PSE Congresso 2024

Chissà se i posteri ricorderanno il Congresso del Partito Socialista Europeo celebratosi a Roma come l’inizio della svolta oppure semplicemente no, non lo ricorderanno affatto.

Che svolta? Quella che serve per salvare la democrazia in Europa.

Sono passati soltanto pochi decenni da quando la democrazia liberale, basata sul suffragio universale, è diventata la forma di organizzazione sociale dell’Unione Europea eppure i segni di decadimento sono drammatici e sotto gli occhi di tutti. Tra tutti quelli che ognuno di noi può elencare, forse il più preoccupante è di natura culturale ed ha a che fare con l’evocazione della guerra come necessità storica ineludibile. L’appello al riarmo dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha avuto una eco davvero inquietante. Sembrano lontani anni luce i motivi ispiratori che innescarono il processo di unificazione europeo: l’orrore delle due guerre mondiali, dei totalitarismi liberticidi, del dispotismo razziale. MAI PIU! La forza utopica di queste due piccole parole animò il miracolo politico del primo ed unico processo di devoluzione volontaria di sovranità, finalizzato a costruire una casa comune retta da quella “convivialità delle differenze” (don Tonino Bello) che prometteva di essere l’alternativa praticabile alla prepotenza delle identità, l’una contro le altre armata.

Sappiamo come sono andati i successivi settant’anni.

L’utopia del MAI PIU è stata osteggiata e contraddetta in ogni modo possibile, generando una dinamica tanto tragica che manco il mito di Sisifo la potrebbe adeguatamente simboleggiare.

Così, mentre da un lato generazioni di democratici hanno lavorato perché guerra e dispotismo uscissero per sempre dalla storia (europea e del Mondo), attraverso la progressiva affermazione di norme e pratiche per la gestione non violenta dei conflitti e per la giustizia sociale, dall’altro gruppi più o meno strutturati hanno lavorato al contrario perché la volontà del più forte, fosse legge, come sempre era stato. L’Italia è stato teatro “privilegiato” della tensione tra queste due vere e proprie “masse continentali” in movimento contrario. Un movimento che ha stritolato decine di vite a Peteano, in piazza Fontana, in piazza della Loggia, a Bologna, con le bombe del ’92 e del ’93, fino a quella inesplosa del gennaio ’94, che ha avvelenato i pozzi della vita politica con la iniezione dentro le istituzioni repubblicane di dosi abbondanti di fascisti a malapena coperti da un manto di formale presentabilità. Fino alla perfetta ricapitolazione degli “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi) che, arrivati al Governo attraverso libere elezioni cento anni esatti dopo la criminale “marcia su Roma”, stanno adoperando le istituzioni democratiche per riscrivere la storia e prendersi la rivincita sulla sconfitta subita nel ’45. Una sconfitta avvertita sempre e soltanto come militare e mai davvero anche culturale. Questa rivincita è quella che sognano tutti i movimenti nazionalisti, più o meno dichiaratamente neo fascisti, che serpeggiano per l’Europa, insofferenti da sempre all’idea stessa di uguaglianza tra umani e per questo irriducibilmente contrari alla democrazia pluralista, relativista, alla società aperta, per questo sempre un po’ disordinata e disubbidiente. E’ la rivincita che ha prodotto criminali come Breivik, capace di assassinare a sangue freddo 69 tra ragazzi e ragazze della gioventù laburista norvegese, colpevoli di partecipare ad un campo di formazione politica sull’Europa democratica, laica, plurale. Succedeva ad Utoya il 22 Luglio del 2011. Breivik, arrestato, processato ed incarcerato, si sta probabilmente godendo dalla sua cella il progressivo, apparentemente inarrestabile successo di tante di quelle forze di estrema destra cui proprio lui aveva inviato il suo “manifesto”, prima di commettere la strage.

Oggi però la sfida è arrivata al suo ultimo tornante, perché a sostegno di questi movimenti nazionalisti antidemocratici, milita una forza senza precedenti rappresentata da quella parte di “turbo-capitalismo” globale che ha capito di poter funzionare senza democrazia. A questo capitalismo servono consumatori imbecilli, non cittadini allenati alla sovranità.

Il PSE saprà guidare la svolta, facendo delle prossime elezioni europee il fatto politico che sarà ricordato dagli storici come il fatto che ha salvato la democrazia in Europa?

Dipenderà da tanti fattori.

Tra questi, uno che mi sta a cuore: la credibilità del personale politico che servirà al PSE per scatenare una offensiva culturale e poi politica contro la corruzione del potere, i conflitti di interesse, le contiguità tra mafie e “colletti bianchi”, le concentrazioni di potere privato in gangli essenziali della vita pubblica come i media, la sanità, la tecnologia militare, contro le “porte girevoli”, per la trasparenza dell’attività politica. Partendo insomma da un più modesto, ma essenziale, MAI PIU trolley pieni di soldi, MAI PIU sms tra i vertici della Commissione ed il capo di una multinazionale farmaceutica.

pace europa

“Per fare un tavolo ci vuole un fiore”, ve la ricordate?

Ecco, parafrasando, dico: per fare la pace ci vuole un referendum pan-europeo.

Intanto: la pace, punto di partenza e di arrivo del ragionamento, come il “tavolo” di quella canzone. Una Unione Europea incapace di pace dentro e fuori i propri confini è semplicemente il fallimento dell’idea stessa di Europa generata dall’orrore delle grandi guerre del ‘900, con tutto il loro corredo di violenza, totalitarismo e collasso di tante pallide democrazie. Una Unione Europea che sdogani l’antico motto “Si vis pacem para bellum”, che si ri-abitui alla guerra come normale strumento di governo delle cose e corra senz’altro ad armarsi, tradisce l’enorme sforzo che fu compiuto da quei sopravvissuti per sotterrare con i morti anche il bisogno di vendetta, tanto da costruire convivenza con i propri acerrimi nemici. Uno sforzo del quale evidentemente non siamo più capaci perché non abbiamo vissuto sulla pelle simili tragedie (d’altra parte abbiamo un Ministro dell’Interno che accusa chi parte con i barconi alla volta dell’Europa di scarso senso di responsabilità).

