Invece arriva un’altra autorevole conferma dell’equilibrio con il quale ci siamo mossi nella approvazione del Nuovo Codice Antimafia.
Spero che leggano questa notizia tutti coloro che nelle scorse settimane polemizzavano dicendo che l’Europa avrebbe girato le spalle all’Italia sul terreno delle misure di prevenzione patrimoniale. Tutto il contrario: l’Europa apprezza le garanzie rafforzate nel procedimento di aggressione dei patrimoni illeciti.
UE: CONSIGLIO GAI SOSTIENE PROPOSTA ORLANDO SU MISURE DI CONFISCA
Insieme all’adozione del Regolamento che istituisce l’Ufficio del Procuratore europea, il Consiglio Giustizia e Affari Interni riunito questa mattina a Lussemburgo ha espresso pieno appoggio alla proposta italiana avanzata dal ministro Orlando di includere le misure di confisca non basate su condanna, come le misure di prevenzione italiane, tra quelle che il nuovo Regolamento in elaborazione renderà eseguibili in tutto il territorio dell’Unione.
Alla decisione del Consiglio GAI ha contribuito lo statuto di garanzia procedurale che caratterizza le misure di prevenzione italiane rispetto ad esperienze analoghe di altri ordinamenti, statuto che è stato recentemente rafforzato dalla riforma del codice antimafia attraverso, per esempio, la previsione di un mezzo di impugnazione per il sequestro di prevenzione e l’accelerazione delle decisioni dirette a tutelare i terzi di buona fede.
Il nuovo Codice Antimafia finalmente risolve tanti nodi che hanno afflitto fino a qui la confisca dei patrimoni criminali. Lo ha detto il CSM e con la stessa chiarezza lo ha detto il Procuratore Nazionale Anti mafia Roberti. Mente, sapendo di mentire chi dice che d’ora innanzi basterà un semplice indizio di colpevolezza per vedersi confiscare l’azienda: l’indizio di colpevolezza è soltanto l’innesco delle verifiche patrimoniali. Il sequestro scatta solo quando un giudice terzo conferma che il sospettato ha nella disponibilità un patrimonio di provenienza illecita. Con tutta la corruzione organizzata che corrode il nostro Paese quotidianamente è davvero curioso sentire quelli che si dichiarano contro la corruzione ma poi fanno mille distinguo e votano contro. Abbiamo potenziato l’Agenzia Nazionale, abbiamo moltiplicato gli strumenti a sostegno della gestione di immobili e aziende, abbiamo aumentato le garanzie per il proposto e per i terzi di buona fede, abbiamo reso l’amministrazione giudiziaria più trasparente e rigorosa. Abbiamo fatto arrivare ad approvazione una proposta di legge di iniziativa popolare e abbiamo tradotto in legge le regole di rigore applicate dal Presidente del Parco Nebrodi Antoci e le proposte della Commissione Antimafia. Insomma c’è di che essere soddisfatti.
Quattro anni sono passati da quando questo lavoro è cominciato con l’incardinamento della proposta di legge di iniziativa popolare 1138 in Commissione Giustizia alla Camera. Poi vennero l’inchiesta della Commissione Antimafia, che produsse una articolata proposta di riforma, e il contributo del Governo a partire dal ddl Orlando dell’agosto del 2014
Era l’11 Novembre del 2015, quando a larga maggioranza la Camera approvava in prima lettura il testo che oggi arriva nuovamente alla attenzione dell’Aula, dopo che il Senato lo ha licenziato con modifiche il 6 di Luglio.
Vediamo allora subito le modifiche più significative apportate al testo, che sono tre:
– l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati resta sotto la vigilanza del Min. Interno come è attualmente, mentre noi l’avevamo collocata sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio.
– nell’art. 1 il riferimento agli indiziati di reati contro la PA resta, ma collegato al 416 (associazione semplice)
– agli articoli 25-28 è stata estesa la portata della certificazione prefettizia anti mafia con particolare riguardo alla concessione dei terreni agricoli, prevedendo che “L’informazione antimafia sia sempre richiesta nelle ipotesi di concessione di terreni agricoli demaniali che ricadono nell’ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei”. Ho voluto leggere per esteso questa norma in particolare perchè è la traduzione in Legge della ottima pratica adottata dal Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, a causa della quale lo stesso ha subito il gravissimo attentato che ricordiamo.
