Arriva in Commissione la legge sul voto per chi studia e lavora fuori. Ma io vi parlo di chi l’ha reso possibile

Non c’è rivoluzione senza poesia. La poesia talvolta è fatta in versi, altre volte è fatta in gesti, gesti che hanno la forza di evocare un destino differente da quello al quale in tanti sembrano assuefatti.

C’è della poesia nel gesto del Collettivo “Valarioti”: da mesi questi giovani calabresi per lo più impegnati in Università basate fuori dalla Calabria si battono per avere una legge che consenta il voto nel domicilio in cui si studia o si lavora, evitando così di dover tornare per forza in località di residenza. Giovedì 29 aprile in Commissione Affari Costituzionali della Camera comincia la discussione di una proposta di Legge a prima firma Brescia che traduce in norme questo intento, al quale questi giovani hanno lavorato con grande passione e grande capacità di coinvolgimento.

Coinvolsero anche me, in quanto consulente della Commissione parlamentare Antimafia, spiegandomi che questo strumento sarebbe servito anche a “diluire” il peso del voto inquinato dalla ‘ndrangheta in territorio d’origine. Allargare la platea dei votanti, dare in particolare una possibilità in più ai tanti giovani che studiano o lavorano lontano da casa, è senz’altro un modo concreto ed intelligente per far pesare di meno quella capacità purtroppo tante volte verificata che hanno i clan mafiosi di condizionare pesantemente l’esito elettorale, pilotando migliaia di voti. Quanto sia attuale questa minaccia lo dimostrano le tante inchieste aperte attualmente, che riguardano tanto il Sud, quanto il profondo Nord (Valle d’Aosta compresa!). Sono inchieste già diventate processi che in alcuni casi hanno già prodotto sentenze di condanna, come nell’abbreviato che si è celebrato a Torino nell’ambito di una vicenda, processualmente divisa in due tronconi (abbreviato e ordinario) dove imputati di voto di scambio politico mafioso sono un ex Assessore regionale della Giunta Cirio (che dovrà essere giudicato in ordinario) e alcuni esponenti legati a clan di ‘ndrangheta.

I giovani del Collettivo “Valarioti” mi fecero venire in mente la commovente e formidabile mobilitazione che ci fu quando in Sicilia si candidò alla carica di presidente della Regione Rita Borsellino, l’indimenticata sorella di Paolo, scomparsa nell’Agosto del 2018. Allora per “diluire” il voto condizionato dalla mafia non si pensò al voto a distanza, ma più materialmente ad organizzare treni e pullman speciali per consentire ai “fuori sede” di tornare in Sicilia per votare. Era il 2006: un’altra epoca!
E’ poesia questo impegno del Collettivo “Valarioti” perché ha il sapore della speranza che si incarna nella storia per cambiare la realtà e renderla più libera e più giusta. Una scossa che demolisce l’abitudine a pensare che le cose non possano cambiare.

Fa il paio con un’altra notizia arrivata in questi giorni: la Cassazione ha definitivamente assolto Carolina Girasole, già Sindaca di Isola Capo Rizzuto, investita da un’accusa infamante, quella di aver approfittato dell’appoggio degli Arena per aprirsi la strada del successo elettorale. Conobbi Carolina Girasole quando era Sindaca e si batteva perché alcuni beni confiscati alla ‘ndrangheta fossero destinati ad attività di riscatto sociale e la ritrovai negli anni successivi, durante il processo, sempre con la schiena diritta e la incrollabile fiducia che presto o tardi la Giustizia avrebbe fatto il suo corso. L’ha fatto ed ora spero proprio che Carolina Girasole possa riprendersi, se lo vorrà, quel posto che merita nella sua Calabria.

