Nell’omicidio Rostagno depistaggi decisivi, ma in Senato la legge è bloccata. Nelle oltre tremila pagine di motivazioni depositate ieri dai Giudici Pellino e Corso sulla sentenza che ha condannato i mafiosi di Trapani per l’omicidio di Mauro Rostagno, ucciso il 26 Settembre del 1988, il veleno è in coda: la Corte ha trasmesso alla DDA di Palermo la posizione di dieci testimoni che avrebbero detto il falso e tra questi ci sono due appartenenti alle Forze dell’ordine: il carabiniere Cannas e il finanziere Voza. Scrivono i giudici che fin dai primi momenti successivi all’omicidio cominciarono le anomalie investigative: cose non fatte, oggetti scomparsi, come la video cassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Uno scenario che fa capire come l’omicidio di Rostagno non interessasse soltanto alla mafia, ma anche ad ambienti Istituzionali, anch’essi infastiditi e preoccupati per il lavoro tenace di Rostagno. Un film che si ripete nella storia del nostro Paese, ne abbiamo avuto altra recente prova nella sentenza di condanna per la strage di Piazza della Loggia a Brescia la scorsa settimana: i cani sbranano, quando qualcuno li sguinzaglia. Per tutto questo ci siamo impegnati alla Camera a votare il nuovo reato di depistaggio e inquinamento processuale: il testo è stato trasmesso al Senato il 3 OTTOBRE 2014, assegnato alla Commissione Giustizia e da quel momento tutto si è fermato. Perché? Mi rivolgo al Presidente Grasso e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché si faccia uno sforzo: tra pochi giorni sarà, di nuovo, il 2 Agosto e ricorderemo la strage di Bologna. Lo Stato non ci arrivi a mani vuote: approvare quel testo, è doveroso ed è anche possibile