Io spero che Elly Schlein decida di candidarsi alle europee per un motivo preciso: affermare l’esigenza di superare i partiti nazionali che oggi si riconoscono nel PSE, compreso il Partito Democratico, per fondare un grande partito europeo, che si batta per trasformare l’Unione Europea in una Repubblica federale, fondata su uguali diritti ed uguali doveri. Niente di meno.
Trent’anni fa, il 28 gennaio del 1994, a Mostar venivano massacrati da un colpo di mortaio, tre giornalisti della RAI di Trieste, Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D’Angelo, che stavano documentando l’orrore della guerra “nel cuore dell’Europa”, “alle porte di casa nostra” (come si diceva allora). Cosa abbiamo capito in questi trent’anni? Che l’unica possibilità per non disperare, rassegnandoci alla violenza, per rigenerare la democrazia, per cambiare l’economia, per curare la Terra e reagire alla crisi climatica, per salvare l’idea di una protezione sociale universale, stia nel riscattare l’Unione Europea dal destino meschino voluto dalle destre nazionaliste, trasformandola appunto in una Repubblica federale capace di stare al Mondo in maniera autonoma ed efficace. Ma per concretizzare questo obiettivo serve una forza sociale solida e politicamente vincente, perché questa rivoluzione o si fa attraverso il Parlamento europeo o non si fa. Soltanto il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale da oltre cinquecento milioni di cittadini e cittadine, avrà infatti la legittimazione per realizzare tale impresa.
Le mosse dei nemici di questa visione sono così plastiche da lasciare sgomenti. La Meloni infatti, che in Italia promuove la definitiva marginalizzazione del Parlamento attraverso il “premierato”, quale disegno porterebbe in Europa, candidandosi? Evidentemente il suo equivalente su scala continentale, per ridurre l’Unione Europea a mero bancomat, mortificando il Parlamento europeo, simbolo inaccettabile dell’esistenza di un “popolo europeo” aborrito dai nazionalisti. Questo disegno non soltanto è in sintonia con quello di tutte le altre destre nazionaliste europee, ma, conviene ribadirlo sempre, è in sintonia con ciò che vuole il grande capitalismo globale, impostosi dopo il 1989, che dopo aver svuotato la social-democrazia (retaggio mal sopportato di equilibri di potere venuti meno), oggi punta a superare la stessa democrazia liberale, avendo ormai la prova di poter funzionare ancor meglio, senza. Era già tutto prefigurato in un indimenticato rapporto della JP Morgan del 2013 che invitava a liquidare le Costituzioni “antifasciste” del secondo dopoguerra, così insopportabilmente intrise di socialismo. Il discorso tenuto a Davos dal neo presidente argentino, Javier Milei, è stato, da questo punto di vista, così spudorato da mettere in imbarazzo la stessa platea, che certo non era composta da nostalgici leninisti. Per questi motivi non è una forzatura affermare che le prossime elezioni europee avranno una importanza analoga a quella che ebbero le elezioni del 1924 in Italia, un giro di boa della storia.
Per tutto questo mi chiedo: dove dovrebbe stare la segretaria del principale partito di opposizione italiano? A Roma, come hanno fatto tutti prima di lei, ancorandosi con ciò ad un passato che si presta ormai al colpo di grazia della destra nazionalista o a Bruxelles, per ribadire anche fisicamente, come non ci sia niente di più importante oggi del Parlamento del popolo europeo?
Io scommetterei sul fatto che una simile prospettiva riuscirebbe a mobilitare molti giovani oggi delusi dalla politica e chissà, forse, anche a mettere d’accordo alcune delle più nobili anime critiche della grande famiglia del Partito democratico.
Non sarebbe questo infatti un modo “progressista” per tradurre l’appello reiterato da Rosy Bindi a sciogliere e rifondare il PD?
Non sarebbe questo un modo per soddisfare la “clausola di coerenza” posta da Bersani?
E chissà che così, persino le perplessità di Romano Prodi possano essere superate e si possa ancora una volta fare rotta insieme col vento giusto. Quello indomito di Ventotene.