Ma non potrà mai più esserci un’Europa capace di pace senza giustizia sociale, il “legno” della canzone. La giustizia sociale è quella cosa per la quale chi nasce in condizioni di svantaggio incontra, proprio grazie alle Istituzioni, opportunità di riscatto, di realizzazione personale e collettiva (scuola, casa, sanità, lavoro, ambiente, mobilità). Cosa c’entra la giustizia sociale con la pace? Se c’è giustizia sociale si allarga la platea dei cittadini consapevoli che possono dire la propria liberamente, organizzandosi efficacemente, invece se non c’è giustizia sociale ad allargarsi è il divario tra l’elite che sa, parla, decide e la massa di impoveriti che resta disorientata, muta, schiacciata dalla necessità. Alle elite la guerra è sempre piaciuta, perché la fanno fare ai poveri.

Ma non potrà esserci in Europa questa giustizia sociale senza giustizia fiscale, “l’albero” della canzone. La giustizia fiscale è quella cosa per la quale tutti i cittadini europei e tutti i soggetti economici che fanno affari in Europa contribuiscono secondo principi di equità e progressività alla spesa pubblica. Ma questa cosa non potrà mai succedere senza l’armonizzazione tra i sistemi fiscali europei, che oggi legalmente gareggiano l’uno contro l’altro per soffiarsi i “clienti” più facoltosi e senza un radicale contrasto ad ogni forma di elusione fiscale e di evasione fiscale.

Ma non potrà farsi questa giustizia fiscale in Europa senza una Costituzione federale, il “seme” della canzone. La Costituzione federale è quella cosa per la quale l’Unione europea smette di essere un condominio di Stati nazionali litigiosi e spesso in competizione e diventa un soggetto politico unitario ed indivisibile, fondato su uguali diritti ed uguali doveri, recuperando almeno un po’ del coraggio e della lungimiranza con cui si misero a fattor comune acciaio e carbone negli anni ’50 del secolo scorso.

Ma non avremo mai una Costituzione federale senza che il Parlamento europeo, forte della sua originaria legittimazione universale, derivata dalla diretta manifestazione di volontà politica da parte dei cittadini europei, decida di fare della X Legislatura una Legislatura COSTITUENTE, il “frutto” della canzone. Una Legislatura costituente è prima di tutto un atteggiamento politico: l’atteggiamento di chi rivendichi la centralità del Parlamento europeo nel processo di superamento della attuale configurazione istituzionale della Unione Europea, rispetto al ruolo di Consiglio e Commissione che fatalmente riflettono le volontà degli Stati membri.

Ma una Legislatura costituente che pure riuscisse con successo a guidare un simile processo, non potrebbe sperare di vedere “vivere” la nuova Europa federale, senza affrontare la sfida di un referendum pan-europeo, il “fiore” della canzone. Bisognerà infatti che il popolo europeo, che si manifesta nel momento in cui elegge a suffragio universale i propri rappresentanti parlamentari, venga nuovamente evocato nel momento in cui da questi ricevesse la proposta del nuovo patto di convivenza, evitando così che proprio questo apicale esercizio di democrazia sia risucchiato dalle dinamiche nazionali attraverso referendum confermativi organizzati Stato per Stato. Come avvenne nel 2005 con i risultati infausti che ricordiamo.

Insomma: per fare la Pace, ci vuole un referendum pan-europeo!

Diversamente il rischio sempre più evidente è quello di assistere all’implosione della casa comune europea a colpi di Qatar-gate, Mosca-gate, Pfizer-gate tanto utili a coloro che scommettendo sulla perdita di credibilità delle istituzioni comunitarie, affilano gli artigli arrugginiti delle identità nazionalistiche, che portano non fiori, frutti, semi, alberi e tavoli ma guerra, guerra ed ancora guerra.

 

 

Mario Paciolla

Battersi per la verità sulla morte di Mario Paciolla riguarda il futuro di tutti noi, riguarda la possibilità stessa di abitare un Mondo migliore, nel quale la volontà del più forte non sia l’unica legge. Il Mondo migliore per il quale Mario ha speso la sua vita.

Perché questo incipit non appaia una iperbole retorica devo subito chiarire la convinzione dalla quale muovo nel proporre questa riflessione: non credo che Mario si sia suicidato. Sono convinto che Mario sia stato ucciso e che della verità sulla sua morte debba farsi pienamente carico l’ONU.

I fatti disponibili su cui ragionare sono noti a coloro che a partire dal luglio del 2020 hanno cercato di capire cosa fosse successo.

Il 15 Luglio del 2020 Mario si sarebbe tolto la vita, impiccandosi e di questo la famiglia è stata informata da personale ONU. Mario stava collaborando con la missione ONU incaricata di monitorare il processo di pace colombiano.

Mario sarebbe tornato in Italia cinque giorni dopo, il 20 Luglio ed aveva già fatto sapere alla mamma, Anna, cosa avrebbe voluto mangiare. L’abitazione colombiana di Mario è stata ripulita immediatamente dopo la sua morte da personale ONU e diversi oggetti sono scomparsi. Dal 2019 Mario aveva cominciato a manifestare forti preoccupazioni proprio per il lavoro che stava facendo per le Nazioni Unite, per quello che aveva visto e documentato, per le tensioni che ciò stava provocando all’interno della missione medesima e tra la missione ed il Governo colombiano. Non si sentiva più sicuro Mario, aveva la sensazione di essersi cacciato in un brutto guaio, al punto da cancellare dal web foto e scritti. Io non so cosa sia successo tra il Novembre del 2019 ed il 15 Luglio del 2020, ma immagino che siano stati mesi tormentati. Ad ogni modo, per Mario la via di fuga era evidentemente rappresentata dal ritorno in Italia, niente di più. Niente che facesse pensare che Mario per lasciarsi alle spalle preoccupazioni e dispiaceri potesse farla finita, con la vita. La Procura di Roma competente per una vicenda del genere, ha aperto una inchiesta per valutare l’ipotesi di omicidio ed ha dovuto scontare immediate difficoltà nell’ottenere collaborazione con le autorità colombiane e con l’ONU. La Procura di Roma ha proposto recentemente l’archiviazione della indagine per insufficienza di prove, la famiglia ha fatto opposizione, il GIP deciderà se assecondare la richiesta della Procura o se ordinare nuove indagini. Non è stata ancora fissata udienza.

