(ANSA) – ROMA, 4 AGO – “La verita’ sull’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie Ida riguarda tutti noi e riguarda il futuro dell’Italia. Poche vicende come questo duplice omicidio (avvenuto il 5 agosto 1989) seguito da quello di Emanuele Piazza nel Marzo del 1990, hanno a che fare con l’epicentro di quel conflitto di poteri e per il potere, che passando per le stragi del ‘92 e del ’93, arrivera’ a condizionare il nostro presente, facendo della cosi’ detta Seconda Repubblica, una Repubblica dimezzata non meno della prima”. Lo afferma in una nota il deputato Pd e componente delle commissioni Giustizia e Antimafia Davide Mattiello. “Sara’ piu’ libera la ‘terza’? Dipende anche dalle risposte giudiziarie e politiche che sapremo dare a quei fatti – osserva Mattiello – forse arrivando a distinguere una volta per tutte tra chi fece il male, pensando di fare il bene e chi fece il male semplicemente per soddisfare la propria avidita’. Il tempo per le nuove indagini e’ quasi scaduto e a settembre la DDA di Palermo dovra’ decidere se chiedere il rinvio a giudizio oppure no. Intanto sono successi alcuni fatti: Vincenzo Agostino, il padre di Nino, ha riconosciuto durante l’incidente probatorio svoltosi nell’aula bunker di Palermo in Giovanni Aiello il collega di Nino che lo ando’ a cercare a casa qualche giorno prima dell’assassinio. Giovanni Aiello e’ formalmente indagato per concorso in omicidio. Poi ci sono i collaboratori di giustizia che tra Caltanisetta e Reggio Calabria stanno confermando informazioni importanti: c’e’ Di Giacomo, che ebbe in quegli anni un ruolo di spicco nel clan Laudani di Catania, che parla di un gruppo di fuoco riservato, di cui faceva parte anche un uomo legato ai servizi e ci sono Villani e Lo Giudice ‘ndranghetisti che a loro volta fanno affermazioni importanti”. “Basterebbe soffermarsi sulla vicenda travagliata di Lo Giudice – afferma ancora Mattiello – per comprendere quanto vivi e vitali siano ancora oggi gli interessi che si muovono a coprire quelle responsabilita’. Lo Giudice infatti e’ stato presumibilmente usato negli ultimi anni per colpire la credibilita’ di alcuni magistrati, in particolare del dott. Donadio, tanto che per questo Lo Giudice risponde oggi di calunnia, ma cio’ nonostante – conclude Mattiello – la magistratura reggina lo considera credibile per il resto e sta continuando a riscontrare le sue affermazioni”
Mafia: depistaggio vale anche per chi imbroglia
(ANSA) – ROMA, 12 LUG – “La scorsa settimana il Parlamento ha approvato il nuovo reato di depistaggio dopo un lungo iter parlamentare, che colpisce quel tipo di condotta vergognosa e imbarazzante a cui lei ha fatto riferimento: ovvero la condotta del pubblico ufficiale che per sviare una indagine, imbroglia le carte”. A sostenerlo è stato il deputato Pd Davide Mattiello, in Commissione Antimafia, nel corso dell’audizione della figlia del magistrato Paolo Borsellino, Lucia Borsellino. “Ci siamo detti alla Camera che approvavamo questa norma con una punta di amarezza – ha continuato -, dovuta alla consapevolezza che una norma del genere non è retroattiva quindi non sanziona le condotte di coloro che oltre 20 anni fa imbrogliarono le carte, ma sia chiaro a tutti che questo nuovo reato 375 del Codice penale sarà applicato a coloro che ancora oggi ancora imbrogliano le carte, dal momento che queste vicende giudiziarie sono ancora aperte e il sospetto che qualcuno cerchi ancora oggi di imbrogliare è fondato”, ha concluso Mattiello.
