Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani

CAMERA DEI DEPUTATI

Mercoledì 19 febbraio 2014

183.

XVII LEGISLATURA

BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI

Giustizia (II)

ALLEGATO

ALLEGATO

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI (Atto n. 51).

PARERE APPROVATO

  La Commissione Giustizia,
   esaminato lo schema di decreto legislativo recante attuazione della Direttiva 2011/36UE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI;
   ricordato che il provvedimento interviene in attuazione della delega conferita al Governo dall’articolo 5 della legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96);
   rilevato che lo schema di decreto legislativo recepisce in modo non del tutto adeguato alcune disposizioni previste nella direttiva citata;
   rilevato che:
    l’articolo 1 dello schema di decreto legislativo mira a recepire quanto previsto dalla direttiva circa la nozione di vulnerabilità, così come indicata nel considerando n. 12 e nell’articolo 2 della direttiva stessa, nel rispetto del criterio di delega cui all’articolo 5 lettera d) della legge di delegazione europea n. 96/13, che ha previsto che «la definizione di «persone vulnerabili» tenga conto di aspetti quali l’età, il genere, le condizioni di salute, le disabilità, anche mentali, la condizione di vittima di tortura, stupro o altre forme di violenza sessuale, e altre forme di violenza di genere», senza tuttavia apparire idoneo a rispondere agli obiettivi evidentemente perseguiti dalla direttiva europea, la quale, da una parte, al considerando n. 12 fa riferimento alle persone vulnerabili al fine di invocare norme più severe quando le vittime possano essere ricondotte a tale ambito, e dall’altra, all’articolo 2, comma 2, fornisce la definizione di «posizione di vulnerabilità» con riferimento ad uno dei metodi coercitivi di cui al comma 1, per cui occorre che l’articolo 1 dello schema sia integrato con una previsione relativa all’aumento di pena ogniqualvolta vi sia un soggetto in posizione di vulnerabilità;
    all’articolo 2 dello schema di decreto legislativo, nella riscrittura degli articolo 600 e 601 del codice penale, si è voluto fornire una definizione dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù e tratta di persone rispondente a quella della direttiva europea senza, tuttavia, recepire alcune previsioni rilevanti contenute nell’articolo 2 della direttiva stessa, come, ad esempio, la definizione di «posizione di vulnerabilità» così come formulata nella direttiva, la previsione di cui al comma 4 per cui il consenso della vittima è irrilevante in presenza di uno dei mezzi di coercizione di cui al comma 1 dello stesso articolo 2, la previsione di cui al comma 5 relativa ai minori, per i quali la condotta è punita come reato di tratta anche in assenza dei metodi coercitivi di cui al co. 1, per cui sarebbe stato più opportuno formulare la norma nazionale ricalcando esattamente l’articolo 2 della direttiva;Pag. 23
    è condivisibile la scelta di cui all’articolo 3 dello schema di decreto legislativo di introdurre il comma 5-ter all’articolo 398 c.p.p., prevedendo modalità particolari di espletamento dell’incidente probatorio anche in caso di persone maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità. Si sarebbero tuttavia potute introdurre ulteriori norme a tutela della protezione e del diritto di difesa delle vittime e dunque recepire più compiutamente la direttiva europea relativamente a quanto previsto all’articolo 12; tra cui, l’introduzione di una norma che, in linea a quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 12 della direttiva europea, preveda l’accesso al patrocinio a spese dello Stato delle vittime prive di risorse finanziarie sufficienti secondo i parametri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 115/02, senza la necessità della certificazione dell’Autorità Consolare del paese di origine, spesso nella prassi non rilasciata, bensì solo previa autocertificazione della persona offesa;
    la condizione di particolare vulnerabilità di cui al predetto comma 5-ter dell’articolo 398 c.p.p. dovrebbe essere desunta non solo dal tipo di reato, ma anche dalla modalità del fatto per cui si procede;
    l’articolo 4 dello schema di decreto legislativo non sembra recepire adeguatamente l’articolo 13, comma 2 della direttiva, che impone agli Stati membri di provvedere «affinché, ove l’età della vittima della tratta di esseri umani risulti incerta e vi sia motivo di ritenere che sia un minore, detta persona sia considerata minore al fine di ottenere accesso immediato all’assistenza, al sostegno e alla protezione a norma degli articoli 14 e 15», in quanto l’articolo 4, comma 2, dello schema di decreto legislativo, in primo luogo, rinvia la disciplina della procedura multidisciplinare di determinazione dell’età a un successivo decreto del Ministro con delega alle pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia e il Ministro degli affari esteri e in secondo luogo limita ai casi in cui sia «strettamente necessario, l’identificazione dei minori mediante il coinvolgimento delle autorità diplomatiche», mentre sembra prevedere che la procedura multidisciplinare di determinazione dell’età vada applicata in via ordinaria;