Convinto come sono che Mario sia stato ucciso, penso che Mario e la sua famiglia meritino ogni sforzo, come merita ogni vittima di violenza. Ma in questo caso c’è qualcosa di più, come anticipavo in premessa. In gioco qui c’è anche la credibilità stessa delle Nazioni Unite, cioè di quella organizzazione mondiale che più di ogni altra incarna il sogno di un Mondo dove la guerra sia stata abolita, dove la guerra sia dichiarata illegale, dove i conflitti trovino necessariamente ed efficacemente una soluzione negoziata, sulla base del diritto internazionale. Un sogno che alla luce di quanto accade e di quanto accaduto dal 1945 ad oggi può sembrare puerile, un sogno da “anime belle”, buono soltanto per ingenui ed imbecilli. Un sogno che nessuno pare abbia più nemmeno la voglia di fare, se è vero come stabilisce il Censis nella sua ultima fotografia dell’Italia, che 8 italiani su 10 non hanno più nessuna intenzione di fare sacrifici per tentare di migliorare le cose. Si salvi chi può, insomma. E chi può di solito è il più forte. Eppure, mi permetto di dire, questo sogno è stato il sogno di Mario, il sogno per il quale ha vissuto e per il quale è stato ucciso. Un sogno corrotto anche da chi incista e perverte pure l’ONU, cercando di farne soltanto l’ennesima agenzia di potere. Un po’ come accade in Italia nel rapporto mortifero tra Istituzioni repubblicane, che dovrebbero servire ad abolire il dispotismo fascista e mafiosi, che invece di dispotismo sono campioni. Mi sono convinto che questo sogno fosse proprio il sogno di Mario avendo letto che Mario era arrivato a collaborare con l’ONU in Colombia dopo aver fatto parte delle PBI: le Peace Brigades International ovvero quanto di più radicalmente utopico io conosca sul fronte della gestione nonviolenta del conflitto. Le PBI fanno una cosa semplice ma potentissima: la scorta civile ed internazionale di soggetti a rischio della vita per le battaglie che fanno nei loro Paesi. Con la loro presenza fisica, insomma, alzano il prezzo della violenza, rendendola (cercando di renderla) sconveniente: chi intendesse ammazzare uno di questi attivisti, dovrebbe mettere in conto di ammazzare anche questi scomodi ed invadenti accompagnatori internazionali. In Italia qualcosa di simile viene fatto da Operazione Colomba. Mario era stato in Colombia con le PBI: Mario era un testimone di quel sogno. In questi mesi, anche a causa della invasione russa dell’Ucraina, ci stiamo chiedendo cosa si possa fare per dare ancora una speranza alla pace, cioè ad un Mondo che ripudi la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, ecco, sicuramente una cosa da fare è salvare l’ONU dalla sua definitiva decadenza. Per questo credo che l’ONU debba farsi pienamente carico della verità sulla morte di Mario: la giustizia per Mario è giusta anche per l’ONU di cui il Mondo ha bisogno. Chi sa, parli, non è troppo tardi.

 

Ai mafiosi serve un’Europa malata. L’Italia ha una responsabilità epocale.

L’Unione Europea è ad un bivio: di qua il superamento della pandemia e l’avvio attraverso la COFE (la Conferenza sul Futuro dell’Europa) di una nuova fase costituente che rafforzi le sue Istituzioni democratiche, rendendole ancor più adeguate alle sfide globali. Di là il ritardo colpevole nel superamento della pandemia, il fallimento della COFE ed il conseguente probabile declino delle Istituzioni democratiche europee.

Come in ogni partita c’è chi tifa e tira da una parte e chi dall’altra.

Tifano per il declino sicuramente le mafie italiane che si trovano in buona compagnia nel territorio dell’Unione Europea, non essendo la pratica del crimine organizzato una esclusiva italiana e nemmeno lo specifico metodo mafioso.

Secondo il report SOCTA (2017) di Europol, più di 5.000 gruppi di criminalità organizzata sono attualmente sotto indagine in Europa. La criminalità organizzata è guidata dal profitto e le sue attività illegali generano enormi guadagni: i proventi della criminalità organizzata all’interno dell’UE sono attualmente stimati in circa 110 miliardi di euro all’anno. Nell’Unione Europea attualmente solo il 2% circa dei proventi di reato sono congelati e l’1% circa confiscati. Ciò consente ai gruppi della criminalità organizzata di investire nell’espansione delle loro attività criminali e nell’infiltrazione dell’economia legale. Europol stima che tra lo 0,7 e l’1,28% del PIL annuo dell’UE è coinvolto in attività finanziarie sospette. (Fonte tratta dal rapporto FattiperBene pubblicato da LIBERA)

Le organizzazioni criminali di stampo mafioso non sono organizzazioni sovversive, nemmeno quando temporaneamente e strumentalmente ne vestono i panni come nel caso della stagione delle leghe indipendentiste del nostro recente passato. Le mafie sono parassitarie fino a diventare eversive: fiaccano il potere pubblico per poterne abusare, svuotandolo così della propria autentica missione. Se trasferiamo questo principio su scala europea, i conti non tardano a tornare: le mafie non scommettono sulla disgregazione dell’UE, scommettono piuttosto sulla sua debolezza per poter massimizzare i loro profitti illeciti, approfittando di un ecosistema florido ed ingenuo, quando non complice come le storie di Jan Kuciak e Dafne Caruana Galizia suggeriscono.

