Appello agli agenti della Gladio: la verità è già giustizia, parlate.

Il mio appello, presentato venerdì 12 luglio a Fidenza, nel corso della presentazione del libro “La Bestia” con l’autore Carlo Palermo e Margherita Asta.

Voglio partire da queste parole che un magistrato italiano ha pronunciato qualche giorno fa a conclusione di un processo di cui vi dirò:

(la sentenza di primo grado) non ha fatto giustizia, ne’ per e vittime, ne’ soprattutto ha fatto giustizia per l’ansia di libertà che invade quei popoli che pensavano di affacciarsi alla democrazia e sono stati, in ragione di questo progetto, annichiliti, cioè dire distrutti. In quegli anni la più grande repressione dei marxisti avvenne nell’America Latina e avvenne non per il dicktat di un gruppo limitato di persone, che comunque viene perseguito ancora oggi in Italia come in altri Paesi del Mondo, VENNE PERSEGUITO IN RAGIONE DI UN PROGETTO COMPLESSIVO che ha visto una intera area del pianeta coinvolta, il Cono del Sud. Quelle libertà e quella democrazia, che non era soltanto dei socialisti e dei Marxisti, ma era anche dei Sindacalisti, dei giovani, degli studenti, delle donne, che per LA PRIMA VOLTA in quelle aree rivendicavano diritti. Poi la libertà venne annientata e venne annientata IN RAGIONE DI UN PROGETTO CHE ERA NOTO COME TALE

Queste parole sono state pronunciate dal procuratore generale di Corte d’Appello, dott Mollace, nella requisitoria finale del processo celebratosi a Roma in Corte d’Assise d’Appello e che ha avuto ad oggetto un gruppo di alti dirigenti di diversi Paesi sud Americani, Brasile, Perù, Bolivia, Cile, Equador, Uruguay, considerati a vario titolo responsabili della attuazione del PLAN CONDOR.

Il processo si è concluso con una raffica di condanne all’ergastolo, non ancora definitive.

Gli storici non hanno dubbi ormai sul fatto che, tra gli anni ’70 e ’80 in Sud America, l’ordine caro ai liberali americani e per estensione occidentali sia stato mantenuto anche attraverso un sistematico ricorso alla violenza politica, il Plan Condor appunto, che in alcuni casi si è spinto ad appoggiare vere e proprie dittature militari.

Per nulla scontato che, avendo quell’ordine trionfato a livello planetario dopo il 1989, qualche tribunale si permetta di giudicare e condannare penalmente i responsabili di quella strategia. Normalmente sono i vinti che vengono messi sul banco degli imputati.

Questa vicenda credo ci aiuti a riflettere sulla storia di casa nostra.

Quanto deve essere stata “attenzionata” l’Italia in quegli stessi decenni? L’Italia non soltanto geograficamente cerniera tra i due blocchi e la sponda sud del Mediterraneo, ma sede del più potente Partito Comunista dell’Europa occidentale? La risposta è facile: assai.

È ragionevole pensare che l’ansia per le sorti del nostro Paese fosse tale da suggerire anche per il nostro Paese una “TERAPIA SUDAMERICANA”?

Sono certo di sì.

Basta tornare con la mente al 1964, primo Governo Moro, un Moro già allora impegnato a sdoganare una parte almeno dello schieramento politico a sinistra della DC, già allora tintinnarono le sciabole: quelle del generale De Lorenzo, che era niente meno che Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e che immaginava di occupare il potere adoperando, appunto, SOLO i Carabinieri.

Passando per Piazza Fontana nel 1969, si arriva al minacciato colpo di Stato della Immacolata del 1970, capitanato da un improbabile Borghese, alias Principe Nero, che venne efficacemente riportato a più miti consigli (e probabilmente non ci fu nemmeno da insistere troppo).

Cosa risparmiò all’Italia la “TERAPIA SUDAMERICANA”?

