Il Codice Antimafia ha in sé altri importanti innovazioni legislative: nasce nel novembre 2013, con la discussione in Commissione Giustizia della Camera della proposta di legge di iniziativa popolare AC1138 “Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, figlia della campagna ‘Io riattivo il lavoro’ promossa dalla Cgil insieme ad un vasto fronte di associazioni come Anm, Libera, Arci, Acli, LegaCoop, Avviso pubblico, Centro Studi Pio La Torre e Sos Impresa.
Successivamente ci furono alcune azioni quali l’inchiesta della Commissione Antimafia, che produsse una articolata proposta di riforma, e il contributo del Governo a partire dal ddl Orlando dell’agosto del 2014. Azioni convergenti su un testo che l’11 Novembre del 2015, a larga maggioranza la Camera ha approvato in prima lettura, per poi passarlo al Senato (che lo ha licenziato con modifiche il 6 di Luglio 2017) e dunque approvarlo in via definitiva alla Camera a settembre 2017.
In seconda lettura alla Camera Davide Mattiello, in qualità di relatore, ha chiesto il ritiro di ogni emendamento. Il rischio, visti i tempi da fine legislatura, sarebbe stato la mancata approvazione della riforma. Certamente su alcuni passaggi c’erano punti di vista rispettabilmente diversi, ma la mediazione positiva a cui si è giunti dopo quattro anni di discussione, non poteva essere tradita da un ulteriore rinvio.
Molto dibattito pubblico si è addensato attorno all’articolo 1 e cioè alla possibilità di sequestro per coloro che avessero commesso reati contro la pubblica amministrazione soggetto: c’è da precisare che soltanto l’esito della indagine patrimoniale che metta in evidenza l’illecita provenienza del patrimonio ovvero la sua sproporzione rispetto a reddito dichiarato ed attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Sui punti che hanno maggiormente infiammato la polemica, Mattiello ha risposto in Aula nella relazione precedente alla votazione, di cui riportiamo uno stralcio.
Al movimento 5 stelle dico: sulla questione della trasparenza nella gestione di tutto il procedimento e segnatamente nell’affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari, le viti sono state strette anche accogliendo vostre proposte. Per altro alcune di queste norme vanno specificate tempestivamente esercitando un’altra delega, quella di cui all’articolo 33.
A chi, soprattutto nel centro destra, si è preoccupato per una eccessiva attenzione verso le aziende sequestrate, denunciando il rischio di una distorsione della libera concorrenza, dico: non un euro pubblico sarà speso per le aziende finte o incapaci di stare sul mercato senza la spinta mafiosa, saranno liquidate.
A chi si è preoccupato che l’estensione della platea dei soggetti cui possano essere applicate le misure di prevenzione patrimoniali si traduca in una soffocante ingerenza dello Stato nel mercato, dico: al contrario, la riforma non soltanto amplia l’istituto della amministrazione giudiziaria non finalizzata all’ablazione del bene-azienda, ma introduce finalmente l’istituto del controllo giudiziario che oltre ad evitare l’ablazione, evita anche lo spossessamento in fase di sequestro. Un modo per intervenire chirurgicamente a tutela dell’attività di impresa, almeno fino a quando ve ne siano le condizioni.
A chi, concedendo un po’ troppo alla vis polemica, ha cercato di agitare l’opinione pubblica affermando che con questa riforma basterà un semplice indizio di corruzione per vedersi confiscare l’azienda, la casa e il conto in banca, dico: vi sbagliate e soprattutto inducete all’errore! Il meccanismo della prevenzione patrimoniale considera la pericolosità sociale del soggetto soltanto come “innesco”, come condizione inizialmente necessaria, ma non sufficiente: infatti soltanto l’esito della indagine patrimoniale che metta in evidenza l’illecita provenienza del patrimonio ovvero la sua sproporzione rispetto a reddito dichiarato ed attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Addirittura possiamo spingerci a dire che la presunta pericolosità sociale del soggetto è una condizione necessaria SOLTANTO inizialmente, prova ne è che il procedimento di confisca continua anche nei confronti del patrimonio imputabile alla persona meno pericolosa che esista in natura: il morto! La pericolosità sociale del soggetto è condizione necessaria e sufficiente soltanto per l’applicazione delle misure di prevenzione PERSONALI e non di quelle patrimoniali: spero che il punto sia chiaro. Ed è per questo motivo che è condivisibile l’inserimento all’art. 4 del reato di cui all’art. 612 bis, cioè lo “stalking”: l’art. 4 fa riferimento alle misure di prevenzione personali disposte dall’autorità giudiziaria, che non di per sé appunto, si traducono in misure di prevenzione patrimoniale, pur essendo richiamato dall’art. 16. Ben vengano quelle personali per lo “stalker”! Abbiamo un tragico ritardo ancora in parte da colmare in materia.
