Elly Schlein in Europa

Io spero che Elly Schlein decida di candidarsi alle europee per un motivo preciso: affermare l’esigenza di superare i partiti nazionali che oggi si riconoscono nel PSE, compreso il Partito Democratico, per fondare un grande partito europeo, che si batta per trasformare l’Unione Europea in una Repubblica federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Niente di meno.

Trent’anni fa, il 28 gennaio del 1994, a Mostar venivano massacrati da un colpo di mortaio, tre giornalisti della RAI di Trieste, Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo, che stavano documentando l’orrore della guerra “nel cuore dell’Europa”, “alle porte di casa nostra” (come si diceva allora). Cosa abbiamo capito in questi trent’anni? Che l’unica possibilità per non disperare, rassegnandoci alla violenza, per rigenerare la democrazia, per cambiare l’economia, per curare la Terra e reagire alla crisi climatica, per salvare l’idea di una protezione sociale universale, stia nel riscattare l’Unione Europea dal destino meschino voluto dalle destre nazionaliste, trasformandola appunto in una Repubblica federale capace di stare al Mondo in maniera autonoma ed efficace. Ma per concretizzare questo obiettivo serve una forza sociale solida e politicamente vincente, perché questa rivoluzione o si fa attraverso il Parlamento europeo o non si fa. Soltanto il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale da oltre cinquecento milioni di cittadini e cittadine, avrà infatti la legittimazione per realizzare tale impresa.

Le mosse dei nemici di questa visione sono così plastiche da lasciare sgomenti. La Meloni infatti, che in Italia promuove la definitiva marginalizzazione del Parlamento attraverso il “premierato”, quale disegno porterebbe in Europa, candidandosi? Evidentemente il suo equivalente su scala continentale, per ridurre l’Unione Europea a mero bancomat, mortificando il Parlamento europeo, simbolo inaccettabile dell’esistenza di un “popolo europeo” aborrito dai nazionalisti. Questo disegno non soltanto è in sintonia con quello di tutte le altre destre nazionaliste europee, ma, conviene ribadirlo sempre, è in sintonia con ciò che vuole il grande capitalismo globale, impostosi dopo il 1989, che dopo aver svuotato la social-democrazia (retaggio mal sopportato di equilibri di potere venuti meno), oggi punta a superare la stessa democrazia liberale, avendo ormai la prova di poter funzionare ancor meglio, senza. Era già tutto prefigurato in un indimenticato rapporto della JP Morgan del 2013 che invitava a liquidare le Costituzioni “antifasciste” del secondo dopoguerra, così insopportabilmente intrise di socialismo. Il discorso tenuto a Davos dal neo presidente argentino, Javier Milei, è stato, da questo punto di vista, così spudorato da mettere in imbarazzo la stessa platea, che certo non era composta da nostalgici leninisti. Per questi motivi non è una forzatura affermare che le prossime elezioni europee avranno una importanza analoga a quella che ebbero le elezioni del 1924 in Italia, un giro di boa della storia.

Per tutto questo mi chiedo: dove dovrebbe stare la segretaria del principale partito di opposizione italiano? A Roma, come hanno fatto tutti prima di lei, ancorandosi con ciò ad un passato che si presta ormai al colpo di grazia della destra nazionalista o a Bruxelles, per ribadire anche fisicamente, come non ci sia niente di più importante oggi del Parlamento del popolo europeo?

Io scommetterei sul fatto che una simile prospettiva riuscirebbe a mobilitare molti giovani oggi delusi dalla politica e chissà, forse, anche a mettere d’accordo alcune delle più nobili anime critiche della grande famiglia del Partito democratico.

Non sarebbe questo infatti un modo “progressista” per tradurre l’appello reiterato da Rosy Bindi a sciogliere e rifondare il PD?

Non sarebbe questo un modo per soddisfare la “clausola di coerenza” posta da Bersani?

E chissà che così, persino le perplessità di Romano Prodi possano essere superate e si possa ancora una volta fare rotta insieme col vento giusto. Quello indomito di Ventotene.