    l’articolo 4, comma 2, dello schema non appare pertanto conforme ai criteri di delega stabiliti dall’articolo 5, comma 1, lettera c) della legge 6 agosto 2013, n. 96 che vincola il Governo, ai fini dell’attuazione della direttiva 2011/36/UE, a «definire meccanismi affinché i minori non accompagnati vittime di tratta siano prontamente identificati, se strettamente necessario anche attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell’età, condotta da personale specializzato e secondo procedure appropriate»;
    nel rispetto di tali criteri di delega, dunque, la disciplina della procedura multidisciplinare di determinazione dell’età deve essere definita nel decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/36/UE e non può essere rinviata a un successivo decreto interministeriale, anche perché si tratta di disciplina coperta da riserve di legge in materia di condizione dello straniero (articolo 10, comma 2 Cost.), di provvedimenti limitativi della libertà personale (articolo 13 Cost.) o di libertà di circolazione e soggiorno (articolo 16 Cost.) o di trattamenti sanitari obbligatori (articolo 32 Cost.) o di prestazioni personali (articolo 23 Cost.), nonché in materia di procedimenti e autorità giudiziarie;
    dal principio in base a cui la determinazione dell’età deve essere condotta secondo procedure appropriate, dunque secondo standard scientificamente attendibili, deriva che gli atti di natura interministeriale in materia debbano essere adottati dal Ministero della Salute o quanto meno di concerto con tale Ministero;
    l’articolo 5 della legge delega specifica che la procedura di determinazione dell’età può essere applicata solo «se strettamente necessario», ovvero nel caso in cui Pag. 24in cui sussistano fondati dubbi sulla minore età della vittima di tratta e non risulti possibile ottenere prove documentali a riguardo;
    rispetto al comma 1 dell’articolo 4 dello schema di decreto legislativo in esame, non vengono altresì chiariti i meccanismi attraverso cui i minori dovrebbero essere adeguatamente informati sui loro diritti, incluso l’eventuale accesso alla procedura di determinazione della protezione internazionale, né sono chiari gli attori a cui spetta tale onere;
    all’articolo 5 dello schema di decreto legislativo è da condividere la disposizione per cui siano previsti specifici moduli formativi sulla tratta nei percorsi di formazione delle Amministrazioni, tuttavia per rendere più efficace tale disposizione sarebbe opportuno che tale disposizione preveda che le associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta siano coinvolte nei moduli formativi, così com’è di prassi in ambito internazionale secondo l’approccio multidisciplinare e sulla scorta di quanto previsto dal considerando 6 della direttiva europea;
    all’articolo 5 dello schema di decreto legislativo sarebbe comunque opportuno fornire un’indicazione più precisa in ordine ai destinatari di tale formazione, alla stregua di quanto indicato nel considerando n. 25 della Direttiva;
    l’articolo 6 dello schema di decreto legislativo non sembra contribuire alla creazione di un sistema efficace di risarcimento delle vittime sotto i seguenti profili: a) risulta utilizzato per il risarcimento delle vittime il Fondo di cui all’articolo 12, comma 3, della legge n. 228 del 2003, istituito per finanziare i programmi di assistenza e integrazione sociale realizzati in favore delle vittime di tratta, Fondo al quale sono assegnate le somme stanziate dall’articolo 18 del decreto legislativo 286/98, i proventi della confisca disposta in seguito ad una sentenza per i reati connessi alla tratta ed i proventi della confisca ordinata per gli stessi delitti ex articolo 12-sexies decreto-legge 306/92. Stante la clausola di invarianza finanziaria di cui all’articolo 11 del presente schema di decreto legislativo la previsione così come è costruita sembra di difficile attuazione; b) non può assolutamente condividersi quanto previsto al comma 2-ter dell’articolo 12, così come modificato, il quale stabilisce una somma forfetaria di 1.500 euro per ogni vittima che appare essere estremamente esigua, avuto riguardo a quanto subito dalle persone vittime di tratta di esseri umani; c) l’entità dell’indennizzo dovrebbe comunque non essere determinata in maniera fissa, quanto piuttosto attraverso l’individuazione di un tetto massimo, lasciando la possibilità di commisurazione diversa dell’indennizzo sulla base del diverso pregiudizio subito; d) la previsione di un termine di decadenza di un anno dal passaggio in giudicato della sentenza penale per la presentazione della domanda di accesso al Fondo rispetto all’obbligo di dimostrazione di aver esperito – dunque in tale breve lasso di tempo – l’azione civile e le procedure esecutive appare incongrua, per cui non è dato comprendere come potrebbe una vittima riuscire a presentare la domanda di indennizzo senza incorrere nella suddetta decadenza se, com’è noto, i tempi della giustizia civile mai le consentirebbero entro lo stesso termine di aver concluso l’azione esecutiva dimostrando così il mancato risarcimento da parte dell’autore del reato;
    in relazione all’articolo 6, al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, sembrerebbe opportuno modificare i commi 2-quater e 2-quinquies dell’articolo 12 della legge n. 228 del 2003, ivi precisasti, ricomprendendo fra i presupposti della richiesta anche le sentenze di assoluzione dalle quali comunque risulti la sussistenza del reato e, dunque, la condizione di vittima dell’istante, in quanto altrimenti vi sarebbe l’impossibilità per la vittima di ottenere ristoro nel caso di sentenze di assoluzione o proscioglimento degli imputati (per esempio, immunità, prescrizione, mancata prova del dolo, eccetera), pur a Pag. 25fronte di un positivo accertamento dell’avvenuta commissione del reato;