Le modifiche sono state approfondite e discusse, per tanto le ritengo oltre che ragionevoli, apprezzabili. Come ha ribadito il Ministro Orlando intervenendo personalmente nella discussione svoltasi in Commissione Giustizia la scorsa settimana, il giudizio sulla riforma va elaborato tenendo uno sguardo di insieme su tutti e 38 gli articoli, che complessivamente si fanno carico tanto della esigenza di maggior efficacia nella individuazione e aggressione dei patrimoni illeciti, quanto di quella di maggior tutela per i soggetti coinvolti a vario titolo nella procedura: il proposto, i lavoratori, i terzi in buona fede
E’ chiaro a tutte le forze politiche che dopo 4 anni di lavoro oggi il punto è decidere se licenziare il testo così come ci è arrivato dal Senato, facendolo diventare legge, oppure sprecare questa occasione. In questa prospettiva abbiamo valutato gli emendamenti proposti in Commissione e valutiamo quelli presentati in Aula: non c’è spazio per emendare ancora e rimandare in Senato. Chi facesse finta di non capirlo si assumerebbe una responsabilità gravissima. Per questo come relatore ho chiesto e chiedo il ritiro di ogni emendamento.
In democrazia c’è un tempo per discutere, e lo abbiamo usato eccome, in ogni sede, ma poi arriva il tempo per decidere.
Questo è quel tempo.
Noi oggi vogliamo decidere, consapevoli che un testo così complesso è sempre migliorabile, ma anche consapevoli del fatto che una democrazia che discuta per anni e poi non arrivi a decidere, tradisce se stessa e apre le porte al dispotismo. Tradimento che in questo caso specifico, si tradurrebbe nella perdita di credibilità sull’esiziale terreno del contrasto alla criminalità organizzata.
Esistono per altro ragioni molto concrete per fare di questo testo, Legge senz’altro. All’articolo 34 per esempio, la riforma prevede una importante e delicata delega al Governo sulle misure da definire a sostegno dei lavoratori di imprese sequestrate e giudicate capaci di stare sul mercato. La delega ha bisogno di tempo, pur breve, per essere esercitata, altrimenti andrà in fumo.
Credo che dopo 4 anni di lavoro tutte le forze politiche dovrebbero poter ritenere il testo frutto di una mediazione positiva nella quale riconoscersi, anche chi in prima lettura aveva mosso critiche e aveva votato contrariamente.
Al movimento 5 stelle dico: sulla questione della trasparenza nella gestione di tutto il procedimento e segnatamente nell’affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari, le viti sono state strette anche accogliendo vostre proposte. Per altro alcune di queste norme vanno specificate tempestivamente esercitando un’altra delega, quella di cui all’articolo 33.
A chi, soprattutto nel centro destra, si è preoccupato per una eccessiva attenzione verso le aziende sequestrate, denunciando il rischio di una distorsione della libera concorrenza, dico: non un euro pubblico sarà speso per le aziende finte o incapaci di stare sul mercato senza la spinta mafiosa, saranno liquidate.
A chi si è preoccupato che l’estensione della platea dei soggetti cui possano essere applicate le misure di prevenzione patrimoniali si traduca in una soffocante ingerenza dello Stato nel mercato, dico: al contrario, la riforma non soltanto amplia l’istituto della amministrazione giudiziaria non finalizzata all’ablazione del bene-azienda, ma introduce finalmente l’istituto del controllo giudiziario che oltre ad evitare l’ablazione, evita anche lo spossessamento in fase di sequestro. Un modo per intervenire chirurgicamente a tutela dell’attività di impresa, almeno fino a quando ve ne siano le condizioni.
A chi, concedendo un po’ troppo alla vis polemica, ha cercato di agitare l’opinione pubblica affermando che con questa riforma basterà un semplice indizio di corruzione per vedersi confiscare l’azienda, la casa e il conto in banca, dico: vi sbagliate e soprattutto inducete all’errore! Il meccanismo della prevenzione patrimoniale considera la pericolosità sociale del soggetto soltanto come “innesco”, come condizione inizialmente necessaria, ma non sufficiente: infatti soltanto l’esito della indagine patrimoniale che metta in evidenza l’illecita provenienza del patrimonio ovvero la sua sproporzione rispetto a reddito dichiarato ed attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Addirittura possiamo spingerci a dire che la presunta pericolosità sociale del soggetto è una condizione necessaria SOLTANTO inizialmente, prova ne è che il procedimento di confisca continua anche nei confronti del patrimonio imputabile alla persona meno pericolosa che esista in natura: il morto!
