La storia del nostro impegno sul fronte del caporalato si intreccia con quella di Yvan Sagnet, giovane camerunense giunto in Italia nel 2007.
Oggi Yvan è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni. Il 3 febbraio del 2017 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica italiana, per il suo impegno contro il fenomeno del caporalato.
Il 14 giugno del 2013, a pochi mesi dall’inizio della legislatura, Mattiello ha portato in Parlamento una delegazione composta da Moumouni Tassembedo, Antonio Olivieri, Lahcen Elkhoumani, Fabrizio Garbarino, in rappresentanza dei braccianti africani di Castelnuovo Scrivia e di Saluzzo e dei contadini che si battono contro lo sfruttamento, per un’audizione informale con il Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati, on. Cesare Damiano.
Due luoghi simbolo, in Piemonte, nel ricco Nord, che finora si era ritenuto immune da certe situazioni di grave sfruttamento – finanche di vera e propria riduzione in schiavitù – che sono simili a quelle di Rosarno, di Nardò e di tutte le campagne d’Italia.
A Castelnuovo Scrivia, la rivolta è scoppiata il 22 giugno 2012, nell’azienda agricola “Lazzaro Bruno”, dov’erano occupati una quarantina di braccianti marocchini impiegati nella raccolta di ortaggi e verdure, le cui condizioni di vita e di lavoro erano tra le più disumane, una sorta di schiavismo senza catene.
L’incontro di Roma è stato molto importante, perché ha contribuito a mantenere desta l’attenzione sulla vicenda, a fronte del silenzio tombale che circondava i quaranta braccianti di Castelnuovo Scrivia, derubati dei loro salari e della loro dignità di persone.
Grazie al lavoro di Marco Omizzolo, autore del dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”, Mattiello è venuto a conoscenza della drammatica situazione vissuta dai lavoratori indiani di religione sikh dell’Agro Pontino. Secondo il dossier di Omizzolo, i lavoratori delle aziende agricole della provincia di Latina erano costretti ad assumere sostanze stupefacenti per riuscire a sopportare i massacranti turni di lavoro imposti dai loro caporali.
La linea che parte da Rosarno, passando dall’Agro Pontino per arrivare a Castelnuovo Scrivia, in Piemonte, traccia un percorso che segna tutta Italia. Secondo la Direzione Nazionale Antimafia il settore delle agromafie muove un giro d’affari di 12,5 miliardi di euro. Un affare che genera appetiti continui sia tra i mafiosi che tra professionisti spregiudicati che prestano i loro servizi alla causa del caporalato. 3600 organizzazioni mafiose nella Ue sono dedite al business delle agromafie e si spartiscono una torta di circa 670 miliardi di euro. Le mafie e il caporalato si combattono con la denuncia e reagendo con determinazione alle loro varie forme di ricatto.
Il 20 maggio 2014 Mattiello ha presentato un’interrogazione parlamentare insieme a Pippo Civati, volta a chiedere al Governo, nella persona dell’allora Vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico, di fare luce su quanto denunciato da Marco Omizzolo nel suo dossier. Nell’interrogazione si chiede al Governo “se siano state avviate indagini sulla vendita di stupefacenti in provincia di Latina alla comunità sikh; se risulti che nella gestione del lavoro agricolo in provincia di Latina siano coinvolte organizzazioni di tipo mafioso”.
All’interrogazione è seguita una missione a Sabaudia in provincia di Latina, in data 13 giugno 2014, insieme agli onorevoli Chaouki e Civati e con i rappresentanti dell’associazione In Migrazione e Flai-Cgil, per un incontro con la comunità sikh.
Durante la missione è stata visitata un’azienda agricola già coinvolta in passato in diverse vertenze sindacali relative allo sfruttamento dei lavoratori; infine una delegazione di braccianti Sikh ha incontrato i parlamentari nel loro tempio di Latina.
Grazie alle testimonianze raccolte, è stata ottenuta per il 20 giugno successivo la convocazione di una seduta della commissione antimafia per affrontare i temi del caporalato e delle agromafie nel territorio pontino.
Venerdì 20 Giugno 2014 sono stati auditi presso il V comitato, coordinato da Mattiello, della Commissione Antimafia Marco Omizzolo, i rappresentanti della Flai/CGIL e una rappresentanza di braccianti e lavoratori dell’Agro Pontino che avevano denunciato i propri sfruttatori. Il senso di questa audizione era di ritenere coloro che denunciano alla stregua dei testimoni di giustizia.
A seguito dell’audizione, Mattiello ha proposto alla Commissione Antimafia di creare un nuovo comitato dedicato allo sfruttamento dei lavoratori.
In seguito a questa proposta è stato istituito il XII comitato presso la Commissione Antimafia dedicato a “Mafie, migranti e tratta degli esseri umani, nuove forme di schiavitù”.
Sempre nella giornata di venerdì 20 giugno 2014 Mattiello ha preso parte, assieme ai colleghi on. Chaouki ed on. Realacci, a Marco Omizzolo ed ai rappresentanti della comunità Sikh di Latina, ad una conferenza stampa a Montecitorio per denunciare l’inaccettabile condizione dei braccianti indiani nell’area Agro-pontina.