    l’articolo 7 dello schema di decreto legislativo investe del ruolo di «relatore nazionale o meccanismo equivalente» di cui all’articolo 19 della direttiva europea il Dipartimento per le pari opportunità, assegnandogli i compiti previsti dal legislatore europeo agli artt. 19 e 20 (lettere b) e c) dell’articolo 7) oltre che mantenendo in capo al Dipartimento stesso quelli che storicamente erano i compiti della Commissione per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento presso il Dipartimento stesso (lettera a) articolo 7) e che però non appare chiaro se tale intervento miri ad un definitivo smantellamento della Commissione stessa, scelta che non sarebbe condivisibile nell’ottica della opportunità di mantenere un organismo che, all’interno del Dipartimento – il quale ha molteplici competenze nel campo delle pari opportunità – si occupi esclusivamente del tema in questione;
    l’articolo 8 del decreto legislativo prevede l’introduzione del comma 3 bis dell’articolo 18 del decreto legislativo 286/98 mirando ad unificare i programmi di assistenza e integrazione sociale di cui all’articolo 18 stesso e all’articolo 13 della legge n. 228/2003 creando un unico «programma di emersione, assistenza e integrazione sociale» strutturato in due fasi, una prima di assistenza in via transitoria – evidentemente per quelle situazioni in cui si pone la necessità di verificare la reale situazione e la volontà della persona di aderire al programma – ed una seconda di prosecuzione dell’assistenza e integrazione sociale;
    tale previsione ricalca l’attuale prassi operativa, non è dato comprendere se la formalizzazione di un unico programma comporterebbe una riduzione dei finanziamenti degli enti pubblici e del privato sociale che oggi in tutta Italia si occupano dell’assistenza e protezione delle vittime, eventualità da scongiurare dove si voglia mantenere in vita l’attuale sistema anti tratta;
    l’articolo 8 recepisce soltanto parzialmente l’articolo 11 della direttiva, che prevede una serie di obblighi a carico degli Stati relativi all’assistenza e sostegno alle vittime di tratta di esseri umani, per cui l’articolo 8 dovrebbe essere integrato per dare completa attuazione all’articolo 11 della direttiva;
    all’articolo 9 è apprezzabile la volontà di adottare il Piano nazionale contro la tratta che l’Italia ancora oggi non possiede, sebbene vanti un sistema efficace a tutela delle vittime di tratta, essendo auspicabile che tale Piano contenga linee guida volte alla corretta identificazione delle vittime in adempimento a quanto disposto dal comma 4 dell’articolo 11 della direttiva europea e che sia altresì previsto, sulla scorta di quanto indicato nel considerando n. 6 della direttiva europea, il coinvolgimento nel lavoro di redazione di tale Piano delle associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta siano ampiamente coinvolte;
    l’articolo 10, comma 1, nel rimandare l’individuazione di misure di coordinamento tra i sistemi di tutela delle vittime di tratta e in materia di asilo alle Amministrazioni sembra violare i criteri di delega legislativa stabiliti dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, il cui articolo 5, comma 1, lettera b) stabilisce che sia il Governo a «prevedere misure che facilitino il coordinamento tra le istituzioni che si occupano di tutela e assistenza alle vittime di tratta e quelle che hanno competenza sull’asilo, determinando meccanismi di rinvio, qualora necessario, tra i due sistemi di tutela»;
    l’articolo 10, comma 2, nello stabilire che allo straniero «sono fornite adeguate informazioni in lingua a lui comprensibile in ordine alle disposizioni di cui al predetto comma 1 nonché, ove ne ricorrano i presupposti, informazioni sulla possibilità di ottenere la protezione internazionale» non sembra essere sufficientemente chiaro in ordine alle modalità con cui tali informazioni sono fornite e ai soggetti cui spetta detto onere,Pag. 26
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) l’articolo 1 dello schema sia integrato con una previsione relativa all’aumento di pena ogniqualvolta vi sia un soggetto in posizione di vulnerabilità inserendo negli artt. 600, 601 e 602 del codice penale specifiche circostanze aggravanti per i casi in cui la vittima si trovi in condizione di vulnerabilità e altresì indicando tutte le circostanze elencate nel considerando 12 della direttiva europea;
   2) sia integrato l’articolo 2 con la previsione per cui il consenso della vittima è irrilevante in presenza di uno dei mezzi di coercizione indicati nello stesso articolo e con la previsione relativa ai minori, per i quali la condotta è punita come reato di tratta anche in assenza di tali metodi coercitivi;
  all’articolo 3, sia modificato il comma 5-ter dell’articolo 398 c.p.p, prevedendo che la condizione di particolare vulnerabilità si possa desumere essere desunta non solo dal tipo di reato, ma anche dalla modalità del fatto per cui si procede;
   3) all’articolo 3 sia aggiunto un comma che preveda l’accesso al patrocinio a spese dello Stato delle vittime prive di risorse finanziarie sufficienti secondo i parametri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 115/02, senza la necessità della certificazione dell’Autorità Consolare del paese di origine, spesso nella prassi non rilasciata, bensì solo previa autocertificazione della persona offesa;