Piano Strategico Metropolitano 2021-2023: un atto d’amore e politico

Il Piano Strategico Metropolitano 2021-2023, Torino Metropoli Aumentata, è un atto d’amore per il nostro territorio ed insieme è un atto politico e meno male che talvolta le due cose coincidono ancora. Uno sforzo che raccoglie quanto di meglio la Torino metropolitana ha già saputo esprimere in questi ultimi decenni, proiettandolo oltre, perché possa essere di più di così. E proprio in questo sta “l’atto d’amore”, nel volere “essere di più”: cento anni fa nasceva uno dei più grandi pedagoghi del ‘900, Paulo Freire, che in portoghese sintetizzava questo concetto con le parole “ser mais”. Gli potrebbe fare eco, a ideale completamento dell’idea, un altro straordinario pedagogo e militante come Danilo Dolci che amava dire: “Si cresce soltanto se sognati”. Sognare una Torino più grande, nel senso declinato dal PSM, cioè ancora più inverata nelle sue premesse, nel suo capitale potenziale, ecco l’atto d’amore verso il territorio metropolitano e quindi verso le migliaia di persone che per caso o per scelta lo hanno eletto a domicilio delle proprie aspettative di vita.

Perché tutto ciò che sta scritto nel PSM ha a che fare con niente di meno che con la ricerca della felicità.

C’è una questione sulla quale voglio soffermarmi: su quali “gambe” potrebbe camminare questo ser mais?

Riprendo un passaggio centrale della visione che sta alla base del PSM:

“Una città aumentata è intelligente – e non solo smart – perché capace di generare un ecosistema abilitante basato sull’hardware fornito dalla qualità degli spazi urbani e sul software codificato dalla cittadinanza attiva” (Carta)
Il “software” codificato dalla cittadinanza attiva, cioè da chi ha adeguati strumenti culturali per cogliere le opportunità e trasformarle in progetto. Dalle mie parti si direbbe: facciamo giocare chi ha le scarpe da pallone.

E chi no?
Il rischio che l’hardware abilitante venga opportunamente cavalcato da chi ha già le scarpe da pallone è sempre dietro l’angolo, anche perché quando i decisori pubblici e privati destinano risorse finanziarie al potenziamento dell’hardware abilitante si aspettano, comprensibilmente, un certo ritorno in un certo tempo, il che a volte rischia di far restringere la platea dei soggetti destinatari a quanti diano più garanzie di saper mettere a frutto i talenti ricevuti.
La questione non è elusa dal PSM bisogna riconoscerlo, specialmente nell’asse 5 che fa riferimento alla equità e alla coesione sociale.
Infatti nella nota introduttiva all’asse 5 si legge:
“Bisogna cominciare a rivolgersi a un tipo di strumenti che riconoscano la non linearità dei processi, il ruolo centrale dei fattori abilitanti e il fatto che probabilmente dobbiamo cominciare a cambiare un po’ l’unità di analisi” (Calderini)

Proprio così: i processi sociali tutto sono fuorchè lineari. Di “lineare” c’è soltanto lo scorrere del tempo, il che per altro dovrebbe mettere a tutti un po’ più di brio.

Che fare allora?
Io credo che in concreto una delle scelte che aiuterebbero a tenere quanto più ampia la platea del “ser mais” sarebbe quella di investire di più su quelli che Freire definirebbe “animatori d’ambiente” cioè persone capaci di stare a metà strada tra l’hardware abilitante ed i tanti spaesati che rischiano di passare per Torino come acqua sui vetri. Niente di completamente nuovo: a Torino esiste una gamma vasta di “animatori d’ambiente”. Sono i mediatori culturali, gli assistenti sociali, gli animatori di comunità e scolastici, gli insegnanti, gli operatori dei centri per l’impiego … fino ai “navigator”! Persone molto spesso competenti e dedite, che svolgono tutte, ciascuna col proprio specifico, quel fondamentale servizio civico che contribuisce a far trovare o ritrovare la bussola a chi fatica a fare rotta. L’ISTAT ci dice che il primo anno di pandemia ha gettato nella povertà assoluta un milione di persone in più in Italia. Non c’è niente di più esplosivo di una umanità rassegnata, che non aspetta più nemmeno una buona notizia.