Mi sono convinto che fu soprattutto, anche se non soltanto, il sistema culturale e politico che ha avuto nella DC il proprio baricentro a produrre il risultato, garantendo l’Alleanza Atlantica e assicurando che all’occorrenza si sarebbe anche potuto adoperare, in maniera mirata, direi chirurgica, la violenza.

Davvero non è un caso che dalla nascita della Repubblica fino al 1994, ininterrottamente il Ministero dell’Interno sia stato esclusivo appannaggio di uomini della DC, accuditi e consigliati da agenti USA. Carlo Palermo a questo proposito nel suo libro parla diffusamente del così detto “Agente pagatore”.

Durante quei decenni e fino al 1990 il sistema ha tenuto, capillarmente, coinvolgendo uomini e donne nelle Istituzioni e fuori, consapevoli e convinti di fare la cosa giusta.

Questo sistema in Italia abbiamo imparato a chiamarlo con una formula più rassicurante di “Plan Condor” che già nel nome evocando un rapace mette paura e cioè Stay Behind.

Questo sistema, prevedendo anche l’utilizzo chirurgico della violenza, ha sviluppato rapporti ed alleanze con vari ambienti criminali, mafiosi, terroristici e “comuni” ritenuti evidentemente assai preziosi per la disinvoltura con la quale normalmente i criminali sono disposti ad applicarla, la violenza, nelle dosi richieste.

Non posso entrare ora nei dettagli ma per questo sono convinto che in particolare ciò che è accaduto tra il 1978, col sequestro e l’esecuzione di Aldo Moro ed il 24 Gennaio del 1994, fallito (o sospeso) attentato all’Olimpico, vada letto in questa prospettiva.

Caddero le persone ritenute pericolose per la tenuta del sistema: come Aldo Moro.

Caddero le persone che per rigore professionale non si vollero piegare alle esigenze del sistema. Pochi giorni fa abbiamo ricordato l’assassinio dell’Avvocato Giorgio Ambrosoli, 11 Luglio 1979 e a tanti è tornato in mente il giudizio, spietato, espresso da Giulio Andreotti: “Ambrosoli era uno che se l’andava a cercare”.

Tutt’altro che una frase volgare ed irriconoscente, piuttosto una frase drammaticamente pertinente.

Come l’avvocato Ambrosoli, cioè persone cadute perché per rigore professionale non vollero piegarsi alle esigenze del sistema e quindi toccarono fili che non dovevano essere toccati, c’è stato anche il dott. Carlo Palermo, che mise il naso in uno dei gangli linfatici con i quali si reggeva il sistema stesso: il traffico internazionale di morfina base e il conseguente riciclaggio di denaro sporco.

Una parola sulla funzione della morfina base: oggi noi siamo più o meno consapevoli di cosa siano i bit coin e più generalmente cosa siano le così dette cripto valute: monete non ufficiali, ma funzionanti e circolanti, con le quali si saldano anche i contratti indicibili.

Ebbene, io sono convinto che tra gli anni ’70 ed ’80 l’equivalente del bit coin fosse la morfina base: una moneta corrente universalmente riconosciuta che poteva trasformarsi in denaro normale, in armi, in rifiuti tossici, in compiacenze.

Fatemi ricordare almeno un altro magistrato assassinato io credo per gli stessi motivi per i quali doveva morire il giudice Carlo Palermo: Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica di Torino ucciso il 26 Giugno 1983, che guarda caso stava indagando sul riciclaggio di denaro sporco attraverso i casinò della valle d’Aosta, dove soltanto qualche mese prima qualcuno aveva cercato di far saltare in aria il Pretore di Aosta, Selis.

All’interno di questo sistema complesso stava una organizzazione particolare: GLADIO.

Oggi possiamo affermare, di nuovo senza entrare troppo nei particolari, che GLADIO sia stata una organizzazione clandestina, paramilitare, voluta e gestita dai nostri Servizi in collaborazione con i Servizi americani. I Gladiatori erano uomini… ma anche donne… militarmente addestrati, che sapevano come sparare, come sabotare, come far esplodere. Persone che avevano a disposizione denaro, nascondigli, documenti, armi. Persone abituate a trattare anche con i criminali, fossero criminali di guerra (come in Somalia) o criminali mafiosi.