La pericolosità sociale del soggetto è condizione necessaria e sufficiente soltanto per l’applicazione delle misure di prevenzione PERSONALI e non di quelle patrimoniali: spero che il punto sia chiaro. Ed è per questo motivo che è condivisibile l’inserimento all’art. 4 del reato di cui all’art. 612 bis, cioè lo “stalking”: l’art. 4 fa riferimento alle misure di prevenzione personali disposte dall’autorità giudiziaria, che non di per se’ appunto, si traducono in misure di prevenzione patrimoniale, pur essendo richiamato dall’art. 16. Ben vengano quelle personali per lo “stolker”! Abbiamo un tragico ritardo ancora in parte da colmare in materia.
A chi ha manifestato la serie preoccupazione che l’allargamento della platea dei soggetti a cui possano applicarsi le misure di prevenzione patrimoniale, possa esporre la normativa a nuove censure da parte della Corte Costituzionale o della Giustizia europea, dico: comprendo la preoccupazione, ma la riforma si fa carico delle censure del passato, risolvendole. Intanto perché alcune di quelle censure, come quelle contenute nella sentenza De Tommaso, pretendevano una maggiore attenzione al sacrosanto principio della prevedibilità delle condotte che vengono sanzionate, riconoscendo per altro piena legittimità al meccanismo della prevenzione. Sul punto rimando al preciso parere formulato dalla I Commissione. Ma a questa pretesa abbiamo risposto individuando le ulteriori condotte attraverso il richiamo puntuale delle fattispecie di reato corrispondenti, le quali per definizione garantiscono un sufficiente grado di tipizzazione e quindi di prevedibilità. Altre censure invece hanno nel tempo riguardato il meccanismo della procedura di applicazione della prevenzione patrimoniale, ritenuto eccessivamente comprimente le ragioni del proposto e dei terzi di buona fede. Queste censure pretendevano una maggiore attenzione al contraddittorio, alla posizione dei terzi di buona fede, alla certezza dei tempi e alla chiarezza degli esiti della procedura medesima. Ed è esattamente in questa direzione che abbiamo lavorato: la parte più corposa e meno discussa della riforma è proprio quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione e di esecuzione fallimentare.
A chi ha espresso perplessità sulla estensione dell’articolo 1 agli indiziati di reati contro la PA quando esista anche l’indizio della associazione per delinquere, come ha fatto autorevolmente il Presidente dell’ANAC Cantone, dico: faccio mia la preoccupazione di un utilizzo abnorme di questa previsione e credo che sarà doveroso monitorare la norma ed intervenire tempestivamente per perfezionarla. Lo dico con la serenità di chi è consapevole che in questi quattro anni il Partito Democratico e la maggioranza, in piena sintonia con il Governo, hanno alzato gli scudi contro la corruzione, intanto istituendo la stessa ANAC, ma poi anche aumentando le pene, allungando i termini di prescrizione, prevedendo sconti a chi rompa il patto scellerato collaborando con la giustizia e la confisca penale obbligatoria.
Certo mi conforta sia su questo ultimo punto specifico, sia sul complesso del lavoro che il Parlamento ha svolto fino a qui, il giudizio favorevole del Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti e il fatto che il 13 Settembre il CSM, normalmente critico nei confronti del Legislatore, abbia approvato una delibera che dedica alla riforma del Codice decine di pagine di analisi e conclude con un inequivocabile invito ad approvarla così com’è, riconoscendo che il testo scioglie diversi nodi da anni lamentati dagli operatori del settore. Non un cenno nelle oltre 40 pagine all’articolo 1. E, come ha fatto notare il Ministro Orlando in Commissione Giustizia, non certo per una forma di amnesia o di cortesia Istituzionale.