Bisognerebbe dunque riconoscere maggiormente il valore di questo lavoro, perché è il lavoro che alimenta ancora e nonostante tutto quella “scala mobile” sociale che è il cuore della missione emancipante che la nostra Costituzione affida alla Repubblica.

Infine poco più di un “salva con nome”: Torino non è diventata capitale perché era una città grande, ma è diventata una grande città perché qualcuno l’ha voluta capitale.

Leggi l’articolo di Repubblica qui

Buon lavoro Enrico Letta

Ho ascoltato con attenzione le parole di Enrico Letta e tanti sono i punti su cui mi sono sentito in sintonia (*) ma uno in particolare mi ha colpito: ha raccontato di aver ricevuto diversi messaggi nei quali quasi gli si dava del matto “Ma come?! Lasciare il posto all’Università per un ruolo di partito?! Passi lasciarlo per un ruolo istituzionale, ma non per un ruolo di partito!”. Ha detto Letta di aver preso la decisione di accettare la candidatura a segretario proprio davanti a questi messaggi che gli sembravano assurdi. Ecco, bravo! Perché non c’è buona battaglia che si possa vincere senza che ci sia una forza solida ad affrontare l’impresa. Di più: la forza che deriva dalla solidità della compagnia è l’unica speranza di successo per chi non ha altre forze che gli derivino dai soldi o dalla posizione sociale. Non c’è vela che regga il mare se il legno è marcio. E sicuramente Letta questo lo sa bene. Buon lavoro al segretario allora!
* le sintonie sono:
– sui riferimenti alti da Papa Francesco a Mazzolari fino a Berlinguer
– sulla centralità della Conferenza sul futuro dell’Europa
– sul pericolo rappresentato dalle mafie, anche per i 209 miliardi di euro in arrivo
– sul ruolo dei giovani della scuola e del volontariato
– sull’occasione rappresentata dalla presidenza italiana del G20
– sulla ostilità dichiarata verso il trasformismo politico
– sul coraggio a non vivere di rendita. Nemmeno di rendita politica!

