L’intervista a Gian Carlo Caselli

Sui temi di cui lei si occupa, come reputa il mandato del Parlamento degli ultimi cinque anni?

L’attività del Parlamento nel corso della Legislatura appena conclusa mi sembra a macchia di leopardo: cose buone, cose mediocri, cose sbagliate, occasioni mancate. Francamente difficile, almeno per me, dire quali prevalgano. Il bilancio complessivo, alla fine, mi sembra di sostanziale equilibrio fra luci e ombre

Quale pensa che sia la norma più importante approvata in questi anni?

Sul versante dei diritti in generale, cito la legge sulle unioni civili e quella sul biotestamento;- per quanto riguarda i settori maggiormente interessati dalla mia attività professionale di ieri (magistrato) e di oggi (Osservatorio sulle agromafie), cito il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, la legge sul caporalato e la legge sui reati ambientali.

Quale la norma da approvare nei prossimi cinque?

 Sul piano generale io vorrei che fossero approvate una riforma della Costituzione condivisa – non divisiva – e una legge elettorale che garantisca al cittadino una maggiore, effettiva partecipazione. Nello specifico, occorrono norme davvero incisive contro la corruzione e l’evasione fiscale. Infine, mi aspetto una riforma dei reati in materia agroalimentare che tuteli la sicurezza dei cittadini e il regolare funzionamento dell’economia. Sono poche ma fondamentali cose, lasciando il libro dei sogni o delle illusioni agli imbonitori di professione (se ne trovano in abbondanza dappertutto) che ne hanno l’esclusiva.

Davide Mattiello per la prima volta è stato eletto alla Camera dei Deputati. Come valuta il suo operato?

 Da sempre (l’esperienza parlamentare rappresenta uno sviluppo e al tempo stesso una conferma del percorso precedente) di Davide Mattiello apprezzo la passione sincera che mette nelle cose che fa, la coerenza con cui si muove, il coraggio che dimostra nel sostenere anche battaglie tutt’altro che facili, la costante capacità di impegnarsi per mettere nel motore della Costituzione la benzina necessaria perché i valori scritti nella Carta diventino realtà viva. E poi l’intelligenza e la tenacia con cui persegue i suoi obiettivi che collimano perfettamente con gli interessi generali. Non è un caso che alcune delle leggi che rientrano nel bilancio positivo delle Legislatura ( in particolare Codice antimafia e caporalato) lo ha hanno visto fra i principali protagonisti.

Verità giudiziaria, verità storica

La partita per giungere alla piena verità giudiziaria e storica in merito agli omicidi e alle stragi che si sono consumate in Italia nella storia repubblicana è ancora aperta. Una lunga scia di sangue che parte da Portella della Ginestra, passando da piazza Fontana e dalla stazione di Bologna, per arrivare a Palermo, negli anni ’90, con le stragi di Capaci, via d’Amelio e il tritolo di Firenze, Roma e Milano.

Esiste una ragion di Stato superiore alla ragione della verità di fronte a un omicidio o ad una strage? Per alcuni, probabilmente, sì: il mantenimento dell’ordine. Anche in quella sua versione deteriore e ipocrita, laddove si consideri, come ordine da difendere, la rendita di posizione di qualche combriccola altolocata, oppure la posizione pretesa da qualche nuova combriccola rampante.

Il 5 luglio 2016 il Parlamento ha approvando il reato di depistaggio per i Pubblici Ufficiali che occultano la verità all’autorità giudiziaria – totalmente o parzialmente – non solo per i fatti di terrorismo e strage, ma anche per vicende legate all’associazione mafiosa, traffico di droga, traffico illegale di armi e di materiale nucleare, chimico o biologico. Pena la sanzione della reclusione da sei a dieci anni. Proposta di legge che ha visto come primo firmatario Paolo Bolognesi, deputato PD e all’epoca presidente dell’Associazione vittime della strage di Bologna.

