Grazie Presidente,
avverto come tutti l’onere di affrontare in questa occasione straordinaria il tema del contrasto alle mafie, a partire dallo specifico punto dei beni confiscati. Sono grato alla Presidente Bindi e dell’ufficio di presidenza della Commissione Antimafia per aver deciso di fare rotta senz’altro su questo punto, perché questo punto è un epicentro: capire cosa giri attorno ai beni confiscati alle mafie oggi, significa capire le mafie e il loro sistema di alleanze.
Concentro il mio intervento sulla confisca intesa come misura di prevenzione patrimoniale. Non soltanto perché è la forma statisticamente più applicata, ma soprattutto perché è la forma che meglio restituisce il senso della strategia di contrasto alle mafie.
Perché?
Perché non sfugge a nessuno che la pietra miliare di questa normativa è stata posta il 13 Settembre del 1982 con la legge 646. Una legge cardinale perché è la stessa che istituisce il 416 bis. Una normativa coraggiosa perché non piegò la realtà alle presunte regole invalicabili del diritto penale, ma assunse la realtà per quello che è, facendo dei legami funzionali, delitto e degli indizi di appartenenza a questi sodalizi, base per la spogliazione patrimoniale.
Non sfugge, ahinoi, che questo coraggio fu nutrito dal sangue di due servitori dello Stato uccisi dalla mafia il 30 aprile e il 3 settembre di quello stesso anno: Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Cerchiamo noi pure di ispirarci a quel coraggio senza aspettare nuovo sangue: ci basti la memoria di quello versato.
E allora alcune sfide vanno colte:
– La prossima presidenza italiana del semestre europeo faccia il possibile per armonizzare la normativa sulle misure di prevenzione patrimoniale, perché non capiti più agli investigatori e ai magistrati italiani, che faticosamente inseguono le tracce delle ricchezze mafiose fuori dai confini italici, di sentirsi dire: “Ma per quale reato state procedendo? No reato, no sequestro”
– Bisogna senz’altro potenziare complessivamente le risorse a servizio del procedimento di prevenzione affinchè si possano pretendere dal sistema giudiziario maggiore celerità e trasparenza. Celerità e trasparenza che ove già sono cifra dell’operare, paiono più il frutto di uno sforzo titanico, che uno standard normalmente esigibile. Potenziare le risorse, mettere a punto i regolamenti, per far venire i nodi al pettine: condotte discutibili, opache, che fanno pensare a interessi molto privati che avvelenano l’interesse pubblico. A chi conviene per esempio, il fallimento decretato della 6GDO? Come è possibile che dopo anni trascorsi tra il sequestro e la confisca dell’impero di Grigoli, oggi, pur essendo a portata di mano una soluzione a tutela di gran parte dei lavoratori, si decreti il fallimento? Auspichiamo che il Governo decida di intervenire attraverso l’Avvocatura dello Stato per impugnare questa sentenza. E come è possibile che alcuni amministratori pur gravati da inchieste giudiziarie, vengano incaricati di nuove gestioni? Capisco che il rapporto tra giudice delegato e amministratore debba essere fiduciario, ma è auspicabile che il giudice abbia fiducia in una cerchia un po’ più ampia e consona di soggetti. Per quale inspiegabile ragione la famiglia di uno dei più importanti boss di Camorra, gestisce un castello da favola a Miasino sul Lago d’Orta, confiscato al boss stesso, per altro successivamente alla decisione di quest’ultimo di collaborare con lo Stato?
– Bisogna intervenire nella gestione delle aziende confiscate, perché con la fame di lavoro che ha il nostro Paese è un delitto far passare l’idea che la mafia il lavoro lo da, mentre lo Stato lo toglie, perché quando sequestra un’azienda quasi certamente questa chiude i battenti. La CGIL con Libera, Avviso Pubblico e altri autorevoli attori sociali ed economici si è fatta promotrice di una legge, oggi incardinata in Parlamento, che punta ad estendere le tutele per i lavoratori delle aziende confiscate, che punta alla creazione di un fondo di rotazione per la legalizzazione di aziende, che spesso navigavano sotto traccia, che punta a sostenere la creazione di cooperative tra i lavoratori delle aziende stesse, che possano così chiederne la destinazione. La prossima settimana la proposta, AC 1138, inizierà il suo iter in Commissione Giustizia alla Camera, auspichiamo una rapida approvazione del testo, in sintonia con l’indirizzo che il Governo stesso ha dato in tal senso.
– Bisogna intervenire sull’Agenzia nazionale per i Beni Confiscati, aumentando e razionalizzandone le risorse, risistemandola presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per sottolineare che la riqualificazione dei beni confiscati alle mafie non è soltanto questione di ordine pubblico, ma è questione che investe trasversalmente le competenze e i poteri dello Stato. Auspichiamo che la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri venerdì scorso di nominare il prefetto Postiglione nuovo direttore dell’Agenzia, concorra a far marciare la riforma dell’Agenzia medesima, confermandone la direzione.
– Bisogna infine salvaguardare il valore sociale dell’utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Certo senza sterili dogmatismi. Però con la forza culturale e fatemi dire etica che fu propria del grande movimento di popolo, che nel 1995 raccolse oltre un milione di firme per chiedere al Parlamento quella legge che di li a poco sarà la 109 del ’96. La forza di chi sa che il modo migliore per sconfiggere le mafie è quello di coltivare il senso repubblicano, che è cura generosa del bene comune. Noi sconfiggeremo le mafie quando le avremo rese inutile, quando cioè, per dirla con le parole di Carlo Alberto Dalla Chiesa, che sono certo, sarebbero piaciute a Pio La Torre: “lo Stato assicurerà come diritti, ciò che i mafiosi danno come favori”. Per dirla altrimenti, quando lo Stato diventa Repubblica.
Grazie Presidente