Cara Elly Schlein, ho ascoltato il tuo appello, ma non mi ha convinto

Cara Elly Schlein,
ho ascoltato con attenzione il tuo appello “pirata”. Ancora una volta ci ho trovato la tua passione e la tua intelligenza, ma non mi ha convinto e provo a spiegare il perchè.
L’idea di ri-organizzare tutto il campo progressista e non di ridipingere questa o quella casa nella quale fatalmente ci sarebbe sempre qualcuno a sentirsi “ospite” è senz’altro centrale, ma che per farlo serva una rete orizzontale che dia spazio a tutte le migliori energie, ecco questo no. Tu avevi 6 anni quando nel 1991 venne fondata La Rete, venne fondata il primo giorno di primavera (suggestione che poi sarebbe stata utile ad altre fondazioni), venne fondata da persone coraggiose ed appassionate come te alle quali mi legano profondi sentimenti di stima ed amicizia, venne fondata per liberare le migliori energie progressiste dalla trappola ammuffita delle contrapposizioni ideologiche, accese grandi speranze e mobilitò davvero un’onda di partecipazione.
Sarebbe troppo facile ed ingiusto chiosare dicendo che la Rete nel 94 già stava in pezzi, che i suoi leader “pirati” già stavano litigando tra di loro, che di lì a poco la Rete si sarebbe sciolta e che i suoi “nodi” avrebbero preso strade anche molto diverse. Sarebbe ingeneroso chiudere così ed anche politicamente sciocco. Il punto è un altro: al di là della durata della Rete, la Rete ebbe sicuramente un merito storico e dunque politico straordinario, colse in pieno lo spirito del tempo e lo interpretò.
Quale spirito? Quello del dopo ’89, quello della necessità di chiudere i conti della Terza Guerra Mondiale, quello di liberarsi di una classe dirigente che aveva gestito il potere pubblico anche appoggiandosi alla mafia (Leoluca Orlando era stato stretto collaboratore di Piersanti Mattarella). W la Rete!
Oggi una rete pirata orizzontale, un luogo dell’auto rappresentazione delle forze migliori interpreterebbe lo spirito del tempo? Quale tempo stiamo vivendo? Per me il tempo del trionfo del capitalismo globale della finanza, dei dati, dell’energia, della chimica e degli armamenti. Il tempo del trionfo delle grandi organizzazioni criminali di stampo mafioso (quasi mai citate negli elenchi delle priorità) che diventano un subdolo surrogato dello Stato sociale. Come possiamo pensare di entrare nel conflitto per la gestione del potere pubblico con formazioni che abbiano nella propria genetica organizzativa il baco della fragilità, della litigiosità, del personalismo (perchè poi ad un certo punto la rete pirata le liste le dovrà pur fare e tu sai bene cosa succede).
Le democrazie parlamentari nazionali sono già quasi completamente svuotate di capacità di governo, se vogliamo salvare quel che resta e lavorare per ribellarci ad un destino che qualcuno ha già scritto, dobbiamo andare in un’altra direzione. Quel “luogo dove darsi appuntamento” che tu evochi, c’è già ed è il Partito Democratico: fu quello il luogo nel quale dopo un cammino lungo e faticoso durato quasi 20 anni si diedero appuntamento le migliori forze progressiste italiane. Esperimento fallito e morto: io non credo. E non ci credo perchè dopo 25 anni di militanza sociale e politica non credo nel mito della palingenesi, del nuovo inizio ricreativo che supera tutte le contraddizioni precedenti. Ho visto talmente tanti compagni e tante compagne andarsene sbattendo la porta più o meno schifati e sicuri che in un altrove avrebbero costruito la Terra senza bachi, che non ne posso più.
C’è la fatica di stare nei processi e costruire, se ci si riesce, ogni volta un centimetro in più di libertà, di giustizia, senza presunzione, con tanta forza: si chiama resilienza. Da quando sto nel PD ho perso più di quanto ho vinto: fui della mozione Civati, poi della mozione Orlando… infine della mozione Zingaretti. Ho sofferto, come tanti, ma non ho mai pensato di andarmene.
Perchè continuo a credere nel progetto politico messo a fondamento del PD: persino nella vocazione maggioritaria!! E ci credo oggi più di ieri e sai perchè? Perchè noi abbiamo una battaglia politica storica da vincere (o da perdere!), una battaglia che ci darà o meno la possibilità di combattere tutte le altre (ambiente, giustizia sociale, pace, lavoro…) ed è la battaglia per trasformare la claudicante Unione Europea nella Repubblica d’Europa, Repubblica federale fondata sull’uguaglianza di diritti e di doveri.
Solo così potremo avere la possibilità di ri-entrare da protagonisti nel conflitto globale per la gestione del potere, solo così onoreremo la sovranità del popolo e daremo una speranza alla democrazia. Domenica 14 il PD terrà la sua assemblea nazionale (chi altri si può ancora permettere una assemblea del genere?) e ancora una volta faremo del nostro meglio per spingere la notte un passo più in là.
Davide Mattiello
Presidente della Fondazione Benvenuti in Italia

Caro Valentino Castellani, da Torino si vede il mare

 

