Il Maxi processo di Palermo compie 30 anni: non fiori, ma opere di bene

Ci
sono due ordini di questioni a voler prendere sul serio l’anniversario dell’inizio
del processo che decapitò la testa di Cosa Nostra: le verità mancanti, anzi nascoste e le scelte politiche da
presidiare.

Sulle prime è
tornato recentemente anche il Presidente Grasso, incoraggiando a non demordere
e rivendicando il lavoro svolto dalla Procura Nazionale Antimafia sotto la sua
guida, con ciò valorizzando indirettamente il lavoro del dott. Donadio,
sostituto della DNA, che fino al 2013 ha avuto la delega sulle stragi. Nel
pieno rispetto dell’attività giudiziaria (c’è una incolpazione di aver svolto un’indagine
parallela mossa dal pg della cassazione a Donadio, pubblicata in prima pagina
dal corriere della sera qualche settimana fa), ma altrettanto consapevoli di quanto sia importante un’analisi
politica degli elementi raccolti, sarebbe utile potere acquisire come
Commissione Antimafia quegli atti d’impulso che la DNA indirizzò alle DDA titolari
delle inchieste sulle stragi: Donadio ha affermato di aver agito su tutti i
complessi scenari delle stragi del 1992/1994 (quindi non solo di quelle
siciliane) in completa sintonia con il pna Grasso e nel pieno rispetto della
legge.

C’è
poi la verità nascosta sugli omicidi di Nino Agostino e della moglie Ida
Castelluccio, collegati a quello di Emanuele Piazza, al fallito attentato
all’Addaura e all’eliminazione di due confidenti. Aspettiamo per questo che il
26 di Febbraio avvenga il confronto tra Vincenzo Agostino e l’ex poliziotto
Giovanni Aiello. C’è la verità nascosta sul depistaggio di Via D’Amelio con
l’invenzione del “pentito Scarantino” che tale rimarrà, a meno che non
intervenga la Commissione Antimafia, stante l’archiviazione del procedimento
per la sopraggiunta impossibilità ad agire penalmente. C’è la verità nascosta
del rapporto tra pezzi di Cosa Nostra e pezzi di Stato, che in qualche modo
sarà illuminata dall’esito del primo grado del processo sulla Trattativa, che
il Procuratore Lo Voi prevede entro il 2016 (tritolo permettendo, come Galatolo
continua a ribadire in ogni sede). C’è la verità nascosta sull’omicidio del
giudice Antonino Scopelliti, che sembra sempre più un buon investimento fatto
dalla ‘ndrangheta reggina (amici compresi) e sempre meno un favore fatto a Cosa
Nostra. C’è la verità nascosta sul ruolo dell’estrema destra in Sicilia, che di
nuovo intreccia i destini della ‘ndrangheta tra Reggio, Vibo, Roma e Milano: sub
judice è tra l’altro la recente scarcerazione dell’avvocato Pio Cattafi,
mafioso di Barcellona Bozzo di Gotto, che andrebbe sentito sul tema. C’è la
verità nascosta della latitanza perdurante di Matteo Messina Denaro, che tanto
sta costando a chi più vi si è dedicato, con quel Giocchino La Barbera che si
premura di ricordare in una video intervista di Settembre che è Messina Denaro
il custode dei documenti di Riina. Forse proprio quelli portati via dal covo
dopo che il capo dei capi era stato arrestato, il covo che non era stato ne’
perquisito, ne’ sorvegliato: e anche questa è una verità in parte nascosta,
appesa ad un appello della Procura Generale di Palermo. C’è la verità nascosta
dell’omicidio Ilardo e della condanna del colonnello Riccio tritato da
un’accusa infamante, che ha a che fare con un’altra latitanza, quella di
Provenzano, che possibilmente non doveva chiudersi troppo in fretta. C’è la
verità nascosta di quanti riuscirono ad approfittarsi della situazione venutasi
a creare successivamente alle stragi, capitalizzando relazioni e potere, di cui
un probabile riverbero fu quella legge “contra personam” voluta dal Governo
Berlusconi nel 2005, che sbarrò a Gian Carlo Caselli la strada verso la Procura
Nazionale Antimafia (legge che la Corte Costituzionale dichiarò illegittima nel
2007). C’è la verità nascosta sui patrimoni riciclati all’estero e a disposizione
di mafie e collusi e chissà che proprio oggi il Consiglio dei Ministri non
approvi il trattato di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi, che
certo in tal senso aiuterebbe.

E
poi ci sono le politiche da presidiare, figlie di quella stagione e di quel
sacrificio. La legislazione sul collaboratore di giustizia, che deve restare la
condizione necessaria per ottenere sconti di pena o modalità alternative di
espiazione della medesima per i mafiosi. Il 41 bis, applicato nel rispetto
della persona, ma con rigore ed efficacia per impedire che dal carcere i
mafiosi possano continuare a comandare. Il sistema di sequestri e confische
tanto di prevenzione che penale, per affinare il quale la Camera ha approvato
nuove norme l’11 di novembre e che ora sono una priorità per il Senato come ha
dichiarato il Presidente Grasso qualche giorno fa. Infine DIA e DDA ovvero la
traduzione dell’intuizione che per contrastare un fenomeno come quello delle
mafie (e del terrorismo) servono strutture specializzate e centralizzate, che
massimizzino professionalità e visione sistemica. Basta leggere la relazione
della DIA sul primo semestre del 2015, da poco pubblicata, per rendersi conto
di quanto siano strumenti irrinunciabili.

On.
Davide Mattiello

Roma,
10 Febbraio 2016

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