   4) sia modificato l’articolo 4 come segue:
    a) Si recepisca l’articolo 13, co. 2 della direttiva 2011/36/UE, prevedendo che, ove l’età della vittima della tratta di esseri umani risulti incerta e vi sia motivo di ritenere che sia un minore, detta persona sia considerata minore al fine di ottenere accesso immediato all’assistenza, al sostegno e alla protezione previste per i minori vittime della tratta; si preveda che a tal fine, i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio devono riferire al più presto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni presunta vittima della tratta di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio, ove vi sia motivo di ritenere che sia un minore;
    b) sia disciplinata la procedura multidisciplinare di determinazione dell’età, nel rispetto dei criteri di delega stabiliti dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, in particolare prevedendo che essa possa essere applicata solo se strettamente necessario, ovvero nel caso in cui in cui sussistano fondati dubbi sulla minore età della vittima di tratta e non disponga di documenti di identificazione, anche se scaduti, o non risulti possibile ottenere prove documentali a riguardo;
    c) si preveda che fino a quando l’interessato non sia stato identificato dalla competente rappresentanza diplomatico-consolare, esclusi i casi di domande di asilo, entro un termine ragionevole ovvero quando non siano disponibili i risultati della perizia sull’età disposta dall’autorità giudiziaria, anche su richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza, la minore età deve essere presunta e dunque si devono applicare le norme in materia di protezione dei minori, prevedendo in particolare il collocamento in una struttura di accoglienza per minori, la nomina del tutore e la sospensione dell’adozione e dell’esecuzione di tutte le misure che possano lederne i diritti, inclusi i provvedimenti di respingimento, di espulsione e di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione;
    d) si preveda che nel rispetto del principio di presunzione della minore età in caso di dubbio e del principio del superiore interesse del minore, nel caso in cui dal primo esame effettuato sulla base di una determinata metodologia, scelta tra quelle meno invasive possibili, l’età anagrafica stimata risulti compatibile con la minore età, non si devono effettuare ulteriori esami, a meno che ciò sia nell’interesse Pag. 27del minore; qualora invece l’età stimata non risulti compatibile con la minore età si procede ad ulteriori esami che si svolgono con una metodologia multidisciplinare;
    e) l’accertamento dell’età deve svolgersi sulla base di un protocollo multidisciplinare, stabilito e aggiornato almeno ogni tre anni in base agli sviluppi della ricerca scientifica in materia di metodi per l’accertamento dell’età, deliberato dal Consiglio superiore di Sanità, previa consultazione pubblica di associazioni ed esperti, ed è svolto da una équipe medica, alla presenza del legale rappresentante e di un mediatore culturale, a meno che il presunto minore richieda che non siano presenti, previa informazione completa all’interessato del tipo di visita, delle sue conseguenze e della possibilità di rifiutarsi e previo colloquio da svolgersi con il presunto minore, nel rispetto del diritto alla partecipazione di cui all’articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, alla presenza di un mediatore culturale;
    f) ogni Regione comunichi al Ministero della salute, al Ministero dell’Interno e al Ministero della Giustizia e alle autorità giudiziarie che hanno sede nella regione stessa i centri medici specializzati competenti ad effettuare le perizie per l’accertamento dell’età, da individuarsi in strutture sanitarie pubbliche dotate di reparti pediatrici, capaci di garantire la minore variabilità possibile del giudizio espresso, nel rispetto delle migliori garanzie per il minore. Tali strutture devono garantire che le procedure siano affidate sempre a personale in possesso di competenze mediche, radiologiche, pediatriche, neuropsichiatriche e psicologiche adeguate allo scopo ovvero di personale sanitario dotato di specifiche competenze ed esperienze in materia di metodi per l’accertamento dell’età e che i diversi professionisti adottino criteri di valutazione omogenei, al fine di evitare un’eccessiva difformità negli accertamenti;
    g) si rinvii la disciplina delle norme di dettaglio a un decreto del Ministero della Salute, su conforme parere del Consiglio superiore della sanità e previa consultazione anche delle associazioni di tutela degli stranieri, di concerto con Ministro con delega alle pari opportunità il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell’Interno, il Ministro della Giustizia e il Ministro degli Affari Esteri. Nel decreto devono essere comunque disciplinati i presupposti per l’accertamento dell’età, il trattamento del presunto minore nelle more dell’accertamento, l’autorità competente a disporre l’accertamento dell’età, la tutela, la legale rappresentanza e il consenso informato, i metodi e la procedura per l’accertamento dell’età, il principio di presunzione di minore età in caso di dubbio, l’attribuzione della data di nascita e comunicazione degli esiti della perizia, i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali e la possibilità di stipula di protocolli locali per dare attuazione al protocollo nazionale.