Reato di depistaggio: una vittoria amara
(ANSA) – ROMA, 5 LUG – Il nuovo reato di depistaggio “e’ una vittoria amara, almeno sia un monito per il futuro. Il nuovo 375 sanzionera’ pesantemente il comportamento del Pubblico Ufficiale o incaricato di pubblico servizio che imbroglia le carte per impedire di arrivare alla verita’”. Lo afferma in una nota il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia. “E’ una vittoria amara intanto perche’ a nulla servira’ questa nuova norma per tutto cio’ che e’ successo nel passato, da Portella della Ginestra a via D’Amelio”, afferma il parlamentare dem. “Ed e’ una vittoria amara perche’ questo nuovo reato prende atto che ci possano essere funzionari dello Stato che agiscono consapevolmente contro lo Stato, contro la giustizia, magari a difesa di una mal riposta e ipocrita idea di ordine da conservare a qualunque costo. L’approvazione di questo nuovo reato serva anche a dare una scossa al Governo per l’approvazione e l’attuazione del trattato di cooperazione con gli Emirati Arabi, perche’ un modo per allontanare dalla verita’ e’ anche impedire alla magistratura di fare il proprio lavoro e noi sappiamo quanti delinquenti italiani trovino riparo negli EAU”. “Infine – conclude Mattiello – un pensiero al compianto colonnello Omar Pace, tragicamente scomparso: la Procura di Roma ci aiuti a capire quanto prima se c’e’ qualcosa d’altro da sapere oltre a quello che gia’ sappiamo”
Introduzione nel codice penale del reato di frode in processo penale e depistaggio. Il mio intervento.
Con il nuovo art. 375 del Codice Penale, che ci accingiamo ad approvare definitivamente, decidiamo di sanzionare severamente il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale, imbrogli le carte, depisti, cioè metta chi indaga e chi giudica su una pista falsa, che porta lontano dalla verità.
L’approvazione benedetta da parte del Parlamento di un simile nuovo reato è di per se’ inquietante, perché proprio la necessità condivisa di introdurre questa nuova fattispecie impone il bisogno di fare i conti con una questione presupposta: per quale motivo un Pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio dovrebbe imbrogliare le carte al fine di impedire, sviare, ostacolare una indagine o un processo penale?
Posso immaginare quattro risposte.
Perché è fuori di se’. Immaginiamo un PU che in preda ad una grave depressione o ai fumi dell’alcol distrugga l’importante prova di un delitto. Sarà probabilmente dichiarato incapace di intendere e di volere, ancorché temporaneamente, con tutte le conseguenze del caso.
Seconda risposta: perché è un corrotto o perché è sotto ricatto. Immaginiamo un PU che si intaschi dei soldi per imbrogliare le carte e allora insieme al nuovo 375 sarà chiamato anche a rispondere di corruzione oppure un PU che sia vittima di una estorsione. In questo caso c’è da augurarsi che il PU denunci immediatamente l’estorsione medesima.
Terza risposta: perché è intraneo all’organizzazione criminale contro la quale si sta procedendo. In questo caso si apprezzerebbero le parole messe in capo alla descrizione della fattispecie “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato”. Immaginiamo un PU che imbrogli le carte perché fa parte della organizzazione mafiosa o della organizzazione terroristica oggetto di indagine e processo, ma allora per lui la situazione sarà ben più grave.
Quarta risposta: perché qualcuno più in alto gli ha chiesto di farlo. Questa che è la risposta più dolorosa e più pericolosa rimanda ad una questione complicata e delicata: la “ragion di Stato”, in tutte le sue declinazioni e deformazioni. Esiste una “ragione di Stato “ superiore alla ricerca della verità, soprattutto di fronte ad un omicidio o addirittura ad una strage? Per alcuni probabilmente si: il mantenimento dell’ordine. Anche nella sua versione deteriore e ipocrita, laddove si consideri come “ordine” da difendere la rendita di posizione di qualche combriccola altolocata oppure la posizione pretesa da qualche nuova combriccola rampante.
In questa prospettiva si collocano diversi episodi che hanno segnato la storia repubblicana e che hanno lasciato aperti interrogativi molto gravi. Qualche esempio:
Viene ucciso il Prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, la magistratura avrebbe bisogno di leggere i dossier sui quali il Generale stava lavorando, ma forse quei dossier resi noti in un processo, potrebbero inguaiare troppe persone. Fatto sta che qualcuno riesce a introdursi nell’abitazione palermitana del Prefetto, Villa Pajno, aprire la cassaforte, svuotarla, portarsi via la chiave, che comparirà al suo posto nel cassetto, soltanto qualche giorno dopo.
Viene ucciso il direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, Giovanni Falcone, la magistratura avrebbe bisogno di acquisire integralmente le memorie informatiche dei vari computer che Falcone adoperava. Ma anche in questo caso qualcuno riesce ad introdursi addirittura nello studio di Falcone presso il Ministero che era stato posto sotto sequestro e manipolare in più riprese la memoria del computer, che non era stato sequestrato.
Viene ucciso il Procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, alla magistratura servirebbe eccome leggere gli appunti contenuti nella agenda rossa, che però qualcuno si incarica di far sparire dalla scena del delitto.