È un provvedimento importante perché i depistaggi sono stati lo strumento utilizzato dai responsabili materiali e morali delle vicende stragiste e di terrorismo del nostro Paese per rallentare, se non bloccare, le inchieste e per impedire l’accertamento di fatti delittuosi gravissimi sulle stragi che da piazza Fontana al 1993 hanno insanguinato l’Italia. Un capitolo ancora non completamente scritto, fatto di omissioni, bugie, distruzioni di documenti, ormai accertati giudiziariamente, compiuti da pubblici ufficiali inseriti negli apparati dello Stato.

Anche per questo Davide Mattiello ha chiesto a più riprese di interrogare Marcello Dell’Utri in Commissione Antimafia: la pista degli “imprenditori del nord” porta lì. La DDA di Caltanissetta ha recentemente ribadito la centralità del rapporto mafia-appalti del ‘91 per comprendere l’epicentro di interessi che determinarono la strage di Via d’Amelio e non soltanto. Ma quel rapporto incrocia inevitabilmente la vicenda di Dell’Utri e di Mangano, lo ‘stalliere di Arcore’, che in realtà era un personaggio mafioso di primo piano legato alla famiglia di Porta Nuova e al boss Pippo Calò. Il compito della magistratura penale è senz’altro distinto da quello della Commissione Antimafia che però avrebbe un materiale su cui lavorare in maniera legittima, pertinente e interessante: le carte del processo che ha definitivamente condannato per concorso esterno in associazione mafiosa Dell’Utri.

Sarebbe utile lavorare su quelle carte per ricostruire in maniera autonoma, in atti parlamentari, l’intreccio di potere che legò certa imprenditoria del nord a Cosa Nostra. Potremmo forse finalmente consegnare al Paese un giudizio storico, chiaro e preciso sulle responsabilità di quel periodo, che costò tante vite e che avvelenò la democrazia Italiana in una maniera tanto profonda da non essere ancora passata.

Il 20 maggio del 2015 è stato presentato nella sala stampa della Camera il libro di Davide Mattiello “L’onere della prova” (Melampo Ed.), definito dal giudice Nino di Matteo “interessante perché partendo dagli atti della Commissione Antimafia del periodo delle stragi indica il percorso da seguire (…) non soltanto alla magistratura, ma anche alla politica, che non può dimenticare quelle pagine ancora oscure e ancora da approfondire”.

Presenti al tavolo dei relatori c’erano anche Vincenzo e Augusta Agostino, genitori di Antonino Agostino, agente di Polizia alla questura di Palermo, che il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini con la moglie Ida Castelluccio, incinta di cinque mesi, furono uccisi mentre entravano nella villa di famiglia, da una coppia di sicari in motocicletta. I mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Agostino e della Castelluccio sono ignoti, ma il poliziotto stava svolgendo indagini e compiti delicati, che sono tutt’ora al vaglio della Autorità Giudiziaria (la Procura Generale di Palermo).

Sappiamo che la verità esiste e che il Parlamento ha la possibilità di fare la differenza, assumendosi la responsabilità di un giudizio storico politico su quegli anni. Crediamo che questo sforzo sia necessario, perché l’Italia diventa migliore se fa i conti con quella tragica esperienza, i cui effetti non sono ancora esauriti.

Sono tre gli indagati per l’omicidio Agostino: Nino Madonia, Gaetano Scotto e Giovanni Aiello, soprannominato “Faccia di mostro”, l’ex poliziotto indicato come un sicario a cavallo tra mafia e servizi, morto improvvisamente il 21 Agosto del 2017 sul lido di Montauro in Calabria (Mattiello ha chiesto e ottenuto che la Commissione Antimafia acquisisse l’autopsia). Secondo le dichiarazioni rese al pm Nino di Matteo dal collaboratore Vito Lo Forte, Madonia e Scotto avrebbero agito con Aiello che subito dopo l’omicidio li aiutò a distruggere la moto usata e li fece scappare su un’auto pulita per non destare sospetti. Il 26 febbraio del 2016 Vincenzo Agostino, durante un confronto all’americana tenutosi nel carcere dell’Ucciardone, ha riconosciuto in Giovanni Aiello “faccia di mostro”. Vincenzo ha sempre sostenuto che Aiello era venuto a casa sua a cercare il figlio Nino qualche giorno prima del 5 agosto, giorno dell’omicidio di Nino. Si era presentato insieme ad un’altra persona sostenendo di essere colleghi del giovane poliziotto: uno aveva la faccia deturpata, soprattutto sul lato destro, una “faccia di mostro”. La descrizione di Aiello corrisponde a quella fatta da numerosi collaboratori che nel corso degli anni lo hanno sempre indicato come un sicario a disposizione della mafia.