Le ricchezze accumulate attraverso i traffici illeciti sono un eccellente test. In Italia disponiamo di un’arma micidiale per colpirle: le misure di prevenzione patrimoniali, in forza delle quali accertata una sproporzione tra disponibilità di beni e redditi dichiarati, a certe condizioni, si può procedere al sequestro che diventerà confisca definitiva se colui che lo ha subito non riuscirà a dimostrare la provenienza lecita di quelle ricchezze. Dunque: sequestro in assenza di condanna penale ed inversione dell’onere della prova per evitare che il sequestro diventi confisca. Una rivoluzione! Che infatti costò la vita al suo profeta: Pio La Torre. L’Unione Europea non possiede un’arma simile, ma soltanto la più tradizionale confisca penale, quella cioè che colpisce mezzi e profitti di un reato commesso e per il quale si è stati condannati in sede penale. Anche il regolamento europeo del 2018, entrato da poco in funzione, che riguarda la reciprocità dei provvedimenti di congelamento (sequestro) e confisca, pur importante, fa riferimento in sostanza alla confisca penale. Questo iato tra normativa italiana e normativa europea è una buona misura della sfida che abbiamo davanti: ad oggi infatti ai mafiosi italiani conviene assai portare i soldi fuori dall’Italia e conviene ancor di più che l’Europa non cambi idea sulle misure di prevenzione patrimoniali. L’Italia oggi ha un compito in più: aiutare l’Unione Europea a non sbagliare strada.

Jan Kuciak

Mentre scrivo per commemorare due giovani assassinati nel cuore dell’Europa non so cosa deciderà l’Alta Corte britannica su Julian Assange. I due giovani europei di origine slovacca si chiamavano Jan Kuciak e Martina Kusnirova, ammazzati a sangue freddo da un professionista assoldato da chi ha voluto tappare per sempre la bocca ad un giornalista libero e quindi pericoloso. La sera del 21 Febbraio del 2018 Jan era a casa con la sua compagna, coetanea, Martina: il killer uccise prima lei con un colpo in testa e poi lui, sopraggiunto, con un colpo al cuore. Scriveva Jan, scavando nelle relazioni dei potenti della Slovacchia (cosa altro dovrebbe fare un buon giornalista?), mettendo sempre più a fuoco interessi e complicità che portavano fino alla criminalità organizzata di stampo mafioso prosperante nel suo Paese. Studiava Jan per comprendere la portata di quelle relazioni ed infatti sulla sua scrivania venne ritrovato un libro indicativo: ‘ndrangheta di Francesco Forgione, che era stato presidente della Commissione parlamentare antimafia tra il 2006 ed il 2008. Sullo sfondo di quelle relazioni i fondi strutturali dell’Unione europea.

Che cosa può spingere un ragazzo di poco più di vent’anni a mettere a repentaglio la propria vita per raccontare fatti del genere? Vorrei che a rispondere a questa domanda fossero i giovani giornalisti che ovunque nel Mondo continuano a fare scelte del genere. Io posso soltanto dire che in questa scelta ritrovo il fondamento della democrazia, dove l’esercizio necessario del potere deve trovare un limite invalicabile nel rispetto della libertà delle persone, perché un potere esercitato senza limite diventa fatalmente abuso. Ma non c’è limite che tenga senza regole e senza un lavoro costante ed intransigente di verifica e controllo. Cosa c’è di più anti democratico che mortificare la libertà di stampa e comprimere l’indipendenza e l’efficacia della magistratura, che sono i due fondamentali agenti di sindacato sul potere? Come si vive in una società nella quale viene perseguitato chi denuncia gli abusi del potere e non chi quegli abusi li ha perpetrati? Si vive in una condizione di libertà apparente, vigilata, limitata, dipendente dalla volontà del potente di turno che, se minacciato, può annichilirla. Tornano in mente le parole di Primo Levi in Se questo è un uomo: “morire per un sì o per un no”, che sono la rappresentazione sintetica e senza tempo del dispotismo, autoritario e violento, insofferente alle regole, qualunque fondamento possano avere. Il crinale che separa il dispotismo elevato a sistema da un sistema venato di dispotismo, è un crinale scivoloso, a volte ambiguo, perché l’esercizio del potere porta sempre con se’ la tentazione dell’abuso, ecco perché la democrazia è democrazia se e fintanto che legittima e protegge costantemente il diritto a verificare, controllare, raccontare, denunciare, dissentire, liberarsi… da un uomo violento, da una famiglia mafiosa, da uno Stato prevaricante. Così mentre ci indigniamo giustamente per l’assassinio di Navalny in Russia, per quello di Regeni in Egitto, per quello delle donne in Iran o per i dissidenti incarcerati in Turchia, faremmo bene ad opporci ad ogni rigurgito di dispotismo in “casa nostra”, difendendo ad ogni costo un certo modo di stare al Mondo, fondato su una idea: gli umani nascono tutti liberi ed uguali. Rigurgiti di dispotismo sono far morire in carcere Julien Assange, praticare sequestri di persona o “neutralizzazioni” di presunti terroristi a scopo preventivo, pianificare la deportazione di massa degli immigrati come ha fatto l’estrema destra tedesca… ma anche non difendere i giornalisti dalle querele intimidatorie, limitare per legge la pubblicazione di atti giudiziari, criminalizzare il dissenso e specificamente la disubbidienza passiva in carcere, limitare la rilevanza penale dell’abuso di potere abolendo l’abuso d’ufficio, abolendo il reato di tortura, comprimendo la possibilità di investigare adoperando le intercettazioni, subordinando la magistratura inquirente al potere esecutivo attraverso la separazione delle carriere. Ma sono rigurgiti di dispotismo anche quelle scelte in materia economica che espongono i più vulnerabili agli appetiti di “padroni” senza scrupoli, come la liberalizzazione dei sub appalti od il disinvestimento sulla formazione, sulla prevenzione e sui controlli nei luoghi di lavoro.