Io mi sono convinto che all’interno di questa organizzazione particolare ci fossero almeno tre tipi di persone diverse: c’erano dei patrioti convinti che la Repubblica Italiana, fragile e minacciata, andasse difesa anche così, considerato il contesto mondiale.

C’erano dei fascisti in agguato che speravano in questo modo di togliersi qualche soddisfazione e che cullavano il sogno di tornare a prendere il potere, lasciandosi alle spalle questa idea eccessiva di libertà chiamata democrazia parlamentare.

C’erano infine dei delinquenti veri e propri, persone cioè a cui la disponibilità di armi e denaro, la sostanziale impunità e l’accesso a relazioni potenti, aveva dato alla testa.

Sono convinto che il mazzo di carte all’interno di questa organizzazione, si mescolò pericolosamente dopo un fatto specifico capitato nell’estate del 1990: Giulio Andreotti, intervenendo alla Commissione Stragi ammette per la prima volta l’esistenza di Gladio. Apriti cielo!

Da lì a poco oltre 600 gladiatori vennero dallo stesso Andreotti pubblicamente rivelati.

Era il segnale della fine di un’epoca.
I tre colpi di fischietto e poi tutti negli spogliatoi.
Era l’inizio della riorganizzazione.

Sono convinto che quello che accadde tra il 1992 e il 1994, in quella terribile e confusa convergenza di interessi, sia spiegabile anche applicando la categoria della “trattativa” si ma “sindacale”: non me ne vogliano se abuso di questo concetto ma è solo per spiegarmi. Molti soggetti protagonisti del sistema, che fossero di Gladio, che fossero mafiosi, negoziarono, a loro modo, il TFR e qualcuno pretese di non essere messo in panchina, ma di continuare in altro modo a mantenere le stesse mansioni di prima. Qualcuno poi forse semplicemente volle vendicarsi di chi ad un tratto aveva così spudoratamente girato le spalle. E qualcuno, ne sono certo, ci rimase molto male, si sentì tradito e qualcuno venne eliminato perché non raccontasse la verità.

Io sono certo che venerdì 12 luglio a Fidenza, all’incontro per presentare il libro di Carlo Palermo “La Bestia”,  abbiano partecipato ex gladiatori o ex gladiatrici, che ancora soffrono per come sono andate le cose tra il 1990 e il 1994. Sono certo che ci siano ex gladiatori che si sentono ancora oggi salire l’amaro in bocca per come sia stata pervertita quella missione patriottica, che hanno sentito di servire con onore e disciplina, anzi, per citare il motto di Gladio: Silendo Libertatem Servo.

Sono certo che alcuni ex gladiatori pretendano la verità come forma di giustizia non meno delle famiglie di quanti caddero durante questa guerra tutt’altro che “fredda” piuttosto a “bassa intensità”.

Sì: la verità è una forma di giustizia.

Con noi, in questa serata, Margherita Asta, figlia di Barbara Rizzo e sorella di Giuseppe e Salvatore Asta, che ci ha aiutato a comprendere col suo esempio l’importanza di questa forma di giustizia.

Il 5 Agosto a Palermo, più precisamente a Villa Grazia di Carini, celebreremo i 30 anni dal duplice omicidio di Nino Agostino, agente di polizia e di sua moglie Ida Castelluccio. Lo faremo per la prima volta, senza Augusta, la mamma di Nino che per 30 anni insieme alla sua famiglia si è battuta per la verità. Avremo quindi un’altra tomba da visitare. Io ci sono stato un mese fa, insieme a Vincenzo suo marito e a Flora sua figlia e ho letto queste parole sulla sua lapide:

QUI GIACE SCHIERA AUGUSTA, MAMMA DELL’AGENTE ANTONINO AGOSTINO, DONNA IN ATTESA DI GIUSTIZIA ANCHE DOPO LA MORTE

Con le sue parole mi rivolgo a quanti sanno e non sono più disposti a tacere: la verità è già giustizia, parlate.

Grazie