Il 21 agosto 2017 arriva la notizia dell’improvvisa morte di Aiello, secondo la ricostruzione ufficiale colto da un malore mentre si trovava sulla spiaggia di Montauro, in Calabria. Davide Mattiello si è subito opposto alla notizia che voleva la cremazione del corpo all’indomani del funerale: in una nota rilasciata all’ANSA Mattiello si diceva “sconcertato dalla notizia data e non smentita della autorizzazione alla cremazione del corpo di Giovanni Aiello, oggi stesso a seguito del funerale previsto per le 17:30”. Cremare il corpo avrebbe significato impedire qualunque eventuale altro approfondimento. “C’è da trovare un equilibrio tra il rispetto sempre e comunque dovuto ad un uomo che muore e alla sua famiglia e il bisogno di verità dei famigliari delle vittime in qualche modo legate alla storia di Aiello, che poi è il bisogno medesimo che ha lo Stato. Intanto, prudenza vorrebbe, quanto meno sospendere la cremazione”.

La morte di Aiello porta con sé naturalmente la fine della sua processabilità sul piano penale, ma non fa venire meno la responsabilità di raccogliere, archiviare, studiare ciò che lo ha riguardato in questi anni. Per questo Mattiello ha richiesto alla Commissione parlamentare antimafia di acquisire tutto il materiale a disposizione su ‘faccia di mostro’, richiesta che è stata accolta il 14 settembre 2017.

Giudizio storico e giudizio penale hanno esigenze differenti ed è bene che con la massima cura e trasparenza siano offerti allo studio, al confronto e alla valutazione gli atti disponibili perché non si perda memoria quanto meno di chi, come e quando abbia indagato e se dovessero emergere contraddizioni la Commissione avrebbe l’autorità per approfondire e chiedere spiegazioni. Come dice Paolo Bolognesi “i misteri non esistono, esistono soltanto i segreti”, che talvolta resistono anche grazie alla ignavia di chi dovrebbe cercare la verità.

Lotta al caporalato

La storia del nostro impegno sul fronte del caporalato si intreccia con quella di Yvan Sagnet, giovane camerunense giunto in Italia nel 2007.

Oggi Yvan è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni. Il 3 febbraio del 2017 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica italiana, per il suo impegno contro il fenomeno del caporalato.

Il 14 giugno del 2013, a pochi mesi dall’inizio della legislatura, Mattiello ha portato in Parlamento una delegazione composta da Moumouni Tassembedo, Antonio Olivieri, Lahcen Elkhoumani, Fabrizio Garbarino, in rappresentanza dei braccianti africani di Castelnuovo Scrivia e di Saluzzo e dei contadini che si battono contro lo sfruttamento, per un’audizione informale con il Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati, on. Cesare Damiano.

Due luoghi simbolo, in Piemonte, nel ricco Nord, che finora si era ritenuto immune da certe situazioni di grave sfruttamento – finanche di vera e propria riduzione in schiavitù – che sono simili a quelle di Rosarno, di Nardò e di tutte le campagne d’Italia.

A Castelnuovo Scrivia, la rivolta è scoppiata il 22 giugno 2012, nell’azienda agricola “Lazzaro Bruno”, dov’erano occupati una quarantina di braccianti marocchini impiegati nella raccolta di ortaggi e verdure, le cui condizioni di vita e di lavoro erano tra le più disumane, una sorta di schiavismo senza catene.