Nel nome di Jan Kuciak, di Daphne Caruana Galizia, di Peter de Vries, di Giulio Regeni, di Julien Assange, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (il 20 Marzo saranno trent’anni), di Andy Rocchelli, Mario Paciolla, di Vittorio Arrigoni e di tutti coloro che hanno pagato con la vita il coraggio di rovinare la festa al potere che abusa, dovrebbe trovare slancio una grande alleanza “insorgente” per fare dell’Unione Europea un baluardo sicuro della libertà, trasformando il prossimo Parlamento in una assemblea costituente. Così che magari si trovi pure la forza per dire “no!” a quella estrema, terribile, forma di dispotismo che è la guerra, che andrebbe ripudiata e non normalizzata.

Europa Federale

Nella Polonia che ha appena scommesso sull’europeista Tusk, quell’estintore usato platealmente dal parlamentare dell’ultra destra per spegnere le candele di Hanukkah dà la misura del rischio che stiamo correndo, quello di una Unione Europea snervata dai nazionalismi bellicosi, servi in ultima istanza del turbo capitalismo globale e di chi lo cavalca.

L’Unione Europea è un miracolo della storia di cui dovremmo essere consapevoli ed orgogliosi. Un processo di avvicinamento e di devoluzione progressiva di sovranità nazionale generato dall’incubo delle due guerre mondiali e dei totalitarismi del ‘900. Mai prima nella storia occidentale è capitata una cosa del genere e mai più capiterà se non reagiamo a questa drammatica deriva violenta. L’Unione Europea è figlia del più convincente “Mai Più!” di cui siamo stati capaci: mai più nazionalismo, mai più razzismo, mai più guerra. La nostra Costituzione repubblicana, anti fascista ed anti razzista, sta nel medesimo solco culturale della costituzione della UE ed infatti è minacciata dalla destra nostrana attraverso le medesime linee di attacco con cui i nazionalisti in tutta Europa aggrediscono la UE: svuotare e delegittimare il Parlamento.

Non deve stupire: il Parlamento è il riflesso del suffragio universale e questo a sua volta è il simbolo della uguaglianza di tutte e tutti di fronte alla legge, che a sua volta riposa sulla convinzione che tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali. Ed è proprio l’uguale dignità di ogni essere umano che i nazionalisti aborrono, preferendo alimentare la prospettiva di una società divisa tra umanità di serie A ed umanità di serie B: non è forse di questa visione che è portatore il “mister X” della grande adunanza preparata dal fedele Donzelli?

Ed è proprio per questo che voglio lanciare un appello attraverso questo blog a quanti parteciperanno alla due giorni voluta dal Partito Democratico sull’Europa (che si aprirà a Roma venerdì 15), affinché emerga forte e chiara la volontà di fare del prossimo parlamento europeo, che eleggeremo a Giugno, un parlamento “costituente”. Un Parlamento cioè che raccogliendo quanto di buono è stato fatto con e dopo la Conferenza sul futuro dell’Europa, rompa gli indugi e trasformi l’Unione Europea in una Repubblica federale fondata su uguali diritti ed uguali doveri.

Soltanto un salto di paradigma come questo potrà in maniera plastica rappresentare ed incoraggiare un modo diverso di pensare al nostro futuro. Così come la crisi climatica impone di inventare non un “motore” diverso per le nostre macchine, ma un “modo” diverso per le nostre economie, così la crisi della democrazia europea pretende non un diverso “trattato” che ritocchi gli equilibri tra Commissione, Consiglio e Parlamento, ma un “trattato” diverso: una Costituzione Repubblicana e federale che abbia nel Parlamento eletto a suffragio universale il proprio cuore pulsante.

Soltanto un progetto del genere avrebbe la forza di parlare ai milioni di giovani europei sfiduciati, impauriti, lontani dalla politica. Parlerebbe loro di una Europa più solidale, liberata dalle furbizie che ancora la offendono, perché avrebbe un unico sistema fiscale ed un unico sistema di protezione sociale. Parlerebbe loro di una Europa più capace di regolare il mercato, liberata dalla forza eccessiva delle lobby dei grandi gruppi e quindi anche più capace di tutelare l’ambiente e la salute. Parlerebbe loro di una Europa più capace di fare la pace perché liberata dalla soggezione che la rende ancora impotente spettatrice di volontà altrui. Parlerebbe loro di una Europa capace di contrastare la criminalità organizzata mafiosa e non, perché saldamente ancorata al rispetto della libertà di informare ed al diritto di essere informati (è ora che nella sede del Parlamento europeo trovino posto i volti di Dafphne Caruana Galizia, Jan Kuciak, Peter de Vries, Andy Rocchelli: giornalisti assassinati in Europa perché facevano i giornalisti).

Sono certo che milioni di orecchie e di cuori saprebbero avvertire l’importanza di parole simili e saprebbero rimboccarsi le maniche e lottare con il meglio delle proprie energie.

Altrimenti il rischio è che le parole suonino stanche, rituali, previste, utili per gli addetti ai lavori. Una religione senza fede, buona per accendere qualche cero non certo per “bruciare tutto”.

Soltanto qualche giorno fa abbiamo ricordato Antonio Megalizzi, il giovane europeo di origine italiana, assassinato durante l’attentato ai mercatini di Natale di Strasburgo (Antonio venne colpito l’11 dicembre e morì il 14).

La violenza terroristica ha spezzato la vita di Antonio, come quella dei 69 giovani laburisti norvegesi nella strage di Utoya del 22 luglio 2011, noi abbiamo il dovere di raccogliere i loro sogni e custodirli nell’unico modo possibile: facendoli diventare realtà.

 

Europa e corruzione

A cento anni dalla Marcia su Roma, gli “eredi del Duce” sono al Governo. A cento anni dalla nascita di Berlinguer la sinistra in Italia ed in Europa è scossa dal prepotente ritorno della “questione morale”. In questo quadro la notizia della sentenza definitiva di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di D’Alì, già senatore e potente sotto segretario all’Interno, incoraggia gli sforzi di chi non si sia fino a qui arreso alla disperazione.