Infatti c’è un punto sul quale il CSM mantiene un dissenso e non voglio eluderlo: i beni confiscati secondo la nostra riforma, su questo coincidente tra Camera e Senato, passano nella gestione della Agenzia dopo la confisca di secondo grado, mentre il CSM avrebbe preferito una secca anticipazione, funzionale a sollevare la magistratura da una incombenza ritenuta per alcuni aspetti eccessiva. Intanto voglio chiarire che i motivi di questo dissenso li trovo legittimi, considerato il carico di lavoro delle sedi giudiziarie e aggiungo che abbiamo inteso farcene carico, esplicitando che l’Agenzia debba avere un ruolo di supporto dell’Autorità Giudiziaria fin dal sequestro, estendendo a tal fine il ventaglio degli strumenti per realizzare gestioni provvisorie dei beni fin dal sequestro medesimo. Ma voglio anche rivendicare la ragione politica di questa scelta. La storia di un bene confiscato comincia generalmente dalla così detta “proposta” e finisce con il suo riutilizzo pubblico, passando per sequestro, confisca di primo grado, confisca di secondo grado, confisca definitiva, destinazione, assegnazione, controllo dell’utilizzo. Le maggiori criticità che abbiamo evidenziato nel nostro lavoro di inchiesta, si sono concentrate soprattutto nelle fasi di destinazione/assegnazione e controllo dell’utilizzo. Quanto volte, purtroppo, ci siamo lamentati del numero eccessivo di beni confiscati ormai definitivamente e non assegnati, che restano per anni in stato di abbandono, spesso vandalizzati o occupati abusivamente. Quante volte, purtroppo ci siamo lamentati di beni concessi in utilizzo a soggetti istituzionali o sociali che si scoprono poi lasciati andare alla malora. Ecco, abbiamo voluto con la nostra scelta ribadire che l’Agenzia nasce prima di tutto per gestire queste fasi della storia di un bene: destinazione/assegnazione e controllo. L’idea di una Agenzia Nazionale infatti comincia a manifestarsi proprio quando si impone nella opinione pubblica il valore del riutilizzo sociale dei patrimoni illeciti confiscati: “La mafia restituisce il maltolto” era lo slogan con il quale Libera raccoglieva nel 1995 oltre un milione di firme per quella che sarebbe diventata la legge 109 del ’96. Sull’onda di questa consapevolezza civica, maturerà il bisogno di un soggetto istituzionale, deputato a gestire il patrimonio confiscato, inverando la promessa della 109: la ricchezza sottratta al crimine, diventa risorsa per la collettività. L’Agenzia, fondata nel 2010, è il frutto di questo bisogno e deve poter svolgere fino in fondo questo mandato. Tutto ciò posto, abbiamo finalmente provveduto a potenziare anche l’organico della Agenzia e le risorse economiche a disposizione del direttore, che in futuro, a riforma approvata, potrà anche non essere più un prefetto.
Per intanto però fatemi ringraziare i Prefetti con i quali ho avuto modo di collaborare in questi anni, che hanno dato e danno un importante contributo anche alla elaborazione parlamentare nel loro ruolo di direttori della Agenzia: Umberto Postiglione, che ha terminato l’incarico nella scorsa primavera e Ennio Sodano, che lo ha sostituito.
In conclusione Presidente, vorrei approfondire una questione che ha segnato il dibattito attorno a questa riforma.
Sarà vero che il sistema della prevenzione patrimoniale si giustifica se e soltanto se rimane formalmente agganciato alla fattispecie del 416 bis? Detto altrimenti: il sistema di prevenzione patrimoniale, si giustifica soltanto se ancorato alla eccezionalità del così detto “doppio binario”, a sua volta legato alla emergenza mafiosa, come tale specifica, non estensibile e fatalmente transitoria? Per tanto mollando questo aggancio formale si snaturerebbe il sistema, sottoponendolo anche alle censure della giurisprudenza costituzionale italiana ed europea?
Io non credo.
La prova sta nella storia stessa di questo strumento.
E’ vero che per Pio La Torre e per coloro che lo coadiuvarono nella elaborazione della legge che vedrà la luce soltanto dopo l’assassinio suo e del generale Dalla Chiesa, reato di associazione mafiosa e confisca di prevenzione dei patrimoni illeciti nella disponibilità della medesima organizzazione, furono due facce della stessa medaglia.
E’ quella la legge, la 646 del 1982, che “inventa” il 416 bis ed è quella la Legge che introduce la confisca di prevenzione fondata sull’indizio di appartenenza alla mafia e la provenienza illecita del patrimonio nella disponibilità del medesimo indiziato. Ma è altrettanto vero che in tre distinti interventi legislativi, il primo dei quali risalente alla maledetta estate del ’92, i presupposti di applicazione della confisca di prevenzione si allargarono progressivamente, ma coerentemente, arrivando a comprendere da un lato il meccanismo della così della confisca allargata ex 12 sexties, e dall’altro tutte le fattispecie di reato considerate dall’art. 51 com. 3 bis del CPP.
Non si è sfasciato niente, perché sono state evoluzioni coerenti a due principi.