Regie unitarie? Convergenze tra interessi diversi? Indicibili accordi? Sappiamo soltanto che la partita per la verità non è finita e possiamo soltanto augurarci che nulla di tutto ciò che è purtroppo paventabile, sia in realtà mai successo, perché diversamente quel particolare ingrediente della credibilità dello Stato che è la sua affidabilità, sarebbe radicalmente compromesso.
Tornano alla mente le parole che adoperò poche settimane fa in quest’Aula il Ministro degli Esteri Gentiloni, parole che mi colpirono e commossero, quando intervenendo sull’assassinio di Giulio Regeni e parlando dell’Egitto, disse: “L’unica ragion di Stato è la verità”. Ecco il punto. Soprattutto in casi di omicidio o stragi lo Stato non ha altra ragione di essere che non sia l’affermazione della verità, costi quello che costi, con buona pace di ordini da non destabilizzare, ordini che pretendano di stabilizzarsi, convergenze o indicibili accordi. Di fronte all’assassinio lo Stato non può che cercare accanitamente la verità. Punto!
L’ordine che nasce dalla verità ristabilita, dal sopruso punito è sempre migliore di qualunque altro ordine possibile.
Così, Presidente e colleghi, mi avvio a concludere sottolineando alcuni auspici relativi alle questioni sottese alla nuova norma penale che stiamo per approvare.
Primo: le condotte descritte dal nuovo 375, sia pure sul piano delle ipotesi, possono tradursi in concreto nella manipolazione dei collaboratori di giustizia, inducendoli a dire il falso o a tacere il vero, possono tradursi nella manipolazione dei Testimoni di Giustizia, per esempio mantenendoli in condizioni di precarietà tale durante il programma di protezione, da indurli a non rendere la testimonianza e a chiedere la fuori uscita dal programma medesimo. Così come un altro ambito in ipotesi sensibile all’inveramento di simili condotte è l’ambiente carcerario e in particolare quelle sue articolazioni deputate alla gestione dei così detti 41 bis. Per questo sempre alta dovrà essere l’attenzione nostra nel mettere chi opera in questi delicati segmenti dell’Amministrazione dello Stato nelle migliori condizioni di farlo e altrettanto alta l’attenzione da parte degli organismi parlamentari preposti nel mantenere un monitoraggio continuo.
Secondo: tra i “documenti comunque utili alla scoperta del reato” possiamo a pieno titolo annoverare anche i Trattati di cooperazione giudiziaria e di estradizione, perché quando questi ci sono e vengono applicati, la Giustizia procede in un certo modo, quando non ci sono, no. Per questo auspico che il Governo renda operativo quanto prima il Trattato di Cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi Uniti, dove notoriamente e comodamente risiedono diversi delinquenti italiani.
Terzo: c’è un fatto che ci ha recentemente sconvolto: la tragica morte del col. Omar Pace. Stimato nell’ambiente investigativo per le sue straordinarie capacità informatiche, tanto utili soprattutto in alcuni procedimenti penali ancora aperti. Su questo episodio la Procura di Roma ha aperto un fascicolo: auspico che quanto prima si possa fare piena luce sull’accaduto.
Quarto e ultimo: considerata la grande stima che nutriamo nei confronti delle nostre Forze dell’Ordine, dei Servizi di Informazione e della nostra Magistratura, auspico che il nuovo 375 diventi più che altro un monito, figlio di un passato che non vogliamo si ripeta mai più.
Reato di depistaggio – Mattiello: “E’ una priorita’ ma tempo corre”
(ANSA) – ROMA, 11 MAG – Il via libera in commissione Giustizia del Senato al ddl che introduce il reato di depistaggio “e’ una bella notizia a meta’: perche’ dopo l’approvazione al Senato il testo, su cui lavorammo molto in Commissione Giustizia Camera due anni fa, dovra’ tornare alla Camera appunto, essendo stato emendato”. A scriverlo su Fb e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia. “L’inserimento del reato di depistaggio – spiega il deputato dem – resta una delle priorita’ per sostenere la ricerca di verita’ nel nostro Paese, certo per il futuro, non per il passato, dove i depistaggi rischiano di essersi ormai trasformati quasi tutti in pietre tombali. Eravamo tornati ad insistere sull’urgenza di questa norma anche dopo l’assassinio di Giulio Regeni in Egitto, rilevando come da un lato il nostro Paese (giustamente!) segnalasse i rischi di depistaggio da parte degli apparati egiziani, ma dall’altro tenesse bloccata questa norma da due anni. La partita, appunto, non e’ finita e intanto la legislatura corre veloce verso la fine”.