A conclusione di un lungo e tormentato itinerario giudiziario, è dunque finalmente arrivata per D’Alì la certificazione di aver sostenuto per decenni Cosa Nostra, mettendo a disposizione del sodalizio criminale risorse economiche e politiche. Come ricorda sul suo blog Rino Giacalone, attento e tenace giornalista trapanese che alla vicenda ha dedicato anni di duro lavoro, le cose che capitano nel trapanese si capiscono almeno a cinquant’anni di distanza, tale era ed in parte è ancora, la ragnatela di poteri occulti che hanno nel trapanese un solido baricentro. Vale per la storia criminale di D’Alì, che affonda le sue radici nel potere esercitato dallo zio omonimo tramite la Banca Sicula, che diventerà successivamente la rampa di lancio della carriera del D’Alì oggi definitivamente condannato. Un potere che intreccia persino quello, in allora addirittura sottoposto dei Messina Denaro, campieri nelle terre dei D’Alì. Vale parimenti per chi di quel potere è stato in qualche modo vittima, penso alla vicenda che riguarda Ciaccio Montalto (nel 2023 saranno 40 anni dal suo assassinio), alla quale si legano quelle di un altro magistrato ingovernabile, Carlo Palermo, e dei giornalisti Mauro Rostagno ed Ilaria Alpi. Una “patente” di mafiosità attribuita dallo Stato a carissimo prezzo e basterebbe qui ricordare le fatiche e le vere e proprie ingiustizie patite da servitori leali e capaci dello Stato come il prefetto Sodano (purtroppo deceduto anni fa) e l’allora capo della squadra mobile Linares (oggi meritatamente a capo del Servizio Anticrimine del Dipartimento della Polizia di Stato). Ma attribuita.

Certo, restano nella testa le parole amare di Alfredo Morvillo, pronunciate questa estate alla presentazione del libro dedicato alla sorella Francesca, che alla luce della evidente, perdurante, influenza politica (soltanto in Sicilia?) di personaggi altrettanto “patentati”, si domandava se Giovanni Falcone e Francesca non fossero morti in vano. Ma credo che un modo per onorare la memoria grata di tutti questi sacrifici sia proprio quella di non smettere di lottare perché la democrazia mantenga la sua promessa emancipante e non si trasformi in una farsa, buona soltanto per pochi privilegiati. Ed è anche per questo che tornando da dove sono partito, auspico ancora una volta uno scatto in avanti della politica autenticamente democratica e che quindi non può che essere europeista. Di fronte alla morsa che si sta stringendo attorno alle Istituzioni comunitarie non c’è più tempo da perdere. E’ una morsa che trova forza da un lato nell’illusorio e pericoloso rigurgito nazionalista, che tra l’altro ha portato al Governo in Italia Giorgia Meloni, e dall’altro nella sovranità senza territorio esercitata dai grandi gruppi di potere transnazionali, che agiscono sapientemente appoggiandosi ora a regimi autoritari ora alla più becera delle corruzioni. Che fare? Bisogna avere il coraggio di trasformare l’Unione Europea in una Repubblica Federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Bisogna che questo tema caratterizzi la prossima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, perché non potrà che essere il prossimo Parlamento a condurre questa trasformazione, attribuendosi un compito pienamente costituente. Il Parlamento europeo infatti non ha eguali (e nemmeno precedenti) sul piano della legittimazione democratica. Di fronte alla forza corruttrice delle grandi lobby infatti, non basta rafforzare i presidi di prevenzione e contrasto amministrativi o giudiziari, non bastano, per intenderci, ne’ la Procura Europea, ne’ la Commissione, serve un rinnovato patto civile, che sappia rigenerare la credibilità delle Istituzioni democratiche.

EPPO Pandemia

Pare che i terremoti non siano prevedibili, ma ci sono (purtroppo!) buone ragioni per prepararsi al peggio.

L’epicentro del prossimo sisma rischia di essere nuovamente Bruxelles, a tremare ancora i palazzi delle Istituzioni europee e questa volta potrebbe non bastare l’intera scala Mercalli per misurarne l’intensità.

Cosa c’è infatti di più importante nella storia recente europea del COVID?

Qualcuno potrebbe obiettare: la guerra! Che abbia pazienza, perché ci arriverò nelle conclusioni di questa riflessione.

Cosa ci sarebbe di più grave e destabilizzante che scoprire che la gestione dell’emergenza pandemica sia stata effettivamente condizionata dall’incrocio illecito tra interessi privati (quelli delle multinazionali farmaceutiche, in questo caso) e potere pubblico?

Altro che “Qatar-gate”!

Il 18 Ottobre 2022, l’ANSA batteva una agenzia: la EPPO conferma di avere una indagine in corso sulla acquisizione dei vaccini COVID-19 in UE. Bastava questo stringato comunicato per far infiammare nuovamente le polemiche sullo scambio di messaggi tra la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, e l’amministratore delegato della Pfizer, Albert Bourla. Dagli uffici della Commissione ci si affrettava a dichiarare che sull’argomento non erano arrivate comunicazioni di alcun tipo.

La polemica si “ri-accende” (sul finire del 2022 poco prima che esplodesse la “bomba-Qatar”), perché la faccenda aveva già tenuto banco dopo che una denuncia era arrivata sul tavolo del Difensore Civico europeo, Emily O’Reilly.

Era l’inizio del 2022, precisamente il 28 Gennaio, quando la O’Reilly esprimeva pubblicamente una severa censura sulla opacità del comportamento della Von der Leyen, definendo episodio di “cattiva amministrazione” il diniego della Commissione europea all’accesso ai messaggi di testo scambiati tra la presidente e l’amministratore delegato Pfizer Albert Bourla.

Al “diniego” si era arrivati dopo che una giornalista aveva chiesto di poterli visionare, stante che di questi messaggi aveva dato notizia il New York Times già nell’Aprile del 2021 (quindi nove mesi prima!).