L’incontro di Roma è stato molto importante, perché ha contribuito a mantenere desta l’attenzione sulla vicenda, a fronte del silenzio tombale che circondava i quaranta braccianti di Castelnuovo Scrivia, derubati dei loro salari e della loro dignità di persone.

Grazie al lavoro di Marco Omizzolo, autore del dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”, Mattiello è venuto a conoscenza della drammatica situazione vissuta dai lavoratori indiani di religione sikh dell’Agro Pontino. Secondo il dossier di Omizzolo, i lavoratori delle aziende agricole della provincia di Latina erano costretti ad assumere sostanze stupefacenti per riuscire a sopportare i massacranti turni di lavoro imposti dai loro caporali.

La linea che parte da Rosarno, passando dall’Agro Pontino per arrivare a Castelnuovo Scrivia, in Piemonte, traccia un percorso che segna tutta Italia. Secondo la Direzione Nazionale Antimafia il settore delle agromafie muove un giro d’affari di 12,5 miliardi di euro. Un affare che genera appetiti continui sia tra i mafiosi che tra professionisti spregiudicati che prestano i loro servizi alla causa del caporalato. 3600 organizzazioni mafiose nella Ue sono dedite al business delle agromafie e si spartiscono una torta di circa 670 miliardi di euro. Le mafie e il caporalato si combattono con la denuncia e reagendo con determinazione alle loro varie forme di ricatto.

Il 20 maggio 2014 Mattiello ha presentato un’interrogazione parlamentare insieme a Pippo Civati, volta a chiedere al Governo, nella persona dell’allora Vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico, di fare luce su quanto denunciato da Marco Omizzolo nel suo dossier. Nell’interrogazione si chiede al Governo “se siano state avviate indagini sulla vendita di stupefacenti in provincia di Latina alla comunità sikh; se risulti che nella gestione del lavoro agricolo in provincia di Latina siano coinvolte organizzazioni di tipo mafioso”.

All’interrogazione è seguita una missione a Sabaudia in provincia di Latina, in data 13 giugno 2014, insieme agli onorevoli Chaouki e Civati e con i rappresentanti dell’associazione In Migrazione e Flai-Cgil, per un incontro con la comunità sikh.

Durante la missione è stata visitata un’azienda agricola già coinvolta in passato in diverse vertenze sindacali relative allo sfruttamento dei lavoratori; infine una delegazione di braccianti Sikh ha incontrato i parlamentari nel loro tempio di Latina.

Grazie alle testimonianze raccolte, è stata ottenuta per il 20 giugno successivo la convocazione di una seduta della commissione antimafia per affrontare i temi del caporalato e delle agromafie nel territorio pontino.

Venerdì 20 Giugno 2014 sono stati auditi presso il V comitato, coordinato da Mattiello, della Commissione Antimafia Marco Omizzolo, i rappresentanti della Flai/CGIL e una rappresentanza di braccianti e lavoratori dell’Agro Pontino che avevano denunciato i propri sfruttatori. Il senso di questa audizione era di ritenere coloro che denunciano alla stregua dei testimoni di giustizia.

A seguito dell’audizione, Mattiello ha proposto alla Commissione Antimafia di creare un nuovo comitato dedicato allo sfruttamento dei lavoratori.

In seguito a questa proposta è stato istituito il XII comitato presso la Commissione Antimafia dedicato a “Mafie, migranti e tratta degli esseri umani, nuove forme di schiavitù”.

Sempre nella giornata di venerdì 20 giugno 2014 Mattiello ha preso parte, assieme ai colleghi on. Chaouki ed on. Realacci, a Marco Omizzolo ed ai rappresentanti della comunità Sikh di Latina, ad una conferenza stampa a Montecitorio per denunciare l’inaccettabile condizione dei braccianti indiani nell’area Agro-pontina.

Un primo risultato importante dal punto di vista legislativo, in tema di caporalato, si trova nel codice antimafia, provvedimento di cui Davide Mattiello è stato relatore alla Camera e di cui si parlerà più diffusamente nel paragrafo successivo. Qui vale la pena sottolineare come il codice agisca su questo tema.