   5) l’articolo 5 sia modificato prevedendo che: a) le associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta siano coinvolte nei moduli formativi, così com’è di prassi in ambito internazionale secondo l’approccio multidisciplinare e sulla scorta di quanto previsto dal considerando 6 della direttiva europea; b) la formazione debba riguardare «operatori di polizia, guardie di frontiera, funzionari dei servizi per l’immigrazione, pubblici ministeri, avvocati, giudici e personale giudiziario, ispettori del lavoro, operatori sociali e dell’infanzia nonché personale sanitario e consolare» nonché eventualmente «altri funzionari pubblici che possono entrare in contatto con vittime di tratta durante il loro lavoro»;
   6) l’articolo 6 sia riformulato in considerazione della criticità procedurale espressa in premessa;
   7) l’articolo 8 preveda le seguenti ulteriori modificazioni:
    a) l’articolo 18 del decreto legislativo 286/98 venga modificato anche al fine Pag. 28di introdurre la facoltatività della denuncia della vittima ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, aspetto già presente nel nostro ordinamento ma non esplicitamente previsto da norma di fonte primaria, bensì dal regolamento di attuazione, nello specifico l’articolo 27 decreto del Presidente della Repubblica 394/1999, per cui dopo il comma 1 del richiamato articolo 18 venga introdotto un comma 1-bis che preveda espressamente che il permesso di soggiorno viene rilasciato, in presenza dei presupposti di cui al comma 1 anche in assenza di querela da parte della persona straniera vittima di uno dei reati indicati nello stesso comma;
    b) sia introdotta una norma nella legge n. 228 del 2003 che preveda che il programma di assistenza sia garantito anche a coloro per i quali vi sia un ragionevole motivo di ritenere che siano stati vittime di uno dei reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p. Una simile previsione potrebbe essere inserita dopo il comma 1 dell’articolo 13 della legge 11 agosto 2003 n. 228 (comma 1-bis);
    c) sia introdotta una norma nel decreto legislativo n. 286/98 (articolo 19 comma 2-ter) che preveda che il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione di persone per cui vi sia ragionevole motivo di ritenere che siano vittime di uno dei reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p. o comunque di una situazione di grave sfruttamento, resti sospeso fino a non sia accertata la eventuale sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 286/98;