Era infatti il 28 Aprile del 2021 quando Martina Stevis-Gridneff scriveva sul NYT: “How Europe Sealed a Pfizer Vaccine deal with texts and calls” articolo nel quale, senza per la verità alludere a comportamenti potenzialmente illeciti, raccontava della trattativa, approfondita e diretta, tra Von der Leyen e Bourla, una trattativa resa urgente dai dichiarati affanni di AstraZeneca, una trattativa che portava all’acquisto di una quantità ritenuta da alcuni osservatori esorbitante di dosi vaccinali, una trattativa i cui dettagli conclusivi verranno mantenuti riservati.

Da questo articolo sono passati ormai quasi due anni ed è verosimile che nel 2023 i nodi vengano al pettine (non soltanto questi e non soltanto a livello europeo). E forse qualche segnale di nervosismo è lecito coglierlo se non più tardi del 5 Dicembre 2022 Bourla rifiutava, per la seconda volta, di comparire davanti alla Commissione “COVID” del Parlamento Europeo, quella presieduta dalla deputata belga Kathleen Van Brempt (S&D). Di lì a qualche giorno il “Qatar-gate” avrebbe sommerso ogni altra notizia e l’opinione pubblica europea avrebbe cominciato a familiarizzare con il sagace giudice istruttore belga, Michel Claise.

Con ogni probabilità il 2023 sarà un anno molto difficile per l’Unione Europea e se allo scoppiare del “Qatar-gate”, Orban ha immediatamente proposto di abolire il Parlamento europeo, cosa succederà se una inchiesta di questa portata dovesse travolgere la seconda gamba dell’architettura europea e cioè la Commissione? Ed eccoci alla guerra, quella scatenata da Putin invadendo l’Ucraina: quanto il prolungarsi del conflitto, con il suo inevitabile strascico di morte ed impoverimento, fiaccherà ulteriormente l’Unione Europea? La febbre del riarmo, reso sapientemente necessario, quanta giustizia sociale spazzerà via (per non parlare dei danni ambientali)? Insomma una tempesta perfetta scatenata sulla UE, con la complicità (anche inconsapevole) di funzionari e politici corrotti ed infedeli. Così perfetta che verrebbe da pensare ad una qualche raffinatissima regia, se non si corresse il rischio di essere immediatamente iscritti nella schiatta dei “complottisti”, condannati al discredito ed al dileggio. Qual è la posta in gioco? L’affossamento della Unione Europea.

Nel 2024 i cittadini europei saranno chiamati, salvo catastrofe, a votare per rinnovare il Parlamento europeo: c’è bisogno di prepararsi per tempo e per bene, perché sarà un giro di boa senza precedenti. Ci può ancora essere un futuro migliore, ma occorrono coraggio, visione e tenacia. Una rete vasta di organizzazioni europee da tempo sostiene che sia arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e fare del prossimo Parlamento europeo una vera Assemblea costituente con l’obiettivo di trasformare l’Unione Europea in una Repubblica Federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Una casa comune rispettosa delle differenze, ma capace di stare al Mondo con una sua propria forza. L’alternativa la conosciamo e puzza di autoritarismo, guerra e corruzione.

 

 

Elly Schlein in Europa

Io spero che Elly Schlein decida di candidarsi alle europee per un motivo preciso: affermare l’esigenza di superare i partiti nazionali che oggi si riconoscono nel PSE, compreso il Partito Democratico, per fondare un grande partito europeo, che si batta per trasformare l’Unione Europea in una Repubblica federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Niente di meno.

Trent’anni fa, il 28 gennaio del 1994, a Mostar venivano massacrati da un colpo di mortaio, tre giornalisti della RAI di Trieste, Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo, che stavano documentando l’orrore della guerra “nel cuore dell’Europa”, “alle porte di casa nostra” (come si diceva allora). Cosa abbiamo capito in questi trent’anni? Che l’unica possibilità per non disperare, rassegnandoci alla violenza, per rigenerare la democrazia, per cambiare l’economia, per curare la Terra e reagire alla crisi climatica, per salvare l’idea di una protezione sociale universale, stia nel riscattare l’Unione Europea dal destino meschino voluto dalle destre nazionaliste, trasformandola appunto in una Repubblica federale capace di stare al Mondo in maniera autonoma ed efficace. Ma per concretizzare questo obiettivo serve una forza sociale solida e politicamente vincente, perché questa rivoluzione o si fa attraverso il Parlamento europeo o non si fa. Soltanto il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale da oltre cinquecento milioni di cittadini e cittadine, avrà infatti la legittimazione per realizzare tale impresa.

Le mosse dei nemici di questa visione sono così plastiche da lasciare sgomenti. La Meloni infatti, che in Italia promuove la definitiva marginalizzazione del Parlamento attraverso il “premierato”, quale disegno porterebbe in Europa, candidandosi? Evidentemente il suo equivalente su scala continentale, per ridurre l’Unione Europea a mero bancomat, mortificando il Parlamento europeo, simbolo inaccettabile dell’esistenza di un “popolo europeo” aborrito dai nazionalisti. Questo disegno non soltanto è in sintonia con quello di tutte le altre destre nazionaliste europee, ma, conviene ribadirlo sempre, è in sintonia con ciò che vuole il grande capitalismo globale, impostosi dopo il 1989, che dopo aver svuotato la social-democrazia (retaggio mal sopportato di equilibri di potere venuti meno), oggi punta a superare la stessa democrazia liberale, avendo ormai la prova di poter funzionare ancor meglio, senza. Era già tutto prefigurato in un indimenticato rapporto della JP Morgan del 2013 che invitava a liquidare le Costituzioni “antifasciste” del secondo dopoguerra, così insopportabilmente intrise di socialismo. Il discorso tenuto a Davos dal neo presidente argentino, Javier Milei, è stato, da questo punto di vista, così spudorato da mettere in imbarazzo la stessa platea, che certo non era composta da nostalgici leninisti. Per questi motivi non è una forzatura affermare che le prossime elezioni europee avranno una importanza analoga a quella che ebbero le elezioni del 1924 in Italia, un giro di boa della storia.