Caro Valentino*,
il confronto di ieri sera sul futuro di Torino è stato elettrizzante: come una benefica scossa che accelera pensieri e volontà.
Amiamo Torino e abbiamo cominciato a viverla da cittadini proprio con te Sindaco e se siamo diventati quello che siamo oggi lo dobbiamo molto a quella Città “abilitante” nella quale siamo cresciuti.
Certo, come hai detto tu, il contesto di allora è radicalmente diverso da quello di oggi e le sfide sono tali se sanno cogliere il futuro che si annida nel presente e sanno farlo dischiudere.
Sicuramente a Torino serve più lavoro e lavoro migliore perché c’è troppa gente, soprattutto giovani, che vede nero.
Il lavoro dipende dalla capacità attrattiva della Città, perché è il frutto di saperi, denaro ed impresa: siamo d’accordo. Abbiamo bisogno di una Pubblica Amministrazione che, come ha sottolineato Anna Mastromarino, attraverso l’efficienza dei servizi renda praticabili i diritti, che altrimenti restano parole sulla carta. Abbiamo bisogno, come ha sottolineato Diego Sarno, di un progetto metropolitano perché non ha senso pensare diversamente alla Città e sarebbe bello che le primarie annunciate chiamassero al voto l’intera popolazione metropolitana, perché il Sindaco di Torino è anche il presidente della Metropoli. Abbiamo bisogno di una Città, come diceva Andrea Sacco, che si faccia prossima, capillare, perché le angosce di chi non sta bene, siano ascoltate, comprese e illuminate di speranza: Torino è ricca di realtà che per missione sociale hanno proprio questa, la Città non deve sostituirle, deve sostenerle.
Ma qual è il bandolo della matassa?
Secondo me non basta la giustapposizione di queste tessere per ricavare un disegno convincente al punto da meritare la mobilitazione corale delle migliori energie. Non è la somma di questi ingredienti che coglie la “sfida” annidata nel nostro presente e che sa di futuro.
Per me la “sfida” è fare delle città metropolitane europee i capisaldi della rifondazione del patto di convivenza civica in Europa.
Nel nostro presente si annidano due “uova”: una contiene la disgregazione dell’Unione Europea, la fine della prospettiva universale dei diritti umani, l’avvento di regimi autoritari. L’altro “uovo” contiene la nascita della Repubblica d’Europa, la salvaguardia del principio di libertà individuale e di uguaglianza difronte alla legge, la possibilità di continuare a costruire un Mondo con più cooperazione e meno guerra.
Dal 2018 noi lavoriamo a questa prospettiva: abbiamo lanciato un manifesto, La Repubblica d’Europa, abbiamo organizzato una rete internazionale con la quale abbiamo lanciato una Campagna europea denominata OnEurope, same rights, one repubblic con la quale stiamo raccogliendo firme e mozioni comunali con le quali le Città si proclamano simbolicamente “Città per la Repubblica d’Europa”. Vedi, Valentino, proprio ieri il nostro amico e sodale Sandro Fallani, Sindaco di Scandicci, che ha ospitato il lancio di OnEruope a Febbraio, ci ha inviato questa foto straordinaria frutto del lavoro comune.

 

 

È il codice genetico di Torino: organizzare la convivenza perché regga alle tempeste del mare aperto. Perché è il mare, infatti, quello che si vede da Torino.
Davide Mattiello

 

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*Valentino Castellani è stato Sindaco della Città di Torino dal 1993 al 2001.

Ora cambiamo l’agenda di Governo

Ora cambiamo l’agenda di Governo, anche ri-piantando un paletto nel discorso pubblico e nell’agire politico: mafie e corruzione sono il primo fattore di diseguaglianza sociale in Italia, vanno sconfitte.

Alcune priorità dalle quali ripartire.

  • La gestione delle carceri: Pasquale Zagaria torna in carcere ad Opera dopo il pasticcio della gestione Covid, che lascia sul tavolo altre questioni aperte e complesse come la valorizzazione del personale che il carcere fa funzionare, la sicurezza di tutti, la possibilità reale di riscatto sociale per chi sconta una pena.

 

  • L’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati: sta per scadere il bando con il quale vengono messi a disposizione direttamente del Terzo Settore oltre 1000 immobili confiscati, ma mancano i soldi per sostenerne la gestione e poi mancano ancora alcuni fondamentali decreti attuativi. Che senso ha portare via le ricchezze ai mafiosi se poi diventano monumenti all’assenza dello Stato?

 

  • Sono sempre meno i cittadini italiani che denunciano ciò che subiscono o che vedono commettere, non si sentono abbastanza tutelati dallo Stato. Eppure abbiamo ricordato con commozione il sacrificio del giudice Livatino: senza “ULISSE” il primo Testimone di Giustizia italiano che immediatamente chiamò i carabinieri perchè testimone oculare dell’omicidio del Giudice, forse giustizia non l’avremmo nemmeno oggi. La riforma del sistema di protezione giace, sospesa, senza alcuni decreti attuativi. Intanto, ancora oggi, chi denuncia la corruzione dentro la Pubblica Amministrazione è condannato a “cambiare aria” anzichè godere dell’apprezzamento dei superiori.

