Benedette le Iene se servono a far sussultare il Senato, che dal Novembre del 2015 tiene ferma la riforma del Codice Antimafia. Il servizio di Pecoraro andato in onda ieri solleva questioni che rimandano alle responsabilità della giustizia penale e della prevenzione amministrativa che sempre dovrebbe agire e di norma precedere l’intervento penale. Purtroppo i dubbi sollevati non sono una novità: sono gli stessi che ha sollevato la Commissione parlamentare anti mafia fin dal 2014, quelli che sollevò ancor prima l’emittente Telejato, quelli che ha sollevato la Procura di Caltanissetta che su input di quella di Palermo ha messo sotto inchiesta l’allora Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo di Palermo Saguto e altri tra magistrati, avvocati, professionisti. E’ notizia della scorsa settimana la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Caltanissetta. Purtroppo aggiungo, non sono una novità anche perché nomi e circostanze rimandano a vicende simili attualmente in divenire, su cui dovrà appuntarsi ancora di più la nostra attenzione: penso alla vicenda della Calcestruzzi Belice. Ma tutto ciò posto la cosa che più mi turba è constatare che molte delle condotte cui si fa riferimento nel servizio furono considerate precisamente nella riforma del Codice Antimafia, che la Camera ha votato l’11 Novembre del 2015: la riforma contiene norme precise intanto sui tempi della procedura e poi sui compensi, sui doppi incarichi, sulle incompatibilità tra ruoli e incarichi e pure su poteri e responsabilità della Agenzia. Evidentemente è una riforma che spezza rendite di posizione consolidate ed è un fatto che da allora il testo è sepolto in Commissione Giustizia al Senato. Tra poco sarà il 35quesimo anniversario dell’assassinio di Pio La Torre: ci sarà da vergognarsi a commemorarlo in Parlamento se la situazione non si sblocca