A chi ha manifestato la serie preoccupazione che l’allargamento della platea dei soggetti a cui possano applicarsi le misure di prevenzione patrimoniale, possa esporre la normativa a nuove censure da parte della Corte Costituzionale o della Giustizia europea, dico: comprendo la preoccupazione, ma la riforma si fa carico delle censure del passato, risolvendole. Intanto perché alcune di quelle censure, come quelle contenute nella sentenza De Tommaso, pretendevano una maggiore attenzione al sacrosanto principio della prevedibilità delle condotte che vengono sanzionate, riconoscendo per altro piena legittimità al meccanismo della prevenzione. Sul punto rimando al preciso parere formulato dalla I Commissione. Ma a questa pretesa abbiamo risposto individuando le ulteriori condotte attraverso il richiamo puntuale delle fattispecie di reato corrispondenti, le quali per definizione garantiscono un sufficiente grado di tipizzazione e quindi di prevedibilità. Altre censure invece hanno nel tempo riguardato il meccanismo della procedura di applicazione della prevenzione patrimoniale, ritenuto eccessivamente comprimente le ragioni del proposto e dei terzi di buona fede. Queste censure pretendevano una maggiore attenzione al contraddittorio, alla posizione dei terzi di buona fede, alla certezza dei tempi e alla chiarezza degli esiti della procedura medesima. Ed è esattamente in questa direzione che abbiamo lavorato: la parte più corposa e meno discussa della riforma è proprio quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione e di esecuzione fallimentare.
A chi ha espresso perplessità sulla estensione dell’articolo 1 agli indiziati di reati contro la PA quando esista anche l’indizio della associazione per delinquere, come ha fatto autorevolmente il Presidente dell’ANAC Cantone, dico: faccio mia la preoccupazione di un utilizzo abnorme di questa previsione e credo che sarà doveroso monitorare la norma ed intervenire tempestivamente per perfezionarla. Lo dico con la serenità di chi è consapevole che in questi quattro anni il Partito Democratico e la maggioranza, in piena sintonia con il Governo, hanno alzato gli scudi contro la corruzione, intanto istituendo la stessa ANAC, ma poi anche aumentando le pene, allungando i termini di prescrizione, prevedendo sconti a chi rompa il patto scellerato collaborando con la giustizia e la confisca penale obbligatoria.
La parte più corposa e meno discussa della riforma è quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione e di esecuzione fallimentare.
Il 13 Settembre il CSM, normalmente critico nei confronti del Legislatore, ha approvato una delibera che dedica alla riforma del Codice decine di pagine di analisi e conclude con un inequivocabile invito ad approvarla, riconoscendo che il testo scioglie diversi nodi da anni lamentati dagli operatori del settore.
Sinteticamente ricordiamo che il provvedimento prevede modifiche al decreto legislativo n.159 del 2011 (codice antimafia) e al decreto legge n.306 del 1992 (modifiche al cpp e contrasto alla criminalità mafiosa) tra le quali:
1) l’estensione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale a nuove categorie di reati, tra cui quelli relativi ai delitti contro la Pubblica Amministrazione
2) una più celere procedura per le misure di sequestro e confisca con anche l’assegnazione in via provvisoria dei beni sequestrati e l’istituzione di sezioni o collegi specializzati per i procedimenti previsti dal Codice antimafia
3) un miglior controllo giudiziario delle aziende e l’istituzione di un fondo di rotazione per avere risorse necessarie alla loro ripresa
4) la riorganizzazione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati e l’istituzione di tavoli provinciali permanenti sulle aziende sequestrate o confiscate, presso le Prefetture.
È utile sottolineare il percorso partecipativo alla base della legge, determinante in ogni passaggio, fino all’approvazione.
L’approvazione definitiva alla Camera, il 27 settembre 2017, ha costituito un atto di responsabilità politica importante per il passo migliorativo che fa fare all’azione di prevenzione e di contrasto alle mafie e alla corruzione. Certamente bisognerà nei prossimi anni monitorare l’applicazione delle norme per verificare il buon esito del lavoro parlamentare.