Un primo risultato importante dal punto di vista legislativo, in tema di caporalato, si trova nel codice antimafia, provvedimento di cui Davide Mattiello è stato relatore alla Camera e di cui si parlerà più diffusamente nel paragrafo successivo. Qui vale la pena sottolineare come il codice agisca su questo tema.
Dopo il pressing ad accelerare sugli interventi normativi per contrastare il caporalato, il governo ha deciso di introdurre alcune misure del «pacchetto» presentato a fine agosto dai ministri della Giustizia, Orlando e delle Politiche agricole, Martina, in due emendamenti che sono stati inseriti nella riforma del Codice Antimafia in Commissione Giustizia, approvato definitivamente il 27 settembre 2017.
Si tratta della confisca penale «obbligatoria e allargata» per il reato di caporalato (603 bis) e della responsabilità oggettiva dell’ente che si avvalga dell’intermediazione dei caporali. «Le novità penali presentate nell’ambito della riforma del Codice antimafia sono un passo decisivo del lavoro che abbiamo intrapreso con i ministeri della Giustizia e del Lavoro – ha dichiarato il Ministro Martina – e prosegue con forza l’impegno del governo contro il caporalato».
Contro il caporalato scatta la confisca obbligatoria di ciò che è servito a commettere il reato. La confisca, operativa dopo la condanna definitiva per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, può riguardare anche prezzo o profitto del reato o beni diversi del reo (per equivalente). È consentita anche la confisca allargata. Se il reato è commesso da un dipendente nell’interesse dell’impresa, ne risponde anche la società (sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote).
“Contrastare il caporalato. Tra prevenzione e repressione”
Il 18 novembre 2015 Mattiello ha organizzato un convegno dal titolo “Contrastare il caporalato: tra prevenzione e repressione” presso la Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati.
Scopo del convegno è stato unire le conoscenze di associazioni, fondazioni e istituzioni sul tema del caporalato al fine di indirizzare le decisioni politiche in materia. Ascoltare chi si è a lungo occupato del tema affrontando quotidianamente le situazioni delle campagne italiane, è il punto di partenza fondamentale per qualsiasi analisi sul tema: per questo la presenza della Flai Cgil, di Filierasporca e In Migrazione.
Dall’altro lato, comprendere i passi avanti compiuti dal punto di vista legislativo e le intenzioni delle istituzioni è altrettanto cruciale per una risposta completa al fenomeno: per questo sono stati preziosi gli interventi della Presidente Laura Boldrini, dei Ministri Maurizio Martina e Andrea Orlando, dell’On. Rosy Bindi e dell’On. Davide Mattiello.
“Contro il caporalato e i reati agroalimentari l’alleanza tra lavoratori e imprenditori è necessaria e possibile: perché la vittima di queste condotte odiose è tanto il bracciante sfruttato che rischia la vita, quanto l’imprenditore onesto che rischia di fallire a causa della concorrenza sleale”. (Dal convegno la Fondazione Benvenuti in Italia ha tratto anche un Quaderno, il n. 8 “Contrastare il caporalato, tra prevenzione e repressione”).
“Il caporalato si può affrontare solo se il corpo sociale e politico collettivamente decide di affrontarlo. Rendere trasparente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro è un nodo fondamentale per rendere efficaci le strategie preventive di contrasto al caporalato. Vanno rimessi al centro del dibattito i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, per organizzare un sistema che consenta nella maniera più ampia possibile la tutela dei diritti di queste persone.
Quando si parla di caporalato, quando si parla di organizzazioni criminali che costringono le persone a lavorare in un regime di schiavitù, dobbiamo parlare di organizzazioni criminali che vanno ricomprese nell’alveo del 416 bis, cioè l’associazione mafiosa. Non perché siano coinvolte le associazioni tradizionalmente mafiose, ma perché del 416 bis queste associazioni incarnano lo spirito, il dna: la forza intimidatrice del vincolo associativo. Come dichiarato dal dott. Gian Carlo Caselli a margine del convegno, “là dove sono presenti fenomeni di caporalato sono presenti in forma consistente anche le mafie, perché lavorare sotto costo per guadagnare di più è la filosofia della mafia”.
Il 13 Novembre 2015 il Consiglio dei ministri dà l’ok al disegno di legge di iniziativa governativa “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura”, che porta le firme del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, del Ministro della giustizia Andrea Orlando e del Ministro del lavoro e politiche sociali Poletti.
Il disegno di legge introduce strumenti operativi contro il caporalato tanto dal lato amministrativo quanto dal lato penale, in sintonia con le norme anticipate nel testo di riforma del Codice Antimafia.
Il provvedimento viene approvato definitivamente il 18 ottobre del 2016. Ecco di seguito il testo di legge innovato, a fronte di quello precedente:
Art. 603-bis
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Nuovo art. 603-bis
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.