Dopo il pressing ad accelerare sugli interventi normativi per contrastare il caporalato, il governo ha deciso di introdurre alcune misure del «pacchetto» presentato a fine agosto dai ministri della Giustizia, Orlando e delle Politiche agricole, Martina, in due emendamenti che sono stati inseriti nella riforma del Codice Antimafia in Commissione Giustizia, approvato definitivamente il 27 settembre 2017.

Si tratta della confisca penale «obbligatoria e allargata» per il reato di caporalato (603 bis) e della responsabilità oggettiva dell’ente che si avvalga dell’intermediazione dei caporali. «Le novità penali presentate nell’ambito della riforma del Codice antimafia sono un passo decisivo del lavoro che abbiamo intrapreso con i ministeri della Giustizia e del Lavoro – ha dichiarato il Ministro Martina – e prosegue con forza l’impegno del governo contro il caporalato».

Contro il caporalato scatta la confisca obbligatoria di ciò che è servito a commettere il reato. La confisca, operativa dopo la condanna definitiva per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, può riguardare anche prezzo o profitto del reato o beni diversi del reo (per equivalente). È consentita anche la confisca allargata. Se il reato è commesso da un dipendente nell’interesse dell’impresa, ne risponde anche la società (sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote).

 

“Contrastare il caporalato. Tra prevenzione e repressione”

Il 18 novembre 2015 Mattiello ha organizzato un convegno dal titolo “Contrastare il caporalato: tra prevenzione e repressione” presso la Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati.

Scopo del convegno è stato unire le conoscenze di associazioni, fondazioni e istituzioni sul tema del caporalato al fine di indirizzare le decisioni politiche in materia. Ascoltare chi si è a lungo occupato del tema affrontando quotidianamente le situazioni delle campagne italiane, è il punto di partenza fondamentale per qualsiasi analisi sul tema: per questo la presenza della Flai Cgil, di Filierasporca e In Migrazione.

Dall’altro lato, comprendere i passi avanti compiuti dal punto di vista legislativo e le intenzioni delle istituzioni è altrettanto cruciale per una risposta completa al fenomeno: per questo sono stati preziosi gli interventi della Presidente Laura Boldrini, dei Ministri Maurizio Martina e Andrea Orlando, dell’On. Rosy Bindi e dell’On. Davide Mattiello.

“Contro il caporalato e i reati agroalimentari l’alleanza tra lavoratori e imprenditori è necessaria e possibile: perché la vittima di queste condotte odiose è tanto il bracciante sfruttato che rischia la vita, quanto l’imprenditore onesto che rischia di fallire a causa della concorrenza sleale”. (Dal convegno la Fondazione Benvenuti in Italia ha tratto anche un Quaderno, il n. 8 “Contrastare il caporalato, tra prevenzione e repressione”).

“Il caporalato si può affrontare solo se il corpo sociale e politico collettivamente decide di affrontarlo. Rendere trasparente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è un nodo fondamentale per rendere efficaci le strategie preventive di contrasto al caporalato. Vanno rimessi al centro del dibattito i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, per organizzare un sistema che consenta nella maniera più ampia possibile la tutela dei diritti di queste persone.

Quando si parla di caporalato, quando si parla di organizzazioni criminali che costringono le persone a lavorare in un regime di schiavitù, dobbiamo parlare di organizzazioni criminali che vanno ricomprese nell’alveo del 416 bis, cioè l’associazione mafiosa. Non perché siano coinvolte le associazioni tradizionalmente mafiose, ma perché del 416 bis queste associazioni incarnano lo spirito, il dna: la forza intimidatrice del vincolo associativo. Come dichiarato dal dott. Gian Carlo Caselli a margine del convegno, “là dove sono presenti fenomeni di caporalato sono presenti in forma consistente anche le mafie, perché lavorare sotto costo per guadagnare di più è la filosofia della mafia”.

Il 13 Novembre 2015 il Consiglio dei ministri dà l’ok al disegno di legge di iniziativa governativa “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”, che porta le firme del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, del Ministro della giustizia Andrea Orlando e del Ministro del lavoro e politiche sociali Poletti.