Se nel nome di Regeni si compisse una rivoluzione?
(ANSA) – ROMA, 5 APR – “Se nel nome di Giulio si compisse una rivoluzione? Il Ministro Gentiloni ha appena terminato l’intervento in Aula sul rapimento e l’assassino di Giulio Regeni e ha ribaltato la prospettiva della ragion di stato, brandita da qualcuno per giustificare la sordina sulla vicenda. Gentiloni ha detto senza incertezze che l’unica ragion di Stato e’ trovare la verita’ per Giulio. La ragion di Stato sta nella verita’ e quindi nella dignita’ della persona, nei confronti di chiunque. Parole da non dimenticare, parole che valgono una rivoluzione, se fatte storia: di questa ragion di Stato questo nostro Stato ha ancora tanto, tanto bisogno… Basta depistaggi, approviamo la legge!”. A scriverlo su Fb e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, dopo l’informativa del ministro degli Esteri Gentiloni sulla vicenda Regeni.
Basta depistaggi: Parlamento approvi legge anche per Regeni, Alpi, Rostagno
(ANSA) – ROMA, 2 APR – Ricorrono oggi i 31 anni dalla strage di Pizzolungo, nel trapanese, l’attentato dinamitardo in cui Cosa Nostra intendeva uccidere il magistrato Carlo Palermo e che invece provoco’ la morte di una donna, Barbara Rizzo, 30 anni, e dei suoi due bambini, Giuseppe e Salvatore, di 6 anni, che casualmente passavano in auto in quel tratto di strada diretti verso la scuola. L’esplosione dell’autobomba si udi’ a chilometri di distanza. “Dalla strage di Pizzolungo all’assassinio di Giulio Regeni, basta ad ogni depistaggio”, dice il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia, il quale chiede che il Parlamento approvi la legge sul depistaggio ferma la Senato. “Oggi ricordiamo la strage del 2 aprile 1985: doveva morire il giudice Carlo Palermo con la sua scorta, invece morirono una mamma e i suoi due bambini che, con la loro auto, fecero casualmente da scudo alla macchina del giudice. Perche’ Cosa nostra si diede da fare per uccidere un magistrato che era arrivato a Trapani da poche settimane? Quanto hanno pesato le indagini che Palermo aveva cominciato a Trento e che riguardavano il traffico internazionale di armi e droga? Quanto quelle indagini avevano messo in allarme un certo mondo politico che benedicendo quei traffici traeva illecito sostentamento per i partiti?”. “Quanto quelle indagini incrociarono le piste battute da altri due morti ammazzati, Mauro Rostagno e Ilaria Alpi? A queste domande la giustizia non ha mai risposto”, ragiona il deputato, secondo il quale “ora l’Italia fa bene a pretendere verita’ e giustizia per Regeni, fa bene a ipotizzare depistaggi ma si guardi anche in casa. Punire e prevenire i cosiddetti depistaggi significa battersi per un potere che sia democratico e non oligarghico, dominato da consorterie potenti quando non criminali”.
Nel nome di Giulio Regeni: BASTA a tutti i depistaggi
(ANSA) – ROMA, 29 MAR – “Nel nome di Giulio, basta a tutti i depistaggi”. A chiederlo e’ il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia. “Ho ascoltato con commozione e gratitudine le parole della mamma di Giulio Regeni: ancora una volta una mamma a chiedere verita’ e giustizia, ancora una volta – dice il deputato – con la necessita’ di denunciare gli evidenti depistaggi nelle indagini in corso. Vorrei che i genitori di Giulio incontrassero i tanti familiari delle vittime innocenti delle mafie o del terrorismo italiane, troverebbero la stessa dignita’, il medesimo bisogno di verita’ e in molti casi, la medesima denuncia dei depistaggi. Denuncia che, in vero, il Governo italiano ha fatto propria in maniera netta nel caso Regeni”. “Bene ha fatto il Governo e altrettanto bene farebbe nel prendere uguale, netta posizione nei confronti dei troppi depistaggi che ancora avvelenano la democrazia in Italia. I piu’ clamorosi dei quali riguardano i fatti compresi tra il 1989 e il 1994. Nel nome di Giulio Regeni e di tutte queste altre vittime potremmo approvare definitivamente la legge che punisce proprio il depistaggio, licenziata dalla Camera e ferma in Senato, almeno da agosto 2015. Da quando si commemoro’, ancora una volta, la strage di Bologna!”, conclude Mattiello.
Gli impuniti del depistaggio: la mia intervista a Rino Giacalone.