Primo: le organizzazioni di stampo mafioso mutano le proprie strategie di accumulazione e quindi è fondamentale aggiornare il catalogo di quelle condotte “spia” che possono essere considerate rivelatrici di un movimento mafioso.
Secondo, che mi sta particolarmente a cuore, è che mafiosi si può anche diventare col tempo, ammesso di averne la volontà e la possibilità. Non dobbiamo pensare alle organizzazioni mafiose soltanto come ad organizzazioni “date”, cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita, che al più cambiano strategie di accumulazione, perché questa è soltanto una parte del problema. Dobbiamo pensare che “mafioso” è un particolare modo di organizzare il crimine, quello che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo, capace di generare omertà e assoggettamento e che questo modo mafioso di fare crimine, essendo molto efficace, può essere imparato ed applicato da associazioni criminali che inizialmente nulla hanno a che fare con le organizzazioni mafiose storicamente date, ne’ con il metodo medesimo.
Soprattutto per questo secondo principio del ragionamento sono convinto che abbiamo fatto bene ad estendere l’applicabilità agli indiziati di reati contro la PA, con l’aggiunta del 416.
Non tanto quindi perché le mafie, come ormai siamo soliti dire, sparano di meno e corrompono di più: se fosse soltanto questo il punto, probabilmente avremmo potuto intervenire in maniera più limitata sul testo vigente. Ma perché chi oggi corrompe in maniera sistemica si sta seriamente candidando ad organizzare un potere criminale che se lasciato evolvere, potrà trasformarsi in una vera e propria nuova mafia. Credo che stiamo assistendo a forme sofisticate di nuova accumulazione proto-mafiosa, fondate sull’illecito dirottamento della volontà pubblica a beneficio di interessi particolari. Credo che queste nuove organizzazioni criminali costruiscano il proprio potere soprattutto sulla captazione da remoto di informazioni sensibili, funzionali alla pianificazione di un capillare e pericolosissimo sistema estorsivo, al quale con ogni probabilità fa e farà seguito un significativo cedimento dei soggetti ricattati, che produrrà come conseguenza il moltiplicarsi di comportamenti di connivenza e indebita convenienza, di natura appunto corruttiva.
Resta con tutto ciò vera la lezione di Pio La Torre: la mafia è questione di classi dirigenti. Soltanto che la classe dirigente che aveva negli occhi Pio La Torre ancorava il suo potere alla terra e al calcestruzzo, la nuova frontiera dell’organizzazione del potere mafioso è e sarà ancorata alle banche dati.
Per questo vicende come il disastro provocato dal virus “Wannacry”, l’inchiesta “Occhionero”, l’inchiesta sulla così detta “P4”, i Panama Papers, fino ai più recenti attacchi hacker alla banca dati del Ministero degli Esteri sono vicende assai sintomatiche. Per questo abbiamo ancora molto da studiare e da capire di quel fenomeno criminale, eversivo, sostanzialmente impunito e a lungo irrisolto attraverso mille rivoli carsici, che è stato la P2. Per questo non può essere disgiunto il tema che ci occupa da quello della riforma della così detta Legge Anselmi.
La democrazia vive soltanto attraverso un costante, paziente e tenace lavoro di bonifica delle sue infrastrutture portanti: la politica e l’economia. Come un sistema vascolare che se non manutenuto si riempie di colesterolo fino a collassare, così queste infrastrutture rischiano di venire ingombrate dal colesterolo di mafia e corruzione. Ecco, con questa riforma noi rendiamo più forti gli strumenti con i quali bonificare le nostre infrastrutture portanti e far vivere più a lungo e meglio la Repubblica italiana.
Clicca sulla timeline interattiva per scoprire le tappe della riforma del Codice Antimafia. Vogliamo che sia approvata #adesso, quando andrà in aula il 25 settembre, perché non c’è più tempoClicca sulla nostra timeline interattiva per scoprire le tappe della riforma del Codice Antimafia. Vogliamo che sia approvata #adesso, quando andrà in aula il 25 settembre, perché non c’è più tempo
“Dice bene don Ciotti e davvero non si capirebbe il contrario”. Così il deputato Pd Davide Mattiello, relatore del Codice Antimafia durante la prima lettura alla Camera e in attesa dell’approvazione definitiva, dopo che don Luigi Ciotti ha affermato oggi che “bisogna che il Codice antimafia passi in fretta”.