Il disegno di legge introduce strumenti operativi contro il caporalato tanto dal lato amministrativo quanto dal lato penale, in sintonia con le norme anticipate nel testo di riforma del Codice Antimafia.

Il provvedimento viene approvato definitivamente il 18 ottobre del 2016. Ecco di seguito il testo di legge innovato, a fronte di quello precedente:

 

Art. 603-bis

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Nuovo art. 603-bis

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

L’8×1000 mandalo a scuola!

Il 22 novembre 2008 alle 10 del mattino crolla una parte del controsoffitto del liceo Darwin di Rivoli (TO). Nel crollo muore Vito Scafidi e molti suoi compagni di scuola restano feriti, tra cui uno in maniera gravemente invalidante.

Da allora l’associazione Acmos e la rete piemontese di Libera hanno tenuto accesa la luce sulla vicenda, stando accanto alla famiglia, presidiando le aule del Tribunale e enucleando proposte politiche. Nel 2010, con la nascita della Fondazione Benvenuti in Italia, il tema viene incardinato tra le priorità della stessa e di conseguenza, con l’ingresso in Parlamento di Davide Mattiello, viene portata all’interno del suo lavoro a Montecitorio.

Il tema dell’edilizia scolastica ha interessato con alterne vicende i diversi governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese nell’arco dell’ultimo decennio. Soprattutto negli ultimi anni, però, principalmente a seguito alla tragedia del Darwin di Rivoli, sono state attivate misure più precise e sono stati previsti stanziamenti di fondi ad hoc per il monitoraggio e la messa in sicurezza delle scuole sul suolo italiano.

Nel 2010 la neonata Fondazione Benvenuti in Italia lancia la proposta di destinare l’8×1000 all’edilizia scolastica, attraverso la campagna “8*1000, Mandalo a Scuola” (Quaderno n.1 della Fondazione). La proposta prevedeva di inserire nella formulazione dell’8×1000 la possibilità di indicare esplicitamente la “scuola pubblica” come destinataria della percentuale fiscale destinabile, grazie alla legge 222 del 1985, allo Stato.

Dopo l’avanzamento della proposta e alcuni passaggi parlamentari, nel dicembre 2013, grazie ad un emendamento inserito nella Legge di Stabilità 2014, è stato modificato l’art. 48 della legge 222/1985 introducendo il sostegno all’edilizia scolastica tra le destinazioni dell’8 per mille. L’emendamento riprende e rende effettive le proposte precedentemente presentate, frutto del lavoro fatto a partire dal 22 novembre 2008. La legge diventa operativa dall’autunno 2014.

Un ultimo passo in avanti è stato fatto con l’emendamento al decreto Sblocca Italia, che consente alle Provincie e alle Città Metropolitane di sforare il Patto di Stabilità per interventi di sicurezza scolastica. Il Patto infatti rischiava di bloccare l’uso dei fondi da parte degli Enti preposti, creando il paradosso di essere destinatari di contributi non utilizzabili. L’emendamento è stato proposto su sollecitazione della Fondazione Benvenuti in Italia e dell’Unione delle Province Italiane.

Ecco il testo del comma che ha innovato la legge 222 “Le risorse della quota a gestione statale dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, di cui all’articolo 48 della legge 20 maggio 1985, n. 222, e successive modificazioni, relative all’edilizia scolastica sono destinate agli interventi di edilizia scolastica che si rendono necessari a seguito di eventi eccezionali e imprevedibili individuati annualmente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, anche sulla base dei dati contenuti nell’Anagrafe dell’edilizia scolastica”.

In scia con il lavoro fin qui rappresentato, il 28 novembre 2014 viene presentato un disegno di legge per l’istituzione del 22 novembre come Giornata Nazionale per la sicurezza nelle scuole. Primi firmatari Umberto d’Ottavio e Davide Mattiello. Proposta, quest’ultima, divenuta realtà nel 2015, all’interno della legge di riforma cd ‘Buona scuola’, n.107, legge 13 luglio 2015.