 

  • Mentre nel Mondo le donne reclamano libertà ed uguaglianza, in Italia non riusciamo a fare una norma che tuteli quelle donne straordinarie che decidono, spesso avendo figli piccoli, di rompere il legame con la propria famiglia di appartenenza perchè mafiosa, cercando nello Stato un appiglio per rinascere.

 

  • Le mafie, liquide o trasparenti che dir si voglia, lasciano sempre e comunque una lunga fila di “mollichine di pane” seguendo le quali si possono ricomporre a livello internazionale le mappe del potere criminale: sono sempre i soldi. Ma serve un deciso salto di paradigma rispetto agli strumenti materiali ed immateriali a disposizione degli investigatori per dare la caccia a queste “mollichine”.

 

  • Il Procuratore Nazionale Cafiero de Raho, ricordando Giancarlo Siani sulle pagine di Repubblica, ha denunciato l’afasia della politica nel tenere presente sempre la priorità del contrasto a mafie e corruzione: ha ragione, perchè è la politica che ha la responsabilità di animare il discorso pubblico, contribuendo con ciò a fare cultura, ad orientare i punti di vista. Se, per esempio, nel discorso pubblico prevalesse la tesi: contro la crisi bisogna fare soldi presto e tanti, cancellando le prudenze del Codice degli Appalti, delle interdittive prefettizie, della prevenzione amministrativa, sarebbe un enorme regalo alla cultura della illegalità.

 

  • La memoria di Livatino, di Siani, di Rostagno può essere una grottesca occasione di retorica narcisistica, per strappare qualche like, oppure può diventare maestra di vita: dipende dalla politica, dalle scelte che fa, dalle persone che decide di mettere in campo. Quanto siano attuali la vicenda di Giancarlo Siani e di Mauro Rostagno, assassinati perchè giornalisti caparbi e liberi lo dimostrano altri due nomi: Jan Kuciak e Daphne Caruana Galizia. E se a qualcuno sembrassero nomi di gente straniera, ricordo: sono nostri concittadini, perchè cittadini della Unione Europea, che sarà bene trasformare in una Repubblica federale, prima che la febbre dei nazionalisti, serva alle mafie internazionali anche questa maledetta vittoria.

No al referendum: ho aderito all’appello della Presidente Bindi

Ho partecipato alla redazione dell’appello a votare No al prossimo referendum del 20/21 settembre sul taglio dei parlamentari, aperto dalla Presidente Rosy Bindi e sottoscritto da oltre 100 firme in tutta Italia. Uno schieramento ampio e plurale, espressione delle diverse culture politiche progressiste, che si mobilita in difesa della democrazia parlamentare.

Il taglio  dei parlamentari non inciderà sulla mancanza di efficienza ed efficacia del Parlamento, che richiede piuttosto una riforma seria del bicameralismo perfetto e dei regolamenti parlamentari. L’anomalia di un Parlamento di nominati verrà superata solamente da una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scelta, al contrario la riduzione numerica di deputati e senatori rafforzerà il potere delle segreterie di partito, rischiando di accentuare il profilo oligarchico delle Camere.

Un Parlamento rimpicciolito sarà inevitabilmente più debole di fronte ai veri poteri forti del Paese e meno rappresentativo. Saranno penalizzate le donne, che ancora non hanno ottenuto una effettiva parità di genere; le regioni più piccole e i territori meno popolosi, con gravi disparità. Inoltre, rischiano di non avere voce le formazioni più piccole, le minoranze, le diverse culture politiche del Paese.

La riduzione dei costi della politica non passa dal risparmio irrisorio che si otterrebbe con una rappresentanza dimezzata, ma dalla riduzione dei privilegi e dalla capacità di incidere sui costi dei poteri economico finanziari.

Il documento, aperto a tutti coloro che lo vorranno sottoscrivere, vuole essere anche un contributo rivolto a tutta l’area democratica e riformista, cattolica e laica, affinché abbia un sussulto di dignità politica e culturale di fronte ad un voto che non ammette silenzi, inerzie o semplice indifferenza. È possibile aderire sul sito noiperilno.it oppure con una email a noiperilno@gmail.com

Leggi il documento completo qui

Agli ‘alchimisti’ delle candidature: Torino non è un rendering!