“Già la famosa 109 del ’96 doveva prevedere l’utilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi e ai corrotti, ma così non passò. Dopo 20 anni – spiega Mattiello – siamo ad un passo dal risultato attraverso la riforma del Codice Antimafia, che nel nuovo articolo 1 prevede questa estensione, in una maniera seria, che nulla cambia rispetto al criterio della ‘abitualità’, perché fotografa un’altra situazione, purtroppo sintomatica di una certa evoluzione del crimine organizzato: quella di chi si associa per adoperare la corruzione come pass per penetrare nella Pubblica amministrazione, dirottandone le decisioni”.
Ma davvero con la riforma dell’art 1 del Codice Antimafia che allarga agli indiziati di corruzione la possibilità di applicare la prevenzione patrimoniale stiamo facendo una sciocchezza?
E’ stato detto che chi sia indiziato di vivere abitualmente di proventi illeciti già oggi è sottoponibile alla prevenzione patrimoniale, vero.
E’ stato detto che i mafiosi indiziati di usare la corruzione già oggi sono sottoponibili alla prevenzione patrimoniale, vero.
E’ stato detto che chi sia condannato per corruzione già oggi subisce la confisca penale e anche la confisca penale per sproporzione, vero.
Esiste allora uno “spazio” tra queste tre fattispecie che possa giustificare la necessità della nostra riforma dell’art.1?
Credo di si, e faccio l’esempio che a me sta più a cuore.
Sono convinto che il nostro tempo sia segnato dalla formazione di una criminalità organizzata che si caratterizza per segretezza, capacità di dirottare il processo di formazione della volontà pubblica, transnazionalità, digitalizzazione funzionale al controllo, al ricatto e al riciclaggio.
Questa convinzione nasce dalla osservazione di fatti soltanto apparentemente scollegati: dal disastro provocato dal virus “Wannacry” alla inchiesta “Occhionero” passando per la P4, i Panama Papers, fino ai più recenti attacchi hacker alla banca dati del Ministero degli Esteri.
Fenomeni che hanno una potenzialità eversiva per l’ordine democratico paragonabile alle organizzazioni terroristiche. Forse è per questo che proprio il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, sia stato tra i primi a cogliere l’importanza di questa estensione normativa.
E’ sicuramente questo il motivo che mi ha spinto a depositare una proposta di legge modificativa della, così detta “Legge Anselmi”.
Queste organizzazioni sono qualificabili come mafiose alla luce del 416 bis? Inizialmente credo di no, anche se è probabile che evolvendo possano maturare quella “forza intimidatrice del vincolo associativo” che genera omertà e assoggettamento, che le farebbe rientrare nel 416 bis, con o senza la presenza di mafiosi appartenenti alle tradizionali organizzazioni.
Dobbiamo aspettare che diventino mafie a tutti gli effetti per contrastarle? Se lo Stato avesse contrastato la prepotenza dei campieri e debellato le coperture borghesi, sostenendo il movimento dei braccianti agricoli siciliani, forse non avremmo avuto la Cosa Nostra delle stragi.
Quindi perché aspettare?
Questo tipo di organizzazione rappresenta un pericolo per la democrazia sufficiente a giustificare l’utilizzo di quell’arma non convenzionale che sono le misure di prevenzione patrimoniale? Credo proprio di si, per le stesse ragioni che spinsero Pio La Torre ad immaginarle per le mafie tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Il patrimonio così accumulato e riconducibile a queste organizzazioni è di per se’ stesso pericoloso tanto per la democrazia quanto per il mercato e va eliminato dalla disponibilità delle organizzazioni medesime a prescindere dall’esito di processi penali che sanzionino le condotte personali più o meno associate.
Ecco che imbattersi in un soggetto seriamente indiziato di un reato contro la PA (non indiziato quindi di appartenere ad organizzazione mafiosa e nemmeno di vivere abitualmente di proventi illeciti), può significare imbattersi in una articolazione di questo tipo di sistema criminale. Può questa circostanza essere condizione sufficiente per avviare una indagine patrimoniale? Credo proprio di si. E qualora questa indagine patrimoniale mettesse in evidenza la disponibilità di beni di un valore incompatibile con il reddito dichiarato o l’attività economica svolta, sarebbe ragionevole procedere ad un sequestro di prevenzione? Credo proprio di si.
La prevenzione patrimoniale punta ad eliminare quel pericolo oggettivo rappresentato dalla ricchezza velenosa prodotta da condotte illecite, per sanzionare le quali c’è il processo penale: finalità e percorsi sono, o dovrebbero essere, chiaramente distinti.