Per tutto questo mi chiedo: dove dovrebbe stare la segretaria del principale partito di opposizione italiano? A Roma, come hanno fatto tutti prima di lei, ancorandosi con ciò ad un passato che si presta ormai al colpo di grazia della destra nazionalista o a Bruxelles, per ribadire anche fisicamente, come non ci sia niente di più importante oggi del Parlamento del popolo europeo?

Io scommetterei sul fatto che una simile prospettiva riuscirebbe a mobilitare molti giovani oggi delusi dalla politica e chissà, forse, anche a mettere d’accordo alcune delle più nobili anime critiche della grande famiglia del Partito democratico.

Non sarebbe questo infatti un modo “progressista” per tradurre l’appello reiterato da Rosy Bindi a sciogliere e rifondare il PD?

Non sarebbe questo un modo per soddisfare la “clausola di coerenza” posta da Bersani?

E chissà che così, persino le perplessità di Romano Prodi possano essere superate e si possa ancora una volta fare rotta insieme col vento giusto. Quello indomito di Ventotene.

CEDU in antimafia

Una campagna di comunicazione molto fortunata di una piccola ma agguerrita agenzia torinese di qualche anno fa, recitava: Un pompelmo è un limone a cui è stata data un’opportunità!

Vale anche per le mafie.

I mafiosi non sono esseri umani “antropologicamente modificati” (come quel grande statista milanese, consegnato agli onori del Famedio, sosteneva pubblicamente dei magistrati che si ostinavano ad indagare, insinuando che fossero tutti e soltanto dei degenerati), i mafiosi sono criminali organizzati, con una spiccata vocazione politica, che diventano una minaccia eversiva per la democrazia quando colgono opportunità che non andrebbero offerte.

Così come non andrebbero offerti “segnali” di disarmo unilaterale da parte dello Stato sugli abusi del potere: cos’altro è l’abolizione dell’abuso di ufficio?

Nemmeno la tracotanza violenta dei narcos centro e sud americani, che ha dato una nuova ed impressionante prova di sè in Equador qualche giorno fa, deve far pensare che “quei” mafiosi siano antropologicamente diversi dai “nostri”. Non sono diversi, sono soltanto diventati “pompelmi” grazie ad una serie di opportunità offerte dal contesto istituzionale ed economico, opportunità che sono state spietatamente colte. La ferocia eversiva di quei cartelli infatti non è diversa da quella espressa negli anni ’80 e ‘90 dalla Cosa Nostra siciliana, capace di decapitare letteralmente ogni vertice politico ed istituzionale che rappresentasse un ostacolo oppure un tradimento. La violenza brutale con la quale quei cartelli mantengono la propria supremazia nel costante conflitto con altri cartelli concorrenti non ha nulla di diverso da quella adoperata all’interno della ‘ndrangheta calabrese o delle camorre in Campania o della mafia garganica. Tra i tanti film dell’orrore che si possono facilmente ripercorrere per averne un saggio, ci sono le deposizioni del collaboratore Andrea Mantella, killer di ‘ndrangheta, testimone per l’accusa nel processo Rinascita Scott: un orrore che dalle Serre del vibonese arriva fino alle porte di Torino.

Poche cose al Mondo sono più difficili che convincere un “pompelmo” a tornare “limone”: l’Italia c’è riuscita, a carissimo prezzo e per questo da anni strumenti e strategie inventati ed applicati nel nostro Paese sono studiati in tutto il Mondo ed all’interno dell’Unione Europea.

Tra le mosse decisive per produrre questa storica “riduzione”, prodromica alla definitiva eliminazione per spremitura, c’è stata l’introduzione delle misure di prevenzione patrimoniali, che danno il potere allo Stato di individuare e neutralizzare (attraverso sequestro e confisca) patrimoni di provenienza illecita, a prescindere da una condanna penale.

Oggi come è noto, l’intero sistema delle misure di prevenzione patrimoniali è sul banco degli imputati nientemeno che a Strasburgo: la Corte Europea dei Diritti Umani ha chiesto al Governo italiano di spiegare come queste pratiche siano compatibili con i diritti umani fondamentali fissati dalla Convenzione europea. Questa vicenda si sta consumando in un silenzio assordante, mentre andrebbe accompagnata da una adeguata discussione pubblica.

Mi risulta che finalmente la Commissione parlamentare antimafia abbia acquisito la memoria che il Governo italiano a fine Novembre aveva inviato alla CEDU per rispondere alle contestazioni. Perché non adoperarla come punto di parenza per un confronto pubblico?

Giusto per mettere le carte in tavola.

Magari cominciando a rispondere ad una questione fondamentale: lo Stato ha o non ha un preciso dovere di agire in prevenzione della commissione di reati?

Consideriamo la violenza sulle donne. C’è qualcuno che pensa che lo Stato debba limitarsi ad assicurare alla giustizia gli autori di femminicidio, senza fare di tutto perché al potenziale autore dell’orrendo crimine sia impedito in ogni modo di realizzare il proprio scopo?

La prevenzione si traduce nel potere dello Stato di impedire al potenziale criminale di avvicinarsi alla vittima, di abitare in una certa Città, di avere il porto d’armi eccetera. Tutti provvedimenti che impattano evidentemente sulla libertà personale del possibile autore del delitto. C’è qualcuno che a questo punto sarebbe pronto ad insorgere sostenendo che provvedimenti come questi, che impattano sulla libertà personale, essendo afflittivi, non possano che essere considerati delle pene e che per questo siano legittimi soltanto se applicati all’esito di un processo penale? Cosa ne direbbe Giulia Bongiorno, paladina del “Codice Rosso”?

Perché questo è il cuore del poco sofisticato attacco alle misure di prevenzione patrimoniali che si sta consumando in un silenzio assordante.

A meno di convincersi che sia necessario agire in prevenzione nei confronti di un marito violento e non nei confronti delle organizzazioni mafiose, perché a differenza del primo, queste non generano più alcun allarme sociale.

Parafrasando l’indimenticato vaticinio di quel ministro berlusconiano: con un marito violento non si può convivere, con le mafie invece sì.