Torino non è un rendering. Lo dico agli ‘alchimisti’ delle candidature, non basterà trovare qualcuno in grado di fare di Torino un aeroplano, se non sarà in grado di farci salire tutti i torinesi, che non ne vogliono sapere di stare a bordo pista con le bandierine colorate. Basta ascoltare quello che si dice in strada, c’è esasperazione, stanchezza, paura e non è soltanto questione di periferie. Tanti Torinesi non sanno come ripartire a Settembre, non sanno se dovranno scegliere tra lavoro e figli. La misura della delusione fa un arco nel cielo di Torino più grande di quello Olimpico e mentre la Città lancia la propria candidatura per le Universiadi, al villaggio Olimpico ex MOI bisogna ancora finire di portare via le macerie, intanto gli unici che in quel contesto hanno resistito per anni, facendo accoglienza e generando lavoro vengono lasciati soli a leccarsi le ferite. A Torino ci sono ancora tante persone pronte ad incoccare i propri sogni in questo arco di Città ma altrettanti sentono di non essere buoni più per alcun reclutamento.

Questa Torino non è la Milano astronave che ha eletto Sala e nemmeno la Torino orgogliosa che ha eletto Castellani, sembra più la Torino che elesse Novelli: una Torino dove sospetto e inquietudine rischiarono di soffocare solidarietà e diritti. Nell’ultimo libro di Fabio Geda ed Enaiat Akbari ad un certo punto si cita una frase di Danilo Dolci alla quale siamo molto legati: ‘Si cresce solo se sognati’: certo che la ‘visione’ è importante, ma deve sapersi mischiare di persone, le deve ri-guardare. Danilo Dolci aveva una visione chiara e lungimirante di come dovesse trasformarsi il Paese, ma non ne fece un dossier in carta patinata da presentare nel foyer di un teatro, si sdraiò sul pagliericcio dove nei bassi di Trappeto era morto di stenti un ragazzino a cui lo Stato aveva garantito soltanto pulci e paura e cominciò lo sciopero della fame perché quello Stato si convincesse a portare almeno le fogne a Trappeto. Le fogne a Trappeto si fecero e anche gli ultimi della fila sentirono di poter valer di nuovo qualcosa.

MEF: un’altra occasione persa

Abbiamo perso un’altra occasione buona e non è colpa di Alfredo. Ma del MEF che tanto ha fatto e tanto ha detto che l’emendamento fortemente voluto per dare ristoro alle vittime di racket che denunciano alla fine è stato stravolto (*).
Negli ultimi giorni abbiamo assistito al più grande sequestro mai effettuato al Mondo di tonnellate di anfetamine (un miliardo di € il valore sul mercato illegale), all’omicidio nelle campagne di Vittoria di Orazio Sciortino ex collaboratore di giustizia, all’inchiesta su una nuova Locale di ‘ndrangheta nel sud del Piemonte, guidata dai fratelli Luppino, che sarebbe riuscita anche a corrompere alcuni pubblici funzionari, agli arresti a raffica dei nuovi-vecchissimi affiliati di Cosa Nostra a Palermo, agli allarmi di Avviso Pubblico per le troppe intimidazioni ai Sindaci in Italia… ma niente, questo Governo NON ha in agenda una efficace strategia contro le mafie. Eppure liberare le persone che vivono nella paura dovrebbe essere una priorità e tra le priorità ci dovrebbe essere quella di sostenere gli imprenditori onesti che anzichè assecondare le mafie, si ribellano. Volevamo una norma che legasse l’obbligo di ricominciare a pagare le tasse allo Stato all’effettivo ristoro che lo Stato deve ai denuncianti e che in molti casi si attende per anni (!). Obiettivo fallito: il MEF ha sostenuto reiteratamente che così si sarebbe creato un danno erariale insostenibile (non commento più questo argomento, è vergognoso). Bisogna cambiare passo.

(* voglio ringraziare ancora una volta l’on. Verini che ha fatto il possibile per difendere insieme ad altri parlamentari, come l’on. Aiello, l’emendamento nella sua formulazione originaria. La riformulazione, approvata dal Governo aumenta di 2 milioni di € il Fondo per le vittime di racket… ma non era questo il problema)