In comune queste storie hanno la politica e la sua centralità nel determinare i destini collettivi. Negli anni ho incontrato tanti uomini e tante donne calabresi altrettanto determinati a far valere la propria libertà nonostante condizionamenti davvero estenuanti, oggi la Calabria è ad un nuovo giro di boa e mi auguro che la poesia di lotta del Collettivo “Valarioti” contribuisca ad accendere gli animi perché, come scrive il Collettivo, “Se non lo facciamo noi, ora, quando e chi lo farà?”.

Articolo da Il Blog de Il fatto Quotidiano

Caro Filisetti, senza antifascismo non c’è antimafia: si vergogni e si dimetta!

Articolo sul blog de Il Fatto quotidiano.

La circolare firmata dal dirigente dell’Ufficio scolastico regionale per le Marche, Marco Ugo Filisetti, che invita studenti e studentesse a celebrare il 25 aprilecommemorando tutti i caduti della seconda guerra mondiale senza distinzione di parte, è tanto vergognosa quanto pericolosa ed auspico che il ministro Bianchi intervenga prontamente.

C’è una regola generale che va richiamata in premessa: un Paese è quello che è soprattutto per le scelte di rottura e discontinuità che ha saputo fare rispetto al passato dal quale arriva, parafrasando Calvino: ogni Paese riceve la sua forma dal deserto cui si oppone. L’Italia repubblicana e democratica, fondata sul lavoro, è l’Italia fondata da chi si è opposto al nazifascismo e che il 2 giugno 1946, sperimentando per la prima volta il suffragio universale, ha detto basta anche con la monarchia.

La memoria collettiva che si fa celebrazione civile nel calendario repubblicano è dedicata a coloro che si sono fatti carico di quei No, perché è a quei No che siamo grati ed è a quei No che dobbiamo la nostra libertà. A tutti i morti è giusto rivolgere un senso di umana pietà, ma altra cosa è la memoria collettiva che diventa celebrazione repubblicana: quella si deve soltanto ai martiri della libertà. Ma c’è di più.

La rottura col nazifascismo e con la monarchia è stata per contro, nella fondazione della Repubblica democratica, l’affermazione in Costituzione del principio più antagonista: l’uguale dignità di ogni essere umano, che ha per conseguenza l’uguaglianza di tutti davanti alla legge e ancora l’ordine imposto alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli materiali che continuino a produrre ingiuste diseguaglianze. Niente di più antagonistico rispetto ad una società fondata sulla teorizzazione della segregazione tra esseri umani di serie “A” (ariani, sani, eterosessuali…) ed umanità di serie “B” (tutti gli altri, che se non da eliminare fisicamente saranno comunque da sfruttare mantenendoli in costante condizione di subalternità).

E’ questa rottura etica che celebriamo il 25 aprile. E’ questa rottura etica, questo ribaltamento radicale che vede il valore della persona iscritto nella sua stessa esistenza e non nell’appartenenza a questo o quel gruppo umano privilegiato che fa della nostra Costituzione una Costituzione antifascista e dunque antimafiosa. Eh sì, perché la cultura mafiosa è sorella di quella fascista: anche la mafia infatti è fondata su una visione ferocemente segregazionista della società, una società divisa tra uomini d’onore cui tutto è concesso e uomini che stanno fuori dal clan, specie di “babbani” che è bene si facciano i fatti propri e all’occorrenza ubbidiscano senza protestare, pena l’eliminazione.

Non ci sarebbe antimafia senza antifascismo. Senza antifascismo la mafia sarebbe Stato. Sarebbe come se nel 2022, per i 30 anni dalle stragi mafiose del 1992, un dirigente scolastico scrivesse: cari ragazzi, nel 1992 due fazioni se le sono date di santa ragione, ciascuna gagliardamente convinta della bontà delle proprie ragioni, da una parte i Corleonesi e dall’altra i Magistrati di Palermo, ma noi oggi dobbiamo guardare al futuro e dobbiamo superare odi e pregiudizi e quindi vi invito a ricordarle tutte quelle vittime, senza distinzione di parte.

Dottor Filisetti: si vergogni e si dimetta. Scelga lei in che ordine fare le due cose.