Credo di non sbagliare dicendo che Pio La Torre, immaginando le misure di prevenzione patrimoniali in quel periodo storico, abbia voluto creare uno strumento di aggressione economica che prescindesse da quello penale, per arrivare prima della giustizia penale, se non sul piano della limitazione della libertà personale attraverso la detenzione (cosa che sarebbe stata e sarebbe intollerabile), almeno sul piano della ablazione della ricchezza. Forse fu anche una strategia per battere quella maledetta e mitica impunità che allora (Pio La Torre non vedrà mai funzionare il 416 bis) i mafiosi vantavano in maggioranza quando sottoposti al processo penale. Mutatis mutandis: oggi dovremmo parlare della impunità penale di cui troppo spesso godono i così detti “colletti bianchi” funzionali al tipo di operazioni cui mi riferisco sopra.
Credo che sarebbe stupido rifare da capo gli stessi “errori” che per 40 anni di storia repubblicana abbiamo fatto, perseguendo le singole condotte penalmente rilevanti, senza aggredire il sistema nel suo complesso, come poi avremmo fatto dall’82 in avanti, con ottimi risultati.
L’Europa, e non soltanto, dovrà imparare a fare i conti con questo tipo di organizzazione criminale, alzando gli scudi anche attraverso la prevenzione patrimoniale e sono convinto che ci metterà di meno a comprendere la portata di questa sfida rispetto a quanto ci abbia messo a comprendere la specificità della minaccia mafiosa. Per tanto non credo che ci sia il rischio che l’estensione dell’art. 1 provochi il rigetto di tutto il sistema della prevenzione patrimoniale, anzi scommetto che proprio per questo tramite se ne capiranno legittimità ed efficacia.
PS
E’ stato detto che il semplice indizio di colpevolezza fa scattare il sequestro patrimoniale, è falso. L’indizio di colpevolezza è soltanto l’innesco, a questo segue l’indagine patrimoniale che deve verificare la oggettiva disponibilità di una ricchezza non spiegabile col reddito dichiarato o con l’attività economica del soggetto indiziato.
E’ stato detto che il soggetto che subisce il sequestro patrimoniale è vittima di un provvedimento barbaro ed incivile, è falso. Il sequestro è soltanto il primo atto di un procedimento che ormai è sempre più paragonabile ad un processo penale sul piano delle garanzie della difesa e dei terzi coinvolti. La metà della riforma del Codice Antimafia ha ad oggetto proprio il miglioramento del procedimento, l’abbreviazione dei tempi, la maggiore trasparenza.
E’ stato detto che questo ampliamento metterà in ginocchio le imprese, è falso. Proprio la nostra riforma prevede l’introduzione dell’istituto del “controllo giudiziario” per le imprese (art. 34 bis. In aggiunta all’istituto dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34), che non conduce ne’ all’ablazione, ne’ allo spossessamento, ma ad un rigoroso e temporaneo controllo da parte dello Stato.
E’ stato detto che il sistema della prevenzione patrimoniale riguarda soltanto la mafia, è falso. Già oggi riguarda pure indiziati di altri delitti che non sono il 416 bis (per esempio tutti quelli cui si fa riferimento con l’art. 51 come 3 bis del cpp), e, senza che ci fossero levate di scudi, con questa riforma abbiamo ulteriormente allargato la platea agli indiziati di terrorismo. Dal che ancora di più si stenta a capire il motivo della rivolta per la corruzione.
