocchio le imprese, è falso. Proprio la nostra riforma prevede l’introduzione dell’istituto del “controllo giudiziario” per le imprese (art. 34 bis. In aggiunta all’istituto dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34), che non conduce ne’ all’ablazione, ne’ allo spossessamento, ma ad un rigoroso e temporaneo controllo da parte dello Stato.

E’ stato detto che il sistema della prevenzione patrimoniale riguarda soltanto la mafia, è falso. Già oggi riguarda pure indiziati di altri delitti che non sono il 416 bis (per esempio tutti quelli cui si fa riferimento con l’art. 51 come 3 bis del cpp), e, senza che ci fossero levate di scudi, con questa riforma abbiamo ulteriormente allargato la platea agli indiziati di terrorismo. Dal che ancora di più si stenta a capire il motivo della rivolta per la corruzione.

E’ stato detto che la corruzione nel nostro Paese è un falso problema, strumentalmente enfatizzato… (cfr Papa Francesco)

 

Davide Mattiello

Roma, 7 Luglio 2017

Matacena e latitanze a Dubai: il mio intervento a ‘Chi l’ha visto?’

Il video dell’intervento che ho fatto alla trasmissione di Rai 3 ‘Chi l’ha visto?’

Matacena e molti altri latitanti passeggiano indisturbti per le strade di Dubai, mentre in Italia molti (non tutti, evidentemente..) aspettano la ratifica del trattato di cooperazione e estradizione.

Speriamo di farcela prima che la legislatura volga al termine..