  e con le seguenti osservazioni:
   a) valuti il Governo l’opportunità di prevedere che la disciplina sull’accertamento della minore età prevista nell’articolo 4 sia applicabile, salvo che altre disposizioni legislative statali dispongano diversamente, anche nelle ipotesi indicate dall’articolo 349 del codice di procedura penale e in qualsiasi altro tipo di procedimento amministrativo o giudiziario in cui sia necessario l’accertamento dell’età della persona straniera o apolide coinvolta;
   b) in riferimento all’articolo 4 e, in particolare, ai minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale, valuti il Governo l’opportunità di modificare il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nel seguente modo: a) dopo il comma 3 dell’articolo 4 è inserito il seguente: «3-bis. Presso ogni Commissione territoriale è istituita una sezione specializzata nell’ascolto dei minori stranieri non accompagnati richiedenti protezione internazionale. Ove necessario tali sezioni possono essere composte anche da membri onorari, con comprovata esperienza nell’ascolto dei minori. La presenza dei membri onorari è disciplinata con apposito decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione»; b) al comma 3 dell’articolo 13 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni caso si applicano le disposizioni dell’articolo 33-bis, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286»; c) al comma 1 dell’articolo 16 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per i minori stranieri non accompagnati si applicano le disposizioni dell’articolo 76, comma 4-quater, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115»; d) al comma 5 dell’articolo 26, dopo le parole: «Il tutore» sono inserite le seguenti: «ovvero il responsabile della struttura di accoglienza ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni»;
   c) il Governo valuti l’opportunità che il meccanismo equivalente previsto all’articolo 7 per le funzioni che è chiamato a svolgere sia un organismo indipendente, analogamente a quanto previsto in altri paesi dell’Unione Europea;
   d) valuti il Governo l’opportunità di prevedere all’articolo 9, sulla scorta di quanto indicato nel considerando 6 della Pag. 29direttiva europea, il coinvolgimento delle associazioni maggiormente rappresentative nella tutela e assistenza delle vittime di tratta nel lavoro di redazione del «Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli essere umani»; che deve contenere anche norme di prevenzione ed educazione volte a ridurre la potenziale domanda di prestazioni nei confronti delle persone vittime della tratta;
   e) valuti il Governo la compatibilità tra i criteri di delega legislativa stabiliti dalla legge 6 agosto 2013, n. 96 e la previsione di cui all’articolo 10, comma 1, laddove si rimanda l’individuazione di misure di coordinamento tra i sistemi di tutela delle vittime di tratta e in materia di asilo alle Amministrazioni coinvolte (e non al Governo);
   f) valuti il Governo l’opportunità di chiarire meglio all’articolo 10 comma 2 le modalità con cui le informazioni devono essere fornite e i soggetti cui spetta detto onere.