E’ stato detto che la corruzione nel nostro Paese è un falso problema, strumentalmente enfatizzato… (cfr Papa Francesco)
L’operazione Babylonia conferma che sarebbe un delitto sabotare il Codice antimafia. In questa nuova eccellente operazione della DDA di Roma con Carabinieri e Guardia di Finanza, sono stati anche sequestrati con decreto del Tribunale di Roma-Sezione misure di prevenzione, bar, ristoranti, pizzerie e sale slot, e di immobili, rapporti finanziari/bancari, auto e moto, società, quote societarie. Tutto questo ben di Dio andrà gestito, intanto per preservarlo durante le fasi di verifica delle condizioni che potranno o meno condurre dal sequestro alla confisca e successivamente per utilizzarlo al meglio come risorsa pubblica una volta definitivamente confiscato. La riforma del Codice Antimafia, il potenziamento della Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati, le regole più stringenti relative al rapporto tra Giudice delegato e amministratore giudiziario, si sono rese necessarie proprio perché dopo il 2011 innumerevoli sono stati i fallimenti. Non ce lo possiamo più permettere. Mi auguro che il MEF dia tutta la collaborazione possibile per risolvere gli ultimi problemi di copertura per garantire che il personale dell’Agenzia possa essere effettivamente implementato sia quantitativamente, sia qualitativamente come il Parlamento vuole che sia. Interessanti le parole del dott. Prestipino sulla scarsità di imprenditori sottoposti ad usura od estorsione disposti a collaborare: c’è sicuramente un problema culturale profondo, ma c’è anche bisogno di rendere le norme a tutela di chi denuncia più efficaci e rassicuranti. Penso alla riforma della ’44 del 99 che abbiamo cominciato ad analizzare alla Camera in Commissione Giustizia
La Commissione Giustizia del Senato ha lavorato bene: l’impianto della riforma confermato e migliorato. Gli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia del Senato sono stati concordati con la maggioranza alla Camera e questo credo che consentirà, dopo il voto dell’Aula del Senato, una veloce ultima lettura alla Camera. Ha prevalso in tutti il senso di responsabilità che ha consentito di mediare su alcune proposte avanzate in Senato che avrebbero modificato profondamente il testo approvato alla Camera. Invece con la mediazione raggiunta si potenziano ulteriormente gli strumenti dedicati in particolare alla gestione delle aziende in fase di sequestro, allargando la platea di soggetti qualificati a cui il giudice delegato potrà rivolgersi per amministrare le aziende, scongiurando il rischio che falliscano. Auspico che questo medesimo senso di responsabilità ci guidi fino alla approvazione definitiva del testo
Inaccettabile sprecare per correre al voto, un regalo a mafiosi e corrotti. Sono convinto che il senso storico di questa infausta XVII Legislatura si sia consumato il 4 di Dicembre, con un penoso fallimento che rischia di ri-precipitarci nella ‘prima repubblica’. Ma se ora corressimo a votare senza nemmeno terminare l’iter parlamentare di alcuni provvedimenti che servono a contrastare meglio mafia e corruzione, il bilancio sarebbe davvero negativo. Faccio alcuni esempi: la riforma del processo penale, che contiene l’aumento delle pene del 416 ter, coerenti all’innalzamento di quelle per il 416 bis; la riforma del Codice Antimafia che rafforza il sistema dei sequestri patrimoniali; la riforma del sistema di protezione dei Testimoni di Giustizia, cittadini onesti che non posso più essere confusi con i collaboratori; l’innalzamento delle tutele per amministratori, magistrati e politici che subiscono violenze e intimidazioni; la ratifica del Trattato di Cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi, necessaria a sventare la beffa dei latitanti italiani che li si rifugiano, puntando ad approfittare del 172 cp (l’estinzione della pena); la riforma dello IUS SOLI, che getta le basi per una migliore inclusione sociale di chi ha origini straniere. Sono provvedimenti questi a cui mi riferisco su quali esiste un consenso diffuso. Potremmo mai spiegare in campagna elettorale che abbiamo azzerato tutto per correre alle urne?
(ANSA) – ROMA, 8 MAG – “Ritirare gli emendamenti in Senato è l’unica via per non far saltare la riforma del codice Antimafia: a sostenerlo è il deputato del Pd Davide Mattiello, relatore del provvedimento alla Camera. "Dopo oltre un anno e mezzo di stop, il Senato – afferma Mattiello – ha calendarizzato per il 16 Maggio l’arrivo in Aula della riforma, ma con la clausola ‘ove concluso’ dalla Commissione Giustizia. La Commissione Giustizia, qualora continuasse la discussione sul punto più problematico, quello delle competenze della Agenzia, rischierebbe di non concludere in tempo, con ciò perdendo l’appuntamento col l’Assemblea”. Mattiello evidenzia che se si volesse estendere la competenza della Agenzia anche ai sequestri, il lavoro della Agenzia aumenterebbe esponenzialmente e si dovrebbero trovare coperture impossibili per potenziarla, “facendola diventare una specie di nuova Iri. Diversamente il sistema collasserebbe. L’equilibrio a suo tempo trovato alla Camera, d’intesa col Governo, è efficiente e tiene conto del bisogno rappresentato dalla magistratura di essere coadiuvata nella gestione dei sequestri e delle confische non definitive: infatti il testo approvato nel 2015 prevede la possibilità di farsi assistere dalla Agenzia. Con la Legislatura che volge al termine, l’atto politico più responsabile sarebbe ritirare gli emendamenti su questo punto e portare il